Scurati, Zerocalcare, e l’indignazione annuale su libri che non legge nessuno

Tra qualche mese saranno venticinque anni che scrivo sui giornali, e per ventiquattro di questi anni ho scritto qualcosa come cinquecento articoli l’anno. Ogni tanto qualcuno mi cita qualcosa che ho scritto con la convinzione che me ne ricordi, e io non so mai di cosa quel qualcuno stia parlando. Se è un qualcuno di particolarmente stupido, a quel punto si convince io finga perché sono imbarazzata dalla disapprovazione di ciò che sostenevo in quell’articolo.
Questa premessa serve a dire che ci sono giustificazioni personali al fatto che io mi ripeta – vi vedo che pensate che voi trovereste agevolmente cinquecento nuovi argomenti l’anno, voi che neanche trovate cinque cose interessanti da dire a cena – ma più delle mie ragioni valgono quelle della realtà.
La realtà è ripetitiva, e in più c’è quel dettaglio che ben analizza Fran Lebowitz in un’intervista a Variety. «Lei non ha idea delle ragioni per cui la gente riesce a incazzarsi. Va peggiorando, come avessero lo stesso livello di furia riguardo alle cose minuscole e quelle giganti. […] Sono incazzata dalla nascita, quindi mi considero un’esperta in materia di furia, ma non m’incazzo per qualunque minuzia, e non m’incazzo per le preferenze altrui. Tutto viene affrontato con la stessa tonalità, non c’è nessuna percezione che questa cosa sia importante e quest’altra invece non lo sia».
Vedo la polemica su Più libri più liberi – in questo articolo farò molte volte la cafonata di citarmi, e la prima è questa: «Una delle centomila fiere culturali che assediano questo derelitto paese, che però tenace resiste nel suo analfabetismo» – e la seconda cosa che penso è: delego Fran Lebowitz a rappresentare la mia visione di questa stronzata. La prima cosa che penso è: di nuovo?! Ma non ce n’eravamo già occupati? L’anno scorso, no? Ora mica tutti gli anni ci dovremo occupare di una fiera di libri.
C’è una cosa più irrilevante di una fiera di libri? Questa poi è pure della piccola editoria, che non so neanche bene cosa significhi (sì che lo so: è quel settore nel quale è inutile avere amici perché i piccoli editori non possono permettersi l’abbonamento ai Gfk e quindi non possono spacciarti i dati di vendita; il che li rende una straziante categoria che andrebbe protetta e cui andrebbe data una pensione d’invalidità, ma non per questo interessanti).
Ora io lo so che voi vi aspettate che io vi parli dei fascisti. Cosa penso io, proprio io, qual è la mia irrinunciabile opinione sui libri dei fascisti alle fiere dell’editoria indipendente? Ci devono stare perché la libertà d’espressione o è estrema o non è, o non ci devono stare perché abbiamo tutti pronta una bella card di Instagram sul fascismo che è un reato e non un’opinione e Popper e la rava e la fava?
Non ho nessuna opinione. Non riesce a importarmene nulla. È una cazzo di fiera alla quale non andrò io e non andranno nove decimi delle persone che opinano in merito: perché dovrei avere un’opinione su cosa succede a una fiera alla quale non ho alcuna intenzione d’andare? E, se non ho un’opinione io che scrivo cinquecento articoli l’anno e sono in grado di farmi venire in mente opinioni sulle più irrilevanti irrilevanze, cosa ci dice questo del fatto che voi invece smaniate per essere furibondi in un senso o nell’altro? Oltre a dirci la solita cosa, cioè che da quando oltre alla lavatrice avete persino l’asciugatrice e non dovete neppure stendere avete veramente troppo tempo libero.
L’anno scorso la polemica era sull’invito a uno che un tribunale stava per condannare per aver menato la moglie, e faccio di nuovo la cafonata di ricopiare uno dei troppissimi articoli che avevo scritto su quell’irrilevanza: uno «reso notizia da un nugolo di invasati decisi a convincere un paese che ha giustamente continuato a sbattersene che fosse importantissima la fedina morale di chi presentava libri che nessuno avrebbe letto in una fiera romana di cui nessuno che non lavorasse nell’editoria si sarebbe accorto».
