Le elezioni in Romania: un test cruciale (e ambiguo) per la democrazia europea

Maggio 19, 2025 - 21:00
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Le elezioni in Romania: un test cruciale (e ambiguo) per la democrazia europea

di Riccardo Renzi

Le elezioni presidenziali rumene del maggio 2025 sono state presentate da Bruxelles come una vittoria per la democrazia liberale e per il fronte europeista. Il candidato civico e moderato Nicușor Dan ha battuto al ballottaggio George Simion, leader del partito AUR, con il 54,2% dei voti. Tuttavia, dietro la facciata di normalità democratica, restano molteplici interrogativi: il voto è avvenuto dopo l’annullamento di un primo turno controverso nel dicembre 2024; la campagna elettorale è stata attraversata da accuse di interferenze russe e manipolazioni mediatiche; e lo stesso risultato elettorale riflette una polarizzazione profonda della società rumena. Più che un consolidamento democratico, queste elezioni evidenziano le tensioni interne all’Unione Europea tra sovranismo crescente e difesa dello status quo liberale.
Le elezioni presidenziali rumene del 2025 si sono svolte in un clima incandescente, sia a livello interno sia europeo. La Romania, membro chiave del fianco est della NATO e dell’UE, si è trovata al centro di una contesa ideologica che ha visto scontrarsi, più che due candidati, due visioni del mondo: quella europeista, tecnocratica, filoccidentale e quella identitaria, conservatrice, euroscettica.
Il vincitore, Nicușor Dan, ex sindaco di Bucarest, è stato sostenuto da un’ampia coalizione di forze liberal-democratiche, ma la sua figura rimane controversa. Nonostante si sia presentato come indipendente, è percepito da molti come un candidato d’apparato, una figura scelta per rappresentare “tutto tranne l’estrema destra” – un modello simile a quello francese. Il suo sfidante, George Simion, è stato invece il volto dell’“antipolitica” romena: nazionalista, euroscettico, vicino a correnti politiche di destra radicale e, per alcuni osservatori, ambiguamente filorusse.
Il voto di maggio è stato preceduto da un episodio senza precedenti: l’annullamento del primo turno delle elezioni presidenziali del dicembre 2024. Secondo la Corte Costituzionale, sarebbero emerse gravi irregolarità, tra cui l’uso illecito di tecnologie digitali (compresa l’intelligenza artificiale per microtargeting elettorale), fondi opachi provenienti dall’estero, e attacchi informatici che avrebbero compromesso la sicurezza del sistema elettorale. Il maggiore beneficiario del voto annullato era Călin Georgescu, figura sostenuta da ambienti di estrema destra e considerato vicino al Cremlino.
L’intervento della magistratura ha sollevato dubbi tanto quanto ne ha dissipati: è stato un atto di salvaguardia democratica o una decisione motivata politicamente per impedire l’ascesa della destra radicale? La tempistica e la natura delle accuse (molte delle quali mai provate pubblicamente) hanno lasciato più domande che risposte.
Nel secondo tentativo di eleggere un presidente, le tensioni sono esplose apertamente. La campagna elettorale è stata inquinata da una guerra dell’informazione a più livelli. Da una parte, l’accusa – sostenuta da osservatori occidentali e think tank – di un coinvolgimento russo attraverso campagne di disinformazione su Telegram, TikTok e altre piattaforme. Dall’altra, sono emerse denunce inquietanti: secondo Pavel Durov, fondatore di Telegram, i servizi segreti francesi avrebbero tentato di esercitare pressioni su di lui per limitare la diffusione di contenuti favorevoli a Simion.
L’accusa, pur priva di prove concrete, ha avuto un impatto mediatico dirompente, evidenziando un cortocircuito democratico: mentre l’Occidente denuncia l’influenza russa, si scopre che anche governi europei potrebbero aver cercato di condizionare il dibattito online. La domanda, quindi, si ribalta: chi influenza chi?
La vittoria di Nicușor Dan è stata salutata a Bruxelles come un baluardo contro la deriva illiberale. Tuttavia, l’analisi dei numeri racconta una storia più sfumata. Al primo turno, la somma dei voti ottenuti da Simion e da altri candidati conservatori superava il 40%. Al ballottaggio, Simion ha raggiunto il 45%. Ciò significa che, nonostante la mobilitazione della diaspora e l’allineamento dei media europei a favore di Dan, quasi metà del Paese ha comunque votato per l’anti-establishment.
Inoltre, i metodi utilizzati per “spingere” l’affluenza europeista sono stati oggetto di critiche: vi sarebbero state irregolarità nel voto assistito degli anziani, problemi nei registri elettorali, e segnalazioni di schede inviate a cittadini deceduti. Nessuna di queste anomalie ha però avuto lo stesso peso del presunto “intervento russo” di dicembre.
La gestione narrativa delle elezioni rumene si inserisce in un più ampio schema europeo, che si è manifestato anche in altri Paesi nel cosiddetto “Super Sunday” elettorale di maggio 2025. In Polonia, il populista Nawrocki ha messo in difficoltà l’europeista Trzaskowski, mentre in Portogallo il partito identitario Chega ha consolidato la propria posizione come seconda forza nazionale. In tutta Europa, i media mainstream hanno spesso etichettato le forze non allineate al centro liberal come “putiniane”, anche in assenza di reali legami con Mosca.
Si tratta di una strategia comunicativa che ha una sua efficacia: semplifica lo scontro politico, lo polarizza, e trasforma ogni consultazione elettorale in un referendum tra civiltà e barbarie. Tuttavia, questa narrazione può anche ritorcersi contro l’establishment europeo, alimentando la sfiducia nelle istituzioni e rafforzando la sensazione, diffusa in molti elettori, di essere manipolati da élite transnazionali.
Nicușor Dan si trova ora in una posizione fragile. Non appartiene a nessun partito, ma per governare dovrà ottenere la fiducia di un Parlamento dominato da forze liberal-socialiste da cui si è pubblicamente dissociato. La formazione di un governo stabile appare complicata, e la possibilità di un ritorno alle urne non può essere esclusa. Nel frattempo, il paese resta spaccato tra due visioni inconciliabili di futuro.
Più in generale, la Romania appare come uno specchio delle contraddizioni europee: si festeggia la sconfitta dell’estrema destra, ma si ignora che essa continua a crescere ovunque. Si denuncia la manipolazione russa, ma si tace quella interna. Si proclama la vittoria della democrazia, ma ci si dimentica di domandare a quale prezzo.
Le elezioni presidenziali romene del 2025 non sono state semplicemente un voto nazionale, ma uno stress test per l’architettura democratica europea. Hanno mostrato quanto sia fragile la legittimità politica quando le regole sembrano cambiare a seconda di chi le rispetta o le infrange. E hanno indicato che la battaglia per il cuore politico dell’Europa è appena cominciata.

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Redazione Redazione Eventi e News