Intervista con Carlotta Parodi, protagonista del film “Sabbie mobili”: “Bisogna aiutare e non giudicare chi ha un disagio psichico”

“Ho riportato nel mio personaggio quei frammenti di realtà che hanno caratterizzato la mia infanzia, uniti ai racconti delle donne intervistate, ho fatto mie quelle sensazioni e poi ho esposto il mio dolore”. Carlotta Parodi è la protagonista del cortometraggio di Andrea Vico “Sabbie Mobili”, un’opera che affronta con profondità e rigore narrativo la tematica della depressione post-partum, restituendo voce e dignità a una condizione ancora oggi troppo spesso trascurata dal dibattito pubblico.
L’attrice, con grande intensità e veridicità, interpreta Vera Vitale, una giovane donna il cui più grande desiderio è diventare madre. Una volta rimasta incinta, viene prima abbandonata dal compagno e poi rinnegata dalla propria famiglia d’origine, che non approva il concepimento di un figlio fuori dal matrimonio cattolico. La donna si ritrova, dopo la nascita di sua figlia, a fare i conti con l’estrema solitudine, le difficoltà finanziarie e l’aggravarsi di un disturbo psichiatrico che la porterà a pensare di sacrificare ciò che ha più desiderato nella vita.
Il film è stato insignito del Premio per l’Alto Valore Sociale alla settantacinquesima edizione del Montecatini International Film Festival e ha ottenuto, ad oggi, oltre ventisei riconoscimenti internazionali, tra cui premi per la Migliore Attrice e per l’eccellenza nella trattazione della tematica sociale.
Carlotta, è protagonista nel ruolo di Vera Vitale e ha collaborato alla scrittura di “Sabbie mobili”, corto che affronta un tema poco trattato al cinema quale la depressione post partum…
“L’idea è nata dal regista Andrea Vico. Stava leggendo un libro di un noto psichiatra italiano che racconta la storia vera di una mamma a cui è stato dato un nome di fantasia, Giovanna, che andava da questo psichiatra e diceva che prendeva un coltello e si metteva alla prova, si avvicinava al suo bambino neonato e cercava di capire se fosse in grado di non ucciderlo. Andrea Vico un pomeriggio mi ha chiamata per chiedere di quale disturbo potesse trattarsi, dato che ho studiato psicologia, e io senza voler azzardare una diagnosi, che non è assolutamente di mia competenza, ho risposto che poteva essere un disturbo ossessivo compulsivo. Poi ho sottoposto la questione alla psicologa da cui andavo regolarmente all’epoca che ha confermato la mia tesi. Andrea mi ha quindi chiesto se volessi interpretare questo personaggio. All’inizio ho risposto di no, perchè mia nonna materna ha avuto gli stessi disturbi di Vera e non me la sentivo di andare a toccare quelle corde, di scendere nelle mie zone buie, poi ho pensato che poteva essere un modo per esorcizzare le paure e ho accettato. Per quanto riguarda la sceneggiatura ho scritto invece la parte legata al comportamento di Vera e del fratello, e al disturbo psichiatrico in sé, sia il depressivo maggiore sia quello ossessivo compulsivo di cui questa donna soffre, oltre alla depressione post partum”.
Vera si trova ad affrontare tante difficoltà, dall’abbandono del compagno, alla famiglia che la rinnega, dalla solitudine alle difficoltà anche finanziarie. Come si è preparata per riuscire a rendere con il corpo e con le parole queste emozioni contrastanti che il personaggio vive?
“Innanzitutto abbiamo contattato una psichiatra di Padova, che ha un’associazione chiamata Kairos Donna, che si occupa solo di mamme con depressione post-partum, e grazie a lei ho potuto parlare con loro, le ho intervistate, ho guardato dei video in cui raccontavano le loro storie e spesso erano accomunate da una depressione post-partum, in comorbidità con un altro disturbo, da quello psico-compulsivo agli attacchi di panico, all’ansia generalizzata. In alcune situazioni il marito abbandonava la moglie e quindi veniva meno la capacità di badare a se stessa, perché la famiglia anziché dare supporto la faceva sentire ancora più sola e giudicata. In alcuni casi la donna si rivolgeva alle associazioni che riuscivano ad aiutarla e a tirarla fuori da questo momento di sofferenza, altre volte invece accadevano tragedie, a lei o al figlio. Nella preparazione ho poi messo al servizio del personaggio la mia conoscenza rispetto a quei disturbi. Mia nonna materna, come dicevo prima, soffriva di disturbo ossessivo compulsivo, è stata molto male per diverso tempo, aveva alti e bassi, ricadute, ha avuto anche la depressione post partum quando è nata mia madre che è stata pertanto affidata a una balia, che l’ha cresciuta fino a quando è andata alle scuole elementari. Avevo dunque un esempio pratico, degli atteggiamenti molto chiari davanti a me, come la scena del rosario, della preghiera compulsiva, che ho visto realmente fare. Ho così riportato in Vera quei frammenti di realtà che hanno caratterizzato la mia infanzia, uniti ai racconti delle donne intervistate, ho fatto mie quelle sensazioni e poi ho esposto il mio dolore, avendo avuto anch’io delle sofferenze importanti nella vita, cercando di renderlo autentico, nonostante non sono mamma”.
