Il mito balneare del Novecento e il declino inarrestabile del ceto medio

Nel più sottovalutato film della storia del cinema italiano, “Sapore di mare 2”, l’autista del commendatore gli dice che va in ferie, e quello gli risponde: «L’autista del mio povero babbo andò in ferie dopo averlo accompagnato al camposanto». È a quella scena stupenda che ho pensato osservando Alessandro Zan che scrive «per milioni di italiani le vacanze ormai sono un miraggio», e una tal Stella che smentisce indignata: «Persino la nostra domestica è in vacanza». Con tutta la polvere che ci sarebbe da togliere al camposanto.
Mentre il ceto medio complessato si affanna a scrivere ovunque che tutti parliamo della pace nel mondo, a cena in spiaggia al tavolo da bridge sul campo di padel, non abbiamo altro argomento di conversazione e causa di insonnia, la verità è che alle disgrazie del mondo non ci pensa nessuno che non abbia una telecamera accesa in faccia, e il tema di conversazione del momento è l’apparente contraddizione tra l’eccesso d’umanità ovunque e il lamento per le spiagge vuote.
Sono, pare, vuote quelle che dovrebbero essere piene, cioè quelle che io ho visto per l’ultima volta negli anni Ottanta: le spiagge di Riccione o di Gabicce dove si andava a dormire la mattina dopo aver fatto l’alba in discoteca. Quelle spiagge che per rassicurarci devono avere sempre l’aspetto che avevano sessant’anni fa.
Nel 1965, quando Dino Risi gira “L’ombrellone”, ad agosto Roma è spopolata come lo è nel film, quando Enrico Maria Salerno la attraversa prima d’andare a Riccione: ci sono due ragazze che passeggiano in via del Corso, nessuno in piazza Venezia, due macchine in piazza di Spagna, piazza del Popolo deserta.
Riccione è un carnaio, e per contrasto le immagini della spiaggia le vediamo dopo quelle della Roma post-nucleare: carne su carne, lettini su lettini, ombrelloni appiccicati l’uno all’altro – la mia idea di inferno. Perfino il molo è pieno di gente, che incubo. È vero che quest’anno non è così? Non lo so io e non lo sapete neanche voi.
Ognuno ha un bilancio da far quadrare, e i guadagni non sono mai abbastanza, per il proprietario dello stabilimento a Forte dei Marmi così come per il capo di Booking, Glenn Fogel, che ha detto al Financial Times che «non è che la gente non viaggi: viaggiano, ma non vanno negli Stati Uniti», perché c’è troppa coda al controllo passaporti, i turisti si scocciano e Trump deve risolvere questo problema (che esisteva già la prima volta che sono andata lì io, quarant’anni fa). Negli Stati Uniti non vanno, in spiaggia in Italia non vanno: dove vanno?
È, come per tutto, impossibile sapere una verità che non sia solo utilità propagandistica: dipende da chi fa la domanda, ma pure da chi dà la risposta. Repubblica gira un video in cui la popolazione si lamenta dei prezzi, e un signore dice che ci vuole «la livella di Totò»: no, non intende che devono morire, è solo un abitante di questo secolo con poca proprietà di linguaggio, intende dire che bisogna andare nelle spiagge libere.
Solo che siamo fatti al novanta per cento di abitudini, e all’italiano se gli levi lo stabilimento attrezzato, il bagnino che dice che a lei signora ho tenuto l’ombrellone più bello, la cabina dove cambiarsi il costume bagnato perché sfilarselo al volo sotto l’asciugamano non è da persone perbene, all’italiano piccolissimo borghese se gli levi quella roba lì è come se gli levassi la pastasciutta.
Non importa che il mondo sia pieno di gente più ricca di lui abituata alla spiaggia libera: l’italiano no, l’italiano a malapena benestante non vorrebbe mai essere un quasi ricco forestiero che si porta l’ombrellone sotto braccio, ma forse neppure vorrebbe essere un italiano davvero ricco, perché a lui la vacanza a tuffarsi dalla barca e nuotare fino alla spiaggetta deserta non pare mica una buona idea, e poi come fai a cambiarti e a metterti il costume asciutto?
All’italiano medio Jacqueline Onassis nuda a Skorpios non pare una padrona del mondo che non deve più dimostrare niente a nessuno e fa esattamente quel che vuole: pare una disperata che non ha trovato un pareo o una cabina in cui cambiarsi.
Sotto il video della livella i commentatori prevedibilmente infieriscono domandandosi con che coraggio si faccia la morale ai prezzi del noleggio della sdraio e del pedalò con un editore che ha chiuso le fabbriche in Italia perché gli costa meno produrre all’estero, ed è un po’ il problema di tutto e la ragione per cui, nonostante il lettore medio di Repubblica finga di parlare di Gaza a ogni cena, si parla solo dell’affollamento di spiagge nelle quali nessuno di noi andrà mai: perché è un argomento che, se non sei John Elkann, è finalmente neutro, finalmente senza conflitti d’interessi, finalmente senza tensioni a tavola – nessuno ha un parente bagnino, nessuno ha investito in un lido, tra quelli che siamo e quelli che frequentiamo.
