Mala digitalizzazione: anche pensionato di Tortoreto dato per deceduto dall'INPS

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Un altro pensionato, stavolta a Tortoreto (TE), costretto a dimostrare di essere vivo per ripristinare la pensione sospesa dall’INPS. Dopo il caso di Posta Fibreno, la burocrazia digitale crea nuovi disagi.

Dopo l’incredibile vicenda del sig. Michele, pensionato di 78 anni di Posta Fibreno (FR) erroneamente dichiarato deceduto dall’INPS a causa di un certificato di morte attribuitogli per errore, un secondo caso analogo si è verificato a inizio 2025: protagonista il sig. Franco, pensionato residente a Tortoreto (TE), che si è visto improvvisamente sospendere la pensione, nonostante fosse regolarmente in vita.

L’episodio, benché differente nelle cause, solleva nuovamente dubbi sull’affidabilità della gestione automatizzata dei dati sensibili da parte dell’ente previdenziale. E ancora una volta, a pagarne le conseguenze sono cittadini anziani, obbligati a provare la propria esistenza per riavere ciò che è loro.

Il caso Michele: un errore di morte con effetti reali

Nel marzo 2024, il sig. Michele ha scoperto improvvisamente che l’INPS aveva interrotto il pagamento della sua pensione. La causa? Un errore anagrafico: era stato registrato come deceduto a seguito di un certificato di morte compilato erroneamente. Un altro cittadino era effettivamente morto, ma la documentazione è stata associata per sbaglio alla sua posizione.

Il risultato è stato un paradosso kafkiano: nessuna pensione per mesi, telefonate senza risposta, iter burocratici tortuosi per dimostrare che era vivo. Alla fine la situazione è rientrata, ma senza che venisse riconosciuto alcun indennizzo per il danno subito.

Il caso Franco: l’IA lo “sospende” perché l’IBAN è estero

Il 1° gennaio 2025, anche il sig. Franco ha vissuto un’esperienza surreale. Come ha raccontato lui stesso:

Il 1° gennaio la pensione non arriva, penso a un ritardo. Dopo vari tentativi di contatto senza risposta, mi reco dai Carabinieri. Un funzionario mi consiglia di andare di persona all’INPS. Ma la sede è a 20 km e la mia patente è scaduta. Mi viene suggerito di prendere un taxi, ma sono 40 km andata e ritorno, a mie spese.

Dopo settimane di silenzio, l’INPS gli risponde spiegando che il suo IBAN, da anni utilizzato per l’accredito, è stato ritenuto “anomalo” perché collegato a una banca con sede in Lituania. L’intelligenza artificiale che ora gestisce molte delle verifiche interne ha considerato quel dato sufficiente a classificare il conto come “potenzialmente riconducibile a una persona deceduta”. Da qui, la sospensione.

Alla fine mi è stato chiesto di dimostrare ufficialmente di essere vivo, con raccomandata e documento firmato. Un’esperienza traumatica e umiliante.

Solo a marzo la pensione è ripresa, e in aprile gli sono stati versati gli arretrati, senza alcun riconoscimento per il disagio subito.

Il lato oscuro dell’efficienza digitale

È innegabile che la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, se correttamente impiegate, rappresentino strumenti preziosi per modernizzare la Pubblica Amministrazione. Tuttavia, i casi del sig. Michele e del sig. Franco dimostrano come l’uso non controllato di sistemi automatizzati possa trasformare un tentativo di semplificazione in una trappola burocratica.

Conclusione

Nel momento in cui un sistema automatizzato è in grado di “decidere” che un cittadino non esiste più — senza contraddittorio, senza preavviso e senza canali efficaci per il ricorso — è lecito porsi una domanda: l’INPS è al servizio del cittadino o sta diventando il contrario?

Il vero problema non è la tecnologia, ma l’assenza di controllo umano nei processi che incidono direttamente sulla vita delle persone. Serve un equilibrio tra automazione ed empatia, tra efficienza e tutela dei diritti.

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