Il fascino del putinismo è un’altra faccia dell’odio di sé dell’Occidente

Agosto 13, 2025 - 00:00
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Il fascino del putinismo è un’altra faccia dell’odio di sé dell’Occidente

Domenica scorsa il Corriere della Sera ha intervistato Marat Bashirov, presentato come «il guru del Cremlino», cui è stato dato gentilmente modo, senza infastidirlo con domande impertinenti, di spiegare il Putin-pensiero con quello stile a cui il determinismo geopolitico ci ha ormai abituato: come se le relazioni tra i popoli e tra gli Stati, nelle loro premesse e conseguenze, fossero ragguagliabili a fenomeni fisici, ad esempio le maree e i terremoti, e fosse irrealistico e dunque vano provare a ostacolarne la forza o mutarne la direzione.

Ieri, per raddoppiare l’ospitalità, sempre il Corriere della Sera ha offerto libero spazio a Dmitrij Suslov, qualificato come «ascoltato consigliere del Cremlino», per precisare che Putin applica il principio della potenza russa con grande generosità nei confronti di Trump, rinunciando ad alcune pretese pur di liberarlo dall’impasse in cui finirebbe, se non ci fosse la pace e la Russia approfittasse del collasso dell’Ucraina e degli europei orfani del sostegno americano.

Quello che Bashirov chiama «il nuovo mondo dominato dalla forza» e che Suslov promette la Russia gestirà con inaspettata liberalità non è dunque solamente il mondo in cui la violenza ha preso il sopravvento sul diritto, e quindi legittima da sé le proprie pretese senza bisogno di giustificazioni esterne, ma è innanzitutto il mondo degli ex democratici convertiti, che si sono finalmente persuasi che qualunque ordine di diritto – quello a tutela dei singoli, come dei popoli – è artificiale e inefficiente, e gli interessi strategici che è possibile perseguire devono stare dentro, e non contro, la legge di gravità della realtà politica.

Le reazioni che l’invasione russa dell’Ucraina hanno suscitato nell’opinione pubblica europea – per non dire di quella italiana – sembrano confermare che l’infiltrazione ideologica del Putin-pensiero sia tale da pesare almeno quanto la minaccia di ritorsioni dirette, e che milioni e milioni di europei si siano convinti che lo stato di diritto, le garanzie costituzionali e la legalità internazionale non assicurino che un simulacro di libertà e di sovranità, e sia meglio scendere a patti con la violenza e riconoscerne i diritti, piuttosto che provare a fermare, con i fragili mezzi della politica, gli sfracelli e gli tsunami della storia.

Tutti i determinismi storici sono mitografie politiche, non teoremi scientifici, e questo non fa eccezione, come tutti quelli da cui deriva e che hanno appestato la storia degli ultimi due secoli. Ma questo, più di tutti gli altri, si scontra con un’evidenza empirica talmente contraria che è evidente che non è creduto come si crede alla prova di una verità di fatto, ma come a un conforto per un desiderio o a un alimento per una speranza.

I putiniani di Occidente non credono che Putin abbia vinto o stia vincendo, ma sperano e fanno in modo che lo faccia, perché credono che la sua vittoria sarebbe provvidenziale non per la russificazione dell’Occidente, ma per la sua liberazione dalla tabe liberale.

Si può pensare davvero che questa epidemia di sfiducia nella democrazia, nel cuore stesso dell’Occidente democratico, nasca dal successo di modelli politici alternativi e che tra questi quello russo rifulga di particolare grandezza e felicità?

Si può davvero – qui ci vuole – realisticamente pensare che milioni di europei e occidentali, che godono delle più ampie libertà, di un consolidato benessere e delle migliori protezioni sociali della storia dell’umanità, muoiano di invidia per i fasti di un regime di guerra economicamente e socialmente fallito, che sopravvive grazie alla rendita energetica e conserva una centralità strategica solo grazie alla rendita nucleare, ma che in tre anni e più di guerra su vasta scala contro l’Ucraina ha occupato a mala pena il dodici per cento del territorio del Paese aggredito?

Non è più realistico pensare che gli europei, e tra questi massimamente gli italiani, non si siano innamorati della potenza russa e delle sue caratteristiche (della sua miseria, della sua disuguaglianza, dei suoi arbitri cleptocratici, della sua inclinazione omicidiaria), ma proprio dell’ideologia della potenza che la Russia contrabbanda per legittimare le sue pretese, malgrado la propria clamorosa e accertata debolezza, anche militare?

Quando Matteo Salvini diceva che avrebbe scambiato mezzo Putin con due Sergio Mattarella, identificava nel criminale del Cremlino il nuovo Alessandro Magno da seguire nelle sue clamorose imprese, o un sabotatore dell’ordine liberale, che Salvini stesso, e con lui tutta la Vandea sovranista del continente, aveva per vie del tutto autonome imparato a disprezzare?

Il putinismo europeo è una conseguenza dell’odio di sé degli europei, che la guerra ibrida di Mosca rafforza e consolida, ma che origina dalla decomposizione morale dell’homo democraticus. È un fenomeno del tutto analogo, anche se apparentemente opposto, a quello che, dopo l’11 settembre 2001, ha portato un pezzo dell’Occidente a interpretare il nichilismo islamista come una vendetta meritata per le responsabilità dell’America e di tutto il mondo americano, o, dopo il 7 ottobre 2023, a scriminare il pogrom di Hamas come una conseguenza delle colpe storiche della cosiddetta entità sionista.

Il paradossale putinismo della destra americana, al di là dei ricatti e degli affari in cui Trump è impelagato in Russia da prima della sua elezione, da cosa origina, se non dalla comune guerra al globalismo liberale, che il sovranismo americano è stato educato a considerare, contro ogni evidenza, il principio della decadenza dell’America, e che è felicissimo di rottamare grazie al concorso del vecchio nemico russo?

I fochisti dell’odio e gli agenti del caos del Cremlino hanno compreso perfettamente questo meccanismo. Mi pare che lo abbiano capito assai meno bene quanti si ostinano a sdrammatizzare la penetrazione dell’odio anti-democratico nel corpo delle democrazie, e pensano sia preferibile troncare e sopire.

Più della minaccia della violenza russa, è il fascino del «mondo dominato dalla forza», di cui parlava Bashirov al Corriere, ad attirare nella rete russa le masse disorientate dai supposti fallimenti e tradimenti delle democrazie, e ad alimentare il culto dell’uomo forte come interprete diretto e infallibile dell’interesse collettivo del popolo.

A ben guardare, anche la forza della Russia al tavolo della spartizione dell’Ucraina con Trump è più una conseguenza che una causa di questa crescente disponibilità delle opinioni pubbliche occidentali ad accettare l’inaccettabile e rinnegare l’amicizia con la causa democratica ed europea degli ucraini.

La potenza militare della Russia è tutt’altro che irresistibile, ma è ingigantita dall’assenza di coraggio e consapevolezza, che impedisce all’Occidente di usare la propria forza, ancora soverchiante, e dal freno che milioni di cittadini democratici oppongono alla prospettiva di un impegno reale per la difesa della democrazia.

Winston Churchill resistette a Adolf Hitler non perché aveva i mezzi per farlo, ma perché aveva una ragione per farlo. Milioni e milioni di democratici, pur disponendo di tutti i mezzi necessari, pensano che resistere a Putin sia sbagliato, proprio perché non trovano più una ragione per farlo. Questa è la zavorra che i leader europei, Giorgia Meloni compresa, si porteranno addosso fino al 15 agosto, che potrebbe anche essere per loro l’ultima chiamata.

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Redazione Redazione Eventi e News