Dal film emergono due messaggi preziosi, innanzitutto l’importanza di chiedere aiuto, di affidarsi agli altri senza vergognarsi, e poi il fatto che spesso in una situazione difficile ci si chiede “cosa c’è di sbagliato in me?”, quando in realtà non c’è nulla di sbagliato nella persona, ma sono le situazioni che si vengono a creare che la portano poi a pensare questo…
“Oggi va un po’ meglio ma per anni ho sofferto di attacchi di panico, e provavo vergogna nel dire alle persone che non riuscivo ad andare in un determinato posto perché sarei stata male. Intorno al disagio psichico c’è tanto stigma, però se parli intimamente con gli altri ti apri e capisci che tutti noi abbiamo qualche fragilità. Ai Festival in giro per il mondo a cui abbiamo preso parte con “Sabbie Mobili” ho spiegato che per me è importante che passi il messaggio di chiedere aiuto, e che non bisogna vergognarsi della propria condizione. Se tu hai una gamba rotta non hai vergogna a dire che non riesci ad andare al lavoro, che devi fermarti per ristabilirti, invece se hai un disagio psichico vieni giudicato, ti viene detto che è tutto nella tua testa, che non è un problema. E’ necessaria dunque una maggiore informazione anche da parte delle istituzioni, sul territorio, nei consultori. Bisogna aiutare e non giudicare”.
In “Sabbie mobili” la figura del fratello è quella che rappresenta il pregiudizio, che non comprende la sofferenza di Vera e che la etichetta anche come una donna non realizzata professionalmente, sminuendola ancora di più…
“Il personaggio del fratello è stato scritto in quel modo proprio perché incarnasse lo stigma, il pregiudizio che proviene da una famiglia benestante, molto cattolica, dove il padre era medico e lui ha tentato di seguirne le orme. Una famiglia che non ha mai accettato che Vera potesse avere un figlio fuori dal matrimonio, che potesse avere delle fragilità, che potesse cadere. Il corto è tratto da una storia reale, quindi mi chiedo se sia più importante apparire o essere, dire faccio il medico, ho una bella casa, ho migliaia di follower sui social, o curarsi di sé e degli altri, cercando di creare una società migliore di quella che abbiamo oggi?”.
“Sabbie mobili” ha partecipato a tanti festival e lei ha ricevuto oltre venti premi come miglior attrice…
“Considerando che all’inizio non volevo nemmeno fare questo film, è stata una grande soddisfazione (sorride). Prima di “Sabbie Mobili” ho lavorato in altre produzioni per la Rai, per Netflix, ma non mi era ancora capitato di interpretare un ruolo così intenso, con tante sfaccettature e quindi sono felice per questi premi, che mi hanno anche permesso di andare negli USA e intraprendere una carriera. In un primo momento diversi festival hanno faticato ad accettare il film trattando una tematica forte, in modo anche crudo, in quanto poteva costituire un problema per un pubblico di ragazzi. Invece quando lo hanno visto è stato apprezzato e ho ricevuto una ventina di premi in Italia, in Europa e nel mondo”.
C’è una tematica o una sfumatura del femminile in particolare che le piacerebbe esplorare?
“Ce ne sono tante. Prossimamente sarò la protagonista, insieme ad altri attori, di un lungometraggio che si chiamerà “The Stray Beauty”, e sarà girato tra Genova e New York. Il mio personaggio è una tossicodipendente. Avevo interpretato un ruolo di questo tipo in una fiction per famiglie in onda su Rai 1 ma in questo caso viene raccontata una sfaccettatura diversa della dipendenza. Nel film questa ragazza ruba per vivere e per procurarsi la droga. E’ un personaggio femminile molto bello, è una donna che ha sofferto tanto, massacrata dalla vita e dalla famiglia, ma nonostante tutto resta in piedi e cerca sempre di dare una mano all’altro. Sono elettrizzata dalla possibilità di interpretare questo ruolo perché trovo che ci siano delle sfumature che non vengono viste nelle persone che hanno questo tipo di fragilità e di dipendenza. Sono nella fase di preparazione e non vedo l’ora di dare vita a questa donna”.
In quali altri progetti sarà impegnata?
“Ho in programma anche un documentario, sempre a New York, che parla dei messicani che raccolgono lattine e bottiglie e le portano a un centro di raccolta, venendo pagati, quindi per loro è un vero e proprio lavoro. Non reciterò ma intervisterò, parlando lo spagnolo, queste persone e le accompagnerò nelle operazioni di raccolta”.
di Francesca Monti
Si ringrazia Giuseppe Zaccaria
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