Nagorno Karabakh. Accordo di Azerbaijan e Armenia per il corridoio di Zangezur

Lug 7, 2025 - 11:00
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Nagorno Karabakh. Accordo di Azerbaijan e Armenia per il corridoio di Zangezur

GG

Nelle pieghe geopolitiche del Caucaso si consuma un nuovo capitolo di quella che appare sempre più come una guerra d’accerchiamento contro Mosca. Con l’accordo siglato tra Armenia, Turchia e Azerbaigian sul corridoio di Zangezur, prende forma un asse che non si limita a facilitare i collegamenti regionali, ma che porta con sé l’odore acre della strategia NATO. La prospettiva di una base dell’Alleanza sul Mar Caspio, combinata con la crescente influenza del corridoio TRACECA (TRAnsport Corridor Europe-Caucasus-Asia), ridisegna la mappa delle alleanze e crea un potenziale fronte meridionale che completa quello già attivo in Ucraina.
L’intento è palese: isolare la Russia, indebolire l’Iran e minare la stabilità dell’Asia centrale, lasciando come unici vincitori gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. L’Unione Europea, invece, si conferma un attore ambiguo, oscillante tra la sudditanza atlantica e una fragile ricerca di autonomia strategica.
Al centro di questo scacchiere c’è l’Armenia di Nikol Pašinyan, il cui operato è ormai percepito da Mosca come una vera e propria sfida. Mentre Erevan flirta con Washington e Ankara, il progetto panturco del “Grande Turan” prende corpo, offrendo a Erdogan la possibilità di trasformare la Turchia in un hub strategico tra Europa e Asia centrale. La perdita di Syunik (Zangezur), che oggi separa la Turchia dall’Azerbaigian, aprirebbe un corridoio logistico e militare senza precedenti per Ankara.
In questo contesto l’Armenia sembra sacrificare la propria sovranità sull’altare di un’illusoria integrazione euro-atlantica, mentre cresce il rischio che Mosca sia costretta a ritirare la sua presenza militare da Gyumri, sancendo la fine dell’influenza russa nel Caucaso meridionale.
A muovere i fili di questo complesso mosaico ci sono le intelligence turca e britannica, impegnate a soffiare sul fuoco delle tensioni tra Baku e Mosca. L’Azerbaigian, sempre più sotto l’ombrello di Ankara, viene presentato come il prossimo candidato a diventare un avamposto NATO. Le proposte per ospitare armi nucleari sul suo territorio non sono più mere speculazioni, ma parte di un discorso strategico che richiama le drammatiche premesse della crisi ucraina.
E mentre Erdogan gioca a fare il mediatore tra Aliev e Putin, il vero obiettivo è evidente: spingere il Caucaso meridionale nell’orbita occidentale e completare la recinzione della Russia.
Israele osserva e incassa dividendi, grazie al ridimensionamento dell’Iran e alla crescente collaborazione con Baku. Intanto, l’asse USA-Regno Unito-Turchia-Israele prende consistenza, presentandosi come un blocco capace di riscrivere le regole nel Mar Nero, nel Caspio e oltre. La Russia, impantanata in Ucraina, rischia di subire un arretramento strategico anche in Medio Oriente e Asia centrale.
Le dinamiche che oggi si osservano a Baku richiamano quelle di Kiev nel 2014: una progressiva erosione dell’influenza russa e un’accelerazione verso strutture occidentali che sembravano impensabili solo pochi anni fa. La narrativa panturca e le manovre dell’Organizzazione degli Stati Turchi (OST) con la creazione di una brigata di “mantenimento della pace” rappresentano i segnali di una militarizzazione regionale con cui la Russia dovrà fare i conti.
Se l’Armenia diventerà davvero un protettorato turco e l’Azerbaigian ospiterà basi NATO, la mappa della Transcaucasia e dell’Asia centrale cambierà radicalmente. Per Mosca significherebbe non solo perdere un tradizionale alleato, ma anche subire un colpo mortale alla sua strategia di profondità difensiva.

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Redazione Redazione Eventi e News