Il Garante della Privacy controllava mail dei dipendenti? L'Autorità smentisce
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Caso Fanizza, bufera sul Garante della Privacy: un documento interno che sta facendo il giro dei quotidiani online ha fatto esplodere il dibattito su controlli e privacy dei dipendenti.
Un documento interno, circolato inizialmente in forma riservata e poi finito rapidamente in Rete ha acceso una tempesta sul Garante per la protezione dei dati personali.
Tutto è cominciato quando la pagina Facebook della trasmissione televisiva Report ha pubblicato un post contenente un messaggio dai toni duri: secondo quanto riportato, il Segretario Generale dell’Autorità, Angelo Fanizza, avrebbe chiesto al dirigente del settore informatico di procedere con urgenza all’acquisizione di un vasto insieme di informazioni relative all’attività digitale dei dipendenti.
La richiesta, datata 4 novembre — cioè due giorni dopo la messa in onda della prima puntata di un’inchiesta della stessa Report — riguarderebbe l’estrazione delle caselle di posta elettronica, gli accessi tramite rete VPN, le cartelle condivise, gli spazi di archivio interno, fino ai sistemi di sicurezza utilizzati dall’ente. Un intervento che, secondo quanto affermano sia Report sia le testate che hanno successivamente rilanciato la notizia, avrebbe coinvolto in modo indistinto l’intero personale, e non solo specifiche figure.
Il documento incriminato
Tra i quotidiani che hanno diffuso il documento figura Il Fatto Quotidiano, che spiegano come l’atto sia stato protocollato alle 11:22 del 4 novembre 2025 e indirizzato a Cosimo Comella, responsabile della sicurezza informatica. L’ordine avrebbe previsto l’avvio immediato dell’attività di acquisizione, configurandosi — secondo quanto riportato — non come una verifica mirata ma come un accesso generalizzato a una grande quantità di dati interni.
La rivelazione ha immediatamente alimentato interrogativi e critiche, considerando il particolare ruolo dell’Autorità garante, istituzione chiamata proprio a vigilare sulla tutela della riservatezza dei cittadini e sul corretto trattamento delle informazioni personali. L’ipotesi che potessero essere stati avviati controlli approfonditi sui lavoratori, senza un quadro normativo o disciplinare esplicitamente richiamato, ha contribuito a inasprire il clima e ad amplificare l’attenzione attorno alla vicenda.
Il Garante della Privacy smentisce l’accusa del controllo mail dei dipendenti
A stretto giro è arrivata la replica ufficiale del Garante, diffusa tramite una nota istituzionale. Nel primo comunicato, l’Autorità prende le distanze dal contenuto dell’atto firmato da Fanizza, definendosi totalmente estranea all’iniziativa. Secondo quanto precisato, quella richiesta non avrebbe mai avuto seguito e non sarebbe stata approvata dal Collegio. La posizione del Garante è netta: l’ente ribadisce che, secondo il suo consolidato orientamento, l’accesso indiscriminato ai dati relativi all’utilizzo degli strumenti informatici da parte dei lavoratori può configurare una violazione dei diritti alla protezione dei dati personali.
Il documento sottolinea inoltre come qualsiasi attività di monitoraggio debba rispettare il principio di proporzionalità, essere motivata da specifiche esigenze organizzative o di sicurezza e svolgersi all’interno di un quadro normativo chiaro. Un richiamo che sembra voler rafforzare la posizione dell’Autorità rispetto alle regole che essa stessa è chiamata a far rispettare nel settore pubblico e privato.
Nonostante il tentativo di chiarire la situazione, le polemiche non si sono placate. La pubblicazione del documento e la sua rapida circolazione hanno suscitato un vivace dibattito politico e mediatico, con interrogazioni e richieste di ulteriori spiegazioni sull’operato della struttura. In molti hanno sottolineato la delicatezza del caso, in cui si intrecciano trasparenza amministrativa, garanzie per i lavoratori e l’immagine di un’istituzione centrale nel panorama della privacy nazionale.
Le dimissioni di Fanizza
Il secondo comunicato diffuso dal Garante ha aggiunto un nuovo elemento alla vicenda: le dimissioni del Segretario Generale Angelo Fanizza. La nota, breve e formale, annuncia che Fanizza ha rimesso il proprio incarico e che il Collegio ha accolto la decisione, ringraziandolo per l’attività svolta nel corso del suo mandato. Nessun riferimento diretto al caso del documento, nessuna spiegazione sulle motivazioni, ma la tempistica lascia inevitabilmente pensare a un collegamento tra gli sviluppi degli ultimi giorni e la scelta dell’ex Segretario Generale.
Le dimissioni, pur non accompagnate da commenti aggiuntivi, rappresentano un passaggio significativo. La figura del Segretario Generale riveste infatti un ruolo strategico nell’organizzazione dell’Autorità, coordinando le diverse direzioni e garantendo l’attuazione delle decisioni adottate dal Collegio. La sua uscita di scena apre ora una fase di assestamento interna, mentre si attendono ulteriori chiarimenti ufficiali sull’intera vicenda.
La vicenda solleva tanti interrogativi
Il caso solleva domande più ampie riguardo all’uso degli strumenti digitali nei luoghi di lavoro e ai confini tra esigenze di sicurezza e tutela della riservatezza. In un’epoca in cui gran parte dell’attività lavorativa passa attraverso piattaforme informatiche, server interni, accessi da remoto e sistemi di archiviazione condivisi, cresce la necessità di garantire controlli adeguati, ma anche di preservare i diritti dei lavoratori in modo rigoroso. Il nodo centrale resta quello del bilanciamento tra interessi organizzativi e libertà individuali, tema di cui l’Autorità si è occupata più volte nel corso degli anni con linee guida, sanzioni e interpretazioni normative.
È probabile che il caso continuerà a far discutere nelle prossime settimane, anche in attesa di eventuali approfondimenti interni e di chiarimenti ulteriori sul percorso decisionale che ha portato alla redazione del documento contestato. Nel frattempo, la vicenda mostra quanto sia sensibile e complesso il tema della protezione dei dati, soprattutto quando coinvolge direttamente l’ente preposto a garantirla.
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