Perché anche quest’anno non facciamo classifiche sul panettone

Nel dibattito contemporaneo sul panettone artigianale, le classifiche sono diventate un dispositivo comunicativo ipertrofico. Studiando il settore da molti anni, abbiamo capito come dopo una prima stagione di concorsi pionieristici, il sistema sia rapidamente slittato verso una bulimia competitiva in cui ogni lista pretende di decretare il migliore d’Italia. Ma tale pretesa è tecnicamente infondata: il panettone è un prodotto troppo sensibile, troppo variabile, troppo identitario per entrare in un ranking univoco. È per questo che a Gastronomika preferiamo non farne, da sempre. Ma quest’anno ci pare giusto spiegarvi nel dettaglio il perché di questa scelta, che oggi più che mai è evidente e comprensibile anche agli osservatori più sbadati. Siamo in un mercato maturo, e il panettone è a tutti gli effetti un affare complesso, impossibile da classificare in modo semplice e diretto come una classifica che decreti “i migliori”. Rispetto a quale ricetta? Con quale tecnica di degustazione? Con che tipo di giuria? Con quale criterio geografico? Vediamo nel dettaglio perché è un puro esercizio editoriale, che porta click e visibilità, ma che non fa un servizio onesto ed efficace a chi poi questi panettoni li deve comprare per Natale.
1. Variabilità intrinseca del prodotto
Il panettone è un lievitato vivo: idratazione, forza della farina, stabilità del lievito madre, temperatura dell’impasto e dell’ambiente modificano profondamente il risultato finale. Due pezzi provenienti dallo stesso lotto possono presentare alveolature differenti, livelli di umidità diversi e profili aromatici non identici. Questa variabilità fisiologica rende ogni comparazione diretta estremamente fragile.
2. Non esistono protocolli di assaggio realmente standardizzati
A differenza del vino o dell’olio, il panettone non dispone di un panel test codificato a livello nazionale. Ogni concorso stabilisce autonomamente griglie, pesi, ordine di valutazione. Alcuni tagliano a caldo, altri a freddo; alcuni valutano l’alveolatura con schemi strutturati, altri in modo impressionistico. La mancanza di un corpus metodologico condiviso rende le classifiche intrinsecamente incoerenti.
3. Condizioni di conservazione e trasporto alterano il campione
Un panettone viaggia male: sbalzi termici, compressioni meccaniche, tempi di stoccaggio non controllati influenzano struttura, elasticità, profumo e stabilità degli aromi. È frequente che i prodotti arrivino agli assaggi con stress fisici che nulla hanno a che vedere con la qualità originaria. Una classifica che non controlla queste variabili non misura la qualità del panettone, ma la sua resistenza logistica. Potrebbe essere uno stress test interessante anche per il consumatore, ma di sicuro può mettere in difficoltà alcuni prodotti più buoni ma più delicati.
4. L’assaggio è soggettivo anche in un panel tecnico
Anche con giurati competenti, la soggettività non è eliminabile: la soglia di percezione dell’acidità lattica, la preferenza per un impasto più scioglievole o più strutturato, la sensibilità a un eccesso di burro o a una nota leggermente alcolica possono variare enormemente. Nei fatti, due panel diversi producono spesso risultati divergenti: prova empirica che una “verità assoluta” non esiste.
5. Le ricette non sono comparabili tra loro
Le versioni “moderne” ad alta idratazione, ricche di burro e dall’alveolatura ampia, rispondono a logiche estetiche e strutturali diverse rispetto ai panettoni più tradizionali, più compatti, con un profilo aromatico più burroso e meno vanigliato. Mettere in fila prodotti così differenti significa ignorare la diversità delle scuole e delle filosofie produttive. Non è una gara: è un panorama.
6. Il contesto concorsuale introduce bias difficili da eliminare
Nel settore è noto che fattori extratecnici – la notorietà del laboratorio, il ruolo del pasticciere, la pressione mediatica, persino la provenienza geografica – influenzano inconsciamente il panel. Inoltre, l’assaggio in batteria comporta effetti di saturazione sensoriale: dopo dieci panettoni ad alta intensità aromatica, il profilo del successivo non è più percepito con neutralità. E allora fatele alla cieca: lo facciamo, ci proviamo, funziona meglio. Ma qualcuno, prima, ha comunque effettuato una prima selezione, e allora, sono davvero i più buoni d’Italia o i più buoni tra quelli che siamo riusciti a reperire, ordinare, ricevere, assaggiare?
7. Le classifiche generano un effetto distorsivo sul mercato
La filiera del panettone è sempre più condizionata da premi percepiti come certificazioni. Molti concorsi, pur legittimi, hanno dinamiche di sponsorship, partnership e comunicazione che influiscono sulla percezione del risultato. Il consumatore attribuisce al “premio” un valore oggettivo che oggettivo non è. Questo crea gerarchie fittizie che penalizzano la ricerca, la sperimentazione e le identità meno mediatiche.
8. Il ranking riduce la cultura a un numero
Il panettone è un prodotto complesso, che richiede comprensione sensoriale e tecnica. Una classifica annulla tutta questa complessità e la traduce in un podio. Non costruisce cultura, non favorisce consapevolezza, non restituisce dignità alla diversità produttiva.
Per queste ragioni metodologiche, tecniche ed etiche, a Gastronomika abbiamo scelto una posizione netta: niente classifiche. Preferiamo analizzare i processi, raccontare le mani che lavorano, chiarire le scelte tecniche e valorizzare le differenze. Non cerchiamo un vincitore, cerchiamo un linguaggio che renda giustizia a un prodotto vivo.
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