Visti post-Brexit: il caso Ricci divide una famiglia anglo-italiana

Nel cuore della Londra post-Brexit, il dramma di una famiglia anglo-italiana rischia di diventare simbolo di una frattura più ampia tra burocrazia e umanità. Matteo Ricci, cittadino italiano, e sua moglie britannica, si trovano a fronteggiare un sistema di visti per familiari che, secondo loro, viola i diritti fondamentali alla vita familiare. Le attuali regole imposte dal Regno Unito dopo la Brexit stanno colpendo centinaia di famiglie europee, ma è la storia dei Ricci a catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Un matrimonio duraturo, interrotto da una barriera legale
La storia di Sarah Douglas e di suo marito Matteo Ricci, cittadino italiano, è quella di una famiglia europea costruita nel tempo, oggi minacciata da regole migratorie imposte dal Regno Unito dopo la Brexit. Sarah, insegnante di inglese originaria del Regno Unito, si è trasferita in Italia nel 2007 per lavorare come docente. Lì ha conosciuto Matteo, sviluppatore software italiano, con il quale si è sposata nel 2010. Hanno vissuto insieme in Italia per oltre quindici anni, costruendo un matrimonio stabile, legalmente riconosciuto e basato su una lunga convivenza.
Fino al 2020, una coppia come la loro avrebbe potuto trasferirsi nel Regno Unito senza particolari difficoltà, godendo dei diritti alla libera circolazione garantiti dalla cittadinanza europea di entrambi. Ma la Brexit ha modificato radicalmente le condizioni di accesso: dal 2021, i cittadini europei che non avevano già vissuto nel Regno Unito prima della scadenza del periodo di transizione non possono più richiedere l’EU Settlement Scheme.
Questo è esattamente il caso di Matteo Ricci: non avendo mai risieduto nel Regno Unito, non è idoneo per il pre-settled status. E così, nonostante sia sposato da oltre un decennio con una cittadina britannica, oggi deve sottostare alle regole severe sui visti familiari, le stesse applicate a cittadini non europei: soglia minima di reddito, test linguistici obbligatori, tempi di attesa lunghi e un processo complesso e costoso.
Sarah, tornata nel Regno Unito per motivi lavorativi, si è vista costretta a vivere separata dal marito. Ha descritto la situazione come “crudele”, affermando che le nuove regole trattano la sua famiglia “come un rischio, non come una realtà affettiva consolidata”. Le sue parole, riportate dal Guardian, hanno riacceso il dibattito sulla disumanità del sistema post-Brexit, che obbliga anche cittadini britannici a scegliere tra la propria nazione e la propria famiglia.
Attualmente, per un cittadino extra-UK che voglia vivere con il proprio coniuge britannico, è necessario soddisfare una lunga serie di requisiti economici, linguistici e documentali. Tra questi, la soglia reddituale del coniuge britannico (fissata a £18.600 all’anno, soglia destinata a salire secondo le nuove proposte legislative) e un esame di lingua inglese da superare per il partner straniero.
Come ha dichiarato Megan al quotidiano The Guardian, queste regole “non hanno nulla a che fare con la sicurezza o la selezione dei migranti”, ma finiscono per colpire famiglie normali, che desiderano semplicemente vivere insieme nel proprio Paese. Una dichiarazione che ha generato empatia e indignazione, in particolare tra le comunità europee residenti a Londra.
Secondo le organizzazioni di difesa dei diritti dei migranti come il Joint Council for the Welfare of Immigrants, il caso Ricci è solo uno dei tanti esempi di famiglie che rischiano la separazione forzata. Il problema, sostengono, è che il sistema britannico post-Brexit tratta anche i cittadini europei come immigrati extra-UE, cancellando ogni traccia della precedente libertà di circolazione.
Le nuove regole per i familiari: vincoli economici e ostacoli legali
Dopo il completamento della Brexit, il Regno Unito ha implementato un sistema a punti per l’immigrazione, simile a quello australiano, che si applica anche a partner e coniugi. Questo sistema è basato su criteri come competenze lavorative, conoscenza della lingua inglese, età e – soprattutto – capacità finanziaria.
Nel caso specifico dei ricongiungimenti familiari, le condizioni previste sono molto più stringenti di quanto si pensi. Il coniuge britannico deve dimostrare un reddito minimo stabile e continuativo di almeno £18.600 (aumentato se sono presenti figli). In alternativa, deve possedere un patrimonio significativo. La casa deve essere conforme a certi standard. E il partner straniero deve superare l’English Language Test (IELTS A1) presso centri autorizzati, anche se laureato in inglese o già residente in precedenza.
Inoltre, la procedura per ottenere un Family Visa può richiedere diversi mesi e costare oltre £3.000, tra tasse, visite mediche, test linguistici e assicurazioni sanitarie obbligatorie. E non è detto che venga approvato.
La normativa è stata oggetto di molte critiche. Secondo un’analisi del Migration Observatory dell’Università di Oxford, queste misure creano una discriminazione interna tra i cittadini britannici stessi: chi guadagna meno, vive in regioni meno ricche o lavora part-time, non ha gli stessi diritti alla vita familiare rispetto ai cittadini più abbienti.
Il caso di Matteo Ricci diventa quindi emblematico. Italiano, europeo, sposato legalmente con una cittadina britannica, con una storia documentabile di convivenza e integrazione, ora si trova respinto da un sistema che ignora i legami affettivi e guarda solo a numeri e scartoffie.
L’impatto sulla comunità italiana nel Regno Unito
Per la comunità italiana nel Regno Unito, stimata in oltre 500.000 persone, il caso Ricci è più di una vicenda personale: è uno specchio di vulnerabilità collettiva. Fino al 31 dicembre 2020, molti cittadini italiani hanno vissuto e lavorato nel Regno Unito con relativa facilità, contando sulla protezione degli accordi europei. Ma oggi, ogni movimento transnazionale — un matrimonio, un ritorno in Italia, una nascita all’estero — può diventare un rischio amministrativo.
Molti italiani con status pre-settled temono di perderlo se lasciano il Paese per più di sei mesi. Chi ha familiari non europei affronta iter ancora più complessi. E i casi di diniego dei visti familiari per motivi “formali” stanno aumentando.
Non è un caso se diverse organizzazioni come il 3million e Settled hanno segnalato un crollo della fiducia nel sistema legale britannico da parte dei cittadini europei. Il rischio è che sempre più famiglie misto-europee decidano di lasciare il Regno Unito, non per motivi economici, ma per evitare il trauma della separazione forzata o la precarietà amministrativa.
Un fenomeno documentato anche da recenti dati dell’Office for National Statistics (ONS), secondo cui oltre 320.000 cittadini dell’UE hanno lasciato il Regno Unito tra il 2020 e il 2023, molti dei quali per ragioni familiari o di incertezza legale.
Nel caso di Ricci, il legame con la comunità italiana è ancora più forte. Ex insegnante presso una scuola bilingue di Camden, Matteo era attivo anche nel volontariato e in iniziative culturali. La sua espulsione, avvenuta all’aeroporto di Stansted lo scorso maggio, ha generato proteste e interrogazioni parlamentari, specie da parte di deputati laburisti come Stella Creasy, che ha definito il caso “una distorsione crudele delle regole sull’immigrazione”.
Le reazioni politiche e le prospettive di riforma
Il caso Ricci ha contribuito a riaccendere il dibattito politico sulle conseguenze della Brexit in materia di diritti umani e coesione familiare. Diverse associazioni hanno chiesto al governo Sunak di introdurre esenzioni o criteri più flessibili per i ricongiungimenti familiari, almeno per chi ha legami consolidati e documentabili.
La ministra dell’Interno ha però ribadito la necessità di tenere “sotto controllo” l’immigrazione, anche per quanto riguarda i visti familiari, suscitando la reazione delle opposizioni. Il Partito Laburista e i Liberal Democratici hanno proposto la revisione della soglia di reddito, giudicata discriminatoria, e l’introduzione di una corsia preferenziale per i cittadini europei sposati con cittadini britannici.
Anche la Corte Suprema ha recentemente accettato di esaminare alcuni ricorsi presentati da famiglie europee separate da queste regole, sollevando la questione della violazione del diritto alla vita familiare previsto dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso Ricci potrebbe dunque avere implicazioni giuridiche e politiche molto più ampie, diventando un precedente utile per futuri contenziosi legali o per spingere verso modifiche strutturali della legge.
Nel frattempo, Sarah continua la sua battaglia pubblica: ha aperto una petizione, sostenuta da più di 40.000 firme, per chiedere il ritorno del marito e l’abolizione dei criteri di reddito nel caso di unione familiare già esistente. La petizione è stata portata davanti al Parlamento e attende una risposta ufficiale.
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