È possibile che nella Riccione del 2025, quella di un mondo con otto miliardi d’abitanti, ci sia meno gente che in quella del 1965, quando eravamo poco più di tre miliardi? È in effetti antintuitivo, però la metà del Novecento era un periodo irripetibile in cui le donne lavoravano meno, madri e bambini facevano tre mesi di mare, e ad agosto li raggiungevano persino gli Enrico Maria Salerno dalla città. Adesso nessuno può permettersi di mollare vita e carriera per tre mesi, e i proprietari di seconde case in luoghi di villeggiatura ci vanno a giugno, perché a luglio e agosto conviene affittarle, considerato che gli italiani che piangono miseria vivono da ricchi e sono disposti a pagare qualunque cifra per una casa al mare per una o più settimane.
Il che ci porta alla parte davvero divertente della conversazione: ma gli italiani come campano? Perché gli stipendi sempre quelli sono, e non vedo come possano bastare: tutto è caro come a Londra, ma con gli stipendi dell’Angola (adesso come minimo arriva un fact-checker a dimostrarmi che in Angola guadagnano assai meglio e una sdraio a Baia Azul costa meno di una a Pinarella di Cervia).
C’è una notevole parte d’Italia che campa coi soldi di famiglia, grazie ai quali non fa la vita che si potrebbe permettere col suo miserando stipendio ma è in grado di concedersi lunghe vacanze, scuole straniere per i figli e altre amenità. Prima o poi i soldi ereditati finiranno, e allora sì saranno cazzi. Quando dico questa cosa, a dirmi che esagero sono sempre gli amici il cui tenore di vita è reso possibile dall’affittare un paio di appartamenti di cui ha fatto loro dono mammà. Per carità, mi sbaglio sicuramente, Bruto dice che non campa coi soldi di famiglia, e Bruto è uomo d’onore.
Sospetto che quella parte d’Italia lì il lettino lo prenda comunque, però forse non basta a tener su il giro d’affari balneare, forse è solo il campione fallato che osserviamo noialtri. Abbiamo tutti un amico che ripete ottusamente che d’estate Milano si svuota, come fosse il 1965. Invece è il 2025, quando non si svuota più niente mai perché, a parte chi resta in città perché non può permettersi di spostarsi, ci sono quelli che si spostano verso le città. Maledetta RyanAir, maledette vacanze intelligenti.
Però ci sarà, fuori dai limiti dello sguardo nostro e dei più stolidi dei nostri amici, qualcuno cui nessuno ha lasciato case o rendite, qualcuno che deve vivere come si vive in un mondo ideale: del proprio lavoro. E quel qualcuno mi pare facile non solo che non possa permettersi l’ombrellone, ma anche il caffè con la brioche. Però non solo quest’anno: non è che uno o cinque o dieci anni fa invece gli stipendi medi fossero adeguati al costo della vita nelle città (forse se vivi a Matera, ma neanche: tra i portati dell’overdose di turismo c’è che tutto diventa destinazione appetibile, e tutto ciò che è appetibile rincara).
Tra le analisi ubriache lette in questi giorni, quella che ho amato di più è di Claudio Borghi: dice che è colpa dell’aria condizionata. Che, da quando lui l’ha installata a casa, moglie e figli non fuggono più a giugno (non si hanno notizie della domestica: sarà in vacanza con quella di Stella, o resta lì ligia fino al camposanto?). Su Twitter (o come si chiama ora) lo sbeffeggiano molto, ma tuttissimi i torti non li ha: da maggio a ottobre, per farmi spostare dall’aria condizionata devi propormi una destinazione imperdibile (e altrettanto condizionata) – mica sono più la sedicenne cui andava bene persino l’Adriatico.
Nel Novecento gli americani inventarono la parola staycation per quelli che in vacanza stavano a casa, non facevano niente, non partivano, non si sbattevano. Per povertà o per pigrizia o per perversione: l’esito è lo stesso. Bisogna calcolare se economicamente conviene, considerati i costi dell’elettricità, ma – quanto a piacevolezza del soggiorno – tra il lido affollato con la musica a palla e il bambino Marco col costumino blu che si smarrisce, e casa mia con l’aria condizionata, beh, io non avrei molti dubbi.
Però, certo, l’obiezione è la stessa che mi facevano alcuni amici durante le clausure pandemiche: mica sono tutti te che devono scegliere in quale salotto sdraiarsi a leggere, la gente vive in quattro in appartamenti con un solo bagno, certo che sono isterici. Federico Fellini diceva che non aveva mai fatto una vacanza, e non perché era nato in un posto di mare: perché si divertiva lavorando. Insomma: facciamo presto a parlare, noi privilegiati.
Però è tutto così: c’è chi è più e chi meno fortunato, chi fa più e chi meno vacanze, chi ha lavori che possono essere più o meno abbandonati, chi è lieto di fare due giorni di villeggiatura perché al terzo s’annoia e chi vuole avere per due mesi lo stesso ombrellone, chi resta serenamente a casa perché ci sta benissimo (Stella) e chi guai se non parte (la sua domestica).
Invece, a sentire il dibattito sulle spiagge con meno clientela del previsto, sembra esista una norma nella quale bisogna rientrare, altrimenti si è infelici. Ho letto gente scrivere che le vacanze sono un diritto, ma no, non lo sono. È che, da quando abbiamo iniziato a cianciare di diritti, abbiamo perso di vista quali lo siano e quali siano solo desideri.
Considerato che siamo, noi che siamo adulti da un po’, finora stati così fortunati da poter dare per scontati diritti quali la pensione o il pronto soccorso, mi preoccuperei dello smantellamento di quelli, invece di dolermi perché la classe media, parlandone da viva, non può prendere tutti i RyanAir che vorrebbe per spostare la sua triste vita in un diverso codice postale per qualche settimana.
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