Salari bassi, pensioni lontane: l’allarme CGIL sui lavoratori italiani “dimenticati”

Dicembre 10, 2025 - 19:00
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Salari bassi, pensioni lontane: l’allarme CGIL sui lavoratori italiani “dimenticati”

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C’è un’Italia che fatica ogni giorno, spesso senza tutele, e che nonostante gli sforzi rischia di non arrivare mai alla pensione: questo l’allarme lanciato in uno recente studio firmato dalla CGIL, che denuncia anche lo stato dei salari dei lavoratori italiani sempre più bassi.


È l’Italia di chi guadagna poco, cambia occupazione di continuo o è costretto ad accettare contratti part-time non per scelta ma per necessità. A fotografare questa realtà è una recente analisi dell’Osservatorio Previdenza della CGIL che lancia un allarme chiaro: la riforma delle pensioni prevista dal Governo rischia di aggravare ulteriormente la situazione di milioni di persone.

Un Paese di lavoratori poveri

Secondo gli ultimi dati INPS sul 2024, in Italia ci sono circa 17,7 milioni di dipendenti nel settore privato non agricolo. Di questi, oltre 6,1 milioni — quasi il 35% del totale — percepiscono meno di 15.000 euro lordi l’anno. Una cifra che non assicura né un tenore di vita dignitoso, né la possibilità di ottenere l’intera annualità contributiva necessaria per costruire una pensione adeguata.

Dentro questa fascia già fragile emergono differenze significative:

  • Quasi il 60% dei lavoratori non arriva a 25.000 euro annui.

  • Più di 4,1 milioni guadagnano meno di 10.000 euro all’anno: spesso si tratta di persone con contratti brevi o lavori saltuari che non coprono neppure i 12 mesi richiesti per accumulare un anno pieno di contributi.

Si tratta soprattutto di giovani e donne, penalizzati da un mercato del lavoro che offre troppi part-time involontari e poche opportunità di carriera. Tra i dipendenti sotto i 24 anni, ad esempio, lo stipendio medio non supera gli 11.882 euro annui, cifra che non consente di mettere da parte contributi sufficienti per il futuro. Per gli under 19, il reddito medio scende addirittura a 4.374 euro, segno di rapporti lavorativi estremamente brevi e precari.

La questione salariale si intrecca strettamente con quella di genere: le lavoratrici del settore privato guadagnano oltre 8.000 euro in meno all’anno rispetto ai colleghi uomini. E quasi una donna su due lavora a orario ridotto, spesso non per scelta personale ma per difficoltà a conciliare il lavoro con la cura familiare. Risultato: carriere più fragili oggi e assegni pensionistici più bassi domani.

La trappola del minimale contributivo

A complicare il quadro c’è anche un fattore tecnico ma decisivo: il cosiddetto minimale contributivo, cioè il reddito minimo necessario affinché un anno lavorativo sia considerato valido ai fini pensionistici. Nel 2025, questa soglia corrisponderà a circa 12.551 euro lordi all’anno, in crescita del 16,5% rispetto al 2022.

Chi guadagna meno non riesce a “coprire” tutto l’anno: anche lavorando 12 mesi, si vedrà riconosciute solo una parte delle settimane, con vuoti contributivi difficili poi da colmare. Un esempio chiarisce la dinamica: un part-time al 50% che frutta 8.300 euro l’anno garantirà solo 39 settimane di contributi; in pratica, più di tre mesi di lavoro “svaniscono”.

Requisiti d’uscita sempre più lontani

Il Governo ha previsto, nella nuova Legge di Bilancio, un adeguamento dell’età pensionabile ai cambiamenti dell’aspettativa di vita. Dal 2028 sarà necessario continuare a lavorare almeno tre mesi in più per andare in pensione, ma per chi ha redditi modesti questa soglia rischia di diventare ancora più onerosa.

Lo evidenzia il responsabile previdenziale della CGIL, Ezio Cigna, che spiega come i lavoratori con redditi estremamente bassi si trovino in una vera spirale senza fine: “Con un reddito annuo di 5.000 euro — afferma — serviranno quasi due mesi aggiuntivi per raggiungere i tre mesi di contributi in più richiesti nel 2028. Nel 2040, quando l’incremento previsto salirà a 13 mesi, saranno necessari quasi cinque mesi ulteriori di lavoro; nel 2050 addirittura oltre un anno”.

Tradotto: chi già oggi fa fatica a maturare i contributi rischia di dover lavorare fino ad età sempre più avanzate senza comunque arrivare a un assegno dignitoso.

“Così si allarga la forbice sociale”

La segretaria confederale Lara Ghiglione infine non usa assolutamente mezzi termini: «Promettevano l’addio alla Fornero e uno stop all’aumento dei requisiti. Invece – afferma – si va verso pensioni più lontane e meno dignitose, soprattutto per donne, giovani e per chi ha contratti fragili».

L’inasprimento delle condizioni, secondo il sindacato, rappresenta una scelta che accentua le disuguaglianze: scarica il peso della sostenibilità del sistema su chi ha meno tutele, mentre chi ha una carriera stabile e ben retribuita continuerà a maturare i requisiti senza difficoltà.

Il dossier della CGIL su salari bassi e pensioni come “miraggio”

Qui il documento completo.

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