4 settembre 2026, il governo Meloni il più lungo della Repubblica. Quindi?

Novembre 22, 2025 - 16:00
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4 settembre 2026, il governo Meloni il più lungo della Repubblica. Quindi?
Generico 17 Nov 2025

Da oggi, 4 settembre 2026, il governo guidato da Giorgia Meloni è ufficialmente il più lungo della storia della Repubblica italiana: 1.413 giorni in carica dal giuramento del 22 ottobre 2022, uno in più del secondo governo Berlusconi, fermo a quota 1.412.

In un Paese famoso per i governi “a tempo determinato”, questo risultato non è un semplice dato di cronaca: è il segnale di un cambiamento più profondo della politica italiana, ma anche europea e globale.

Dal Paese dei “ribaltoni” alla stabilità come prodotto politico. Da anni gli analisti osservano un trend chiaro: i governi italiani durano di più rispetto al passato. Le riforme elettorali, la logica dei blocchi contrapposti e il costo elettorale delle crisi hanno reso meno conveniente far cadere un esecutivo, anche quando le tensioni dentro le maggioranze sono forti.

Il governo Meloni ha potuto contare su tre fattori strutturali. Una maggioranza numericamente solida, costruita su una coalizione di centrodestra che, tra alti e bassi, ha avuto un interesse comune a non rompere: nessuno dei partner avrebbe avuto la certezza di guadagnare da una crisi. Un’opposizione frammentata, spesso divisa in letture diverse dell’Europa, del lavoro, dei diritti civili e della stessa collocazione internazionale dell’Italia, incapace di proporsi come alternativa unitaria. Una domanda sociale di stabilità, dopo la pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione: una parte consistente dell’elettorato ha preferito un governo “prevedibile” a governi “coraggiosi ma fragili”. I sondaggi per anni hanno descritto una Meloni con un consenso personale elevato e più stabile di molti colleghi europei. La stabilità è diventata così un prodotto politico: non un effetto collaterale, ma una promessa esplicita.

Stabilità prima della crescita. Già dopo i primi tre anni a Palazzo Chigi, diversi osservatori internazionali avevano notato come Meloni avesse scelto una strategia chiara: stabilità prima di crescita. Deficit ridotto, conti pubblici più ordinati, messaggi rassicuranti a Bruxelles e ai mercati: una linea prudente, più attenta a non sforare che a stravolgere.

Il prezzo, sottolineavano i critici, è stato un passo lento sulle riforme strutturali: fisco, salari, produttività, burocrazia. La crescita è rimasta modesta, in parte protetta dal grande ombrello dei fondi europei, in parte frenata da conflitti interni alla maggioranza, ad esempio sul rapporto con l’Unione Europea e con gli Stati Uniti. Eppure, proprio questo profilo di “rischio controllato” ha contribuito alla longevità del governo: niente salti nel buio, poche sorprese, una narrativa identitaria forte ma un uso pragmatico delle leve economiche.

L’asse Garbatella–Cazzago Brabbia, versione 2.0. In un precedente articolo su VareseNews, “G&G: l’alleanza di ferro fra Garbatella e Cazzago Brabbia”, avevo descritto il rapporto fra Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti come un’asse inedita: da un lato la premier capace di dialogare con i giganti globali, dall’altro il ministro dell’Economia con “cultura del fare” e credibilità europea. Quell’asse ha retto, pur tra tensioni e momenti di forte esposizione mediatica. Ha funzionato come un equilibrio dinamico.

Meloni ha curato la regia politica e simbolica, costruendo una narrazione di difesa dell’interesse nazionale e di ordine interno. Giorgetti ha offerto la garanzia tecnica, negoziando con Bruxelles, parlando la lingua dei mercati, presidiando i numeri di bilanci e PNRR, fino a essere premiato da riviste internazionali come uno dei ministri delle finanze più influenti. Non è stata una coppia senza contraddizioni, e gli elettori di area leghista o più “sovranista” lo hanno percepito, ma è stata abbastanza coesa da evitare quella spaccatura insanabile che in passato, in Italia, faceva cadere i governi nel giro di pochi mesi.

Un record italiano in un mondo instabile. Il record del governo Meloni arriva in un’Europa dove la parola d’ordine, negli ultimi anni, è stata instabilità. In Francia, dal 2024 in poi, si sono bruciati quattro primi ministri in meno di due anni, con un caso, quello di Sébastien Lecornu, durato appena 27 giorni, il governo più breve da oltre un secolo. Nel complesso, Emmanuel Macron è arrivato a nominare sette premier nel corso della sua presidenza, fra rimpasti e crisi di maggioranza.

Nel Regno Unito, tra il 2019 e il 2024, a Downing Street si sono alternati Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak e Keir Starmer: quattro primi ministri in cinque anni, con un mandato, quello di Truss, durato poche settimane e diventato simbolo di volatilità politica ed economica. In questo contesto, l’Italia, paradossalmente, è diventata uno dei Paesi con il governo più longevo. Non è solo merito (o colpa) di chi governa oggi: è il risultato di un ciclo politico in cui l’onda dei partiti populisti è stata in parte istituzionalizzata; la personalizzazione della politica ha reso altissimo il costo di cambiare leader di governo a metà legislatura; la paura del “salto nel buio” ha reso molti elettori più tolleranti verso i limiti dell’esecutivo in carica.

Una premier donna, romana, di una generazione diversa. Se questo record si concretizzerà, avrà un ulteriore significato: a ottenerlo sarà la prima donna a guidare un governo nella storia d’Italia. Giorgia Meloni, nata nel 1977 e cresciuta nel quartiere popolare della Garbatella, è anche una delle premier più giovani della Repubblica, con una biografia politica iniziata nell’adolescenza e proseguita senza pause: dai movimenti giovanili alla Camera, dal ministero della Gioventù al ruolo di leader di partito, fino a Palazzo Chigi.

Non è un dettaglio folkloristico: vuol dire che la fase di maggiore continuità di governo della Repubblica è incarnata da una donna in un sistema politico storicamente maschile; una leader di generazione diversa rispetto ai grandi protagonisti della Seconda Repubblica; una politica che si è formata tutta “dentro” la politica, senza passaggi tecnici o esterni. Non serve insistere sul fattore di genere, ma è difficile non notare che molti dei dossier più delicati, dal lavoro femminile alla natalità, fino al rapporto tra carriera e cura, sono passati dalla scrivania della prima presidente del Consiglio donna proprio mentre l’Italia registrava minimi storici nelle nascite.

E adesso? Essere il governo più lungo della Repubblica significa una cosa semplice e impegnativa: non si può più dare la colpa al passato. Dopo 1.413 giorni, il racconto dell’eredità ricevuta perde forza. Restano due domande nette