La linea testardamente unitaria di Meloni tra Trump e Bruxelles

Può darsi che abbia ragione Charles Kupchan, quando dice, al Corriere della sera di domenica, che Donald Trump non l’avrà neanche letto, quel tremendo documento sulla Strategia di sicurezza nazionale di cui si parla da giorni, e che sembra la versione più elaborata ed estesa del famigerato discorso di J.D. Vance alla conferenza di Monaco. Può darsi che l’estrema prudenza degli europei, diciamo pure la loro remissività dinanzi agli attacchi americani, sia al momento l’unico modo di trattenere l’ondivago e capriccioso presidente dal compiere scelte irreparabili, per l’Ucraina, per la Nato e per l’Europa, verso cui evidentemente lo spingono in tanti, anche dentro la sua amministrazione. Può darsi dunque che anche tante critiche alla debolezza dell’Ue e alla mancanza di spina dorsale degli europei dinanzi a Trump siano ingenerose o ingenue, comunque irrealistiche (fa in ogni caso una certa impressione vedere il compassato Ferruccio de Bortoli iniziare oggi il suo editoriale al riguardo, sul Corriere della sera, con le parole «siamo troppo educati», segno evidente di quanto la situazione si sia fatta grave).
In ogni caso, alla luce delle considerazioni di cui sopra, si potrebbe essere tentati di giustificare allo stesso modo anche la tenace ambiguità di Giorgia Meloni, nel suo strenuo sforzo di tenere insieme Usa e Ue, con quella che Elly Schlein chiamerebbe senz’altro una linea «testardamente unitaria». C’è però, in questo ragionamento, apparentemente plausibile, un dettaglio che non torna. Se l’ambiguità di Meloni avesse le stesse motivazioni e lo stesso significato della prudenza europea, perché ieri non era a Downing Street, con Volodymyr Zelensky, assieme ai leader di Gran Bretagna, Francia e Germania, per la riunione dei cosiddetti Volenterosi, cui si è aggiunta solo da remoto, come al solito, nella successiva riunione online? Gli abbracci e le frasi di circostanza con cui oggi Meloni accoglierà a Roma il presidente ucraino non basteranno a coprire questa spaccatura, tanto più grave nel momento in cui i fascisti che hanno preso il controllo della Casa Bianca dichiarano guerra all’Europa.
La verità è che oggi l’America, come scrive Christian Rocca su Linkiesta, è «guidata da una cosca di affaristi interessati soltanto al business personale e da una setta nazional-razzista che si ispira ideologicamente all’apartheid sudafricano» e che «entrambi, affaristi e neo afrikaaners, sono spalleggiati e istigati dai nuovi “conquistadores digitali” (copyright Giuliano da Empoli) che alimentano il caos globale e sfruttano l’arma dell’algoritmo per intorpidire la società aperta». La differenza tra la prudenza dei leader europei, compresi i Volenterosi, e l’ambiguità di Meloni sta nel fatto che i primi devono dissimulare la propria avversione ai metodi e alle parole d’ordine dell’Amministrazione Trump per non compromettere il rapporto con gli Stati Uniti; la seconda, al contrario, deve dissimulare la propria affinità ai nuovi fascisti americani, per non compromettere il rapporto con l’Unione europea. Ma è fin troppo chiaro cosa pensi davvero, e sarebbe ora che anche tanti benevoli osservatori aprissero bene gli occhi sul vero significato e sulle concrete implicazioni della sua posizione, che si configura sempre più scopertamente come un nuovo atlantismo antieuropeista. Del resto, non c’è una riga del documento sulla Strategia di sicurezza nazionale che non potrebbe figurare in un volantino sovranista, a cominciare dalla ridicola campagna dei signori delle piattaforme contro la presunta censura europea. Uno dei tanti grotteschi rovesciamenti della realtà cui ci siamo purtroppo abituati, come sottolinea giustamente Rocca quando se la prende con questi «oligarchi di regime che parteggiano per gli eversori dello Stato di diritto, annebbiano le menti occidentali e criticano, di concerto con i macellai del Cremlino e i razzisti della Casa Bianca, la società e le istituzioni europee accusandole di censura del dibattito pubblico, malgrado gli unici a censurare siano russi, cinesi e compagnia malvivente, tanto che uno degli sgherri di Putin per denunciare su X, sulla scia di Elon Musk e J.D. Vance, l’inesistente mancanza di libertà di parola in Europa ha dovuto usare una vpn francese perché X in Russia è, appunto, vietato».
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