Anche l’anno scorso, scopro rileggendomi (ma quante volte ne ho scritto?), Zerocalcare si era dissociato. Cafonamente ricopio l’elenco delle sue dissociazioni allora recenti: «Dalla fiera di Torino perché c’erano i fascisti, da quella di Lucca perché c’erano gli israeliani, da questa perché c’è uno sotto processo per aver menato la moglie: neanche il vescovo nigeriano che in “Conclave” dice di sentire lo Spirito Santo che lo chiama a fare il Papa prende sul serio il suo ruolo quanto Zerocalcare».
L’anno prima mi pare non ci fossero state polemiche nonostante, lo scopro sempre da uno (un altro!) dei miei troppissimi articoli, alla stessa fiera nel 2023 ci fosse «l’incolpevole Calvino spiegato da Carlotta Vagnoli», il che alla luce delle inezie che abbiamo ritenuto scandalose del 2025 forse varrebbe una polemica retrospettiva: pensiamoci, un giorno che siamo a corto di puttanate.
Questa volta Zerocalcare non ha nuove ragioni per boicottare, si assenta di nuovo a causa dell’insostenibile presenza dei fascisti, è tornato alla casella del “via”, chissà se ha ritirato le ventimila lire (questa non so se la generazione dei fumetti la capisce).
Non ho opinioni, è vero, ed è anche vero che tutte le opinioni mi fanno parimenti ridere. Sia i moniti di chi si oppone strenuamente sempre per le solite card sul fascismo che non è un’opinione, sia lo scetticismo di chi ritiene che non esista la cattiva pubblicità e che quindi ora i fascisti avranno stravenduto vagonate di libri nel loro stand pubblicizzato dagli aspiranti censori.
Però mi sembra, quello del venduto, un buon criterio. Prendiamo il 2024, ultimo anno di cui abbiamo i dati completi. Tra i boicottanti la fiera perché il fascismo è un confine insuperabile, Antonio Scurati. Nel 2024, Scurati ha venduto libri per un ammontare di prezzi di copertina totali di tre milioni, centodiecimila e centodieci euro. Poi certo, mica li ha intascati tutti lui, ma i soldi che ha mosso nell’editoria questi sono.
Poi c’è Zerocalcare. Sempre 2024. La somma dei suoi titoli ha fatto incassare quattro milioni, ottocentotrentanovemila e centosessantanove euro. Più di Scurati, ovviamente: vuoi mettere come sono vendibili i disegnini, invece delle faticose parole.
Di fronte ai tre milioni di Scurati e ai quasi cinque di Zerocalcare (due che tengono su da soli gli editori per cui pubblicano), quanto hanno incassato nel 2024 quelli che ormai sono ufficialmente «i fascisti», sono così metonimia che in cento righe di articolo ancora non ho fatto il nome della casa editrice, ovvero Passaggio al bosco?
Il libro che hanno venduto di più l’anno scorso è “Il manifesto di Unabomber”: seicentonovantasette copie in tutto il 2024, Scurati le vende in una giornata moscia. “Trumpismo esoterico”, da cui mi aspettavo molto e che mi pare perfetto per i regali di Natale, ha venduto solo sessantotto copie nel 2024 (e altre diciannove quest’anno).
Ho i social pieni di post indignati di chi, girando tra gli stand di Più libri più liberi (ma perché la gente va alle fiere dei libri? È uno dei misteri più misteriosi d’occidente), scrive cretini, gli avete fatto pubblicità, ora vendono tutto, anche le lampade per il solstizio (credo di non voler sapere cosa siano).
Tuttavia, sospetto che non diventeranno gente con gli incassi di chi pubblica “Harry Potter”, considerato che in tutto il 2024 i loro libri hanno venduto per un totale di centotrentasettemila duecentonovantadue euro. A loro ne saranno rimasti, a spanne, trentamila. Lordi. Mi auguro facciano gli editori per hobby. E mi auguro, anche, che la sinistra recuperi quel minimo di coscienza di classe che è fatta di buone maniere. Quelle che aveva persino Gerald O’Hara quando diceva alla figlia Rossella che con gli schiavi bisognava essere gentili.
Traslato dalle piantagioni della guerra di secessione alle fiere dell’editoria delle guerricciole di posizionamento, significa che sarebbe meno inelegante che gli autori da parte alta della classifica non dicessero tu non devi permettertiiii di esistereeee a gente che, di fatto, già non esiste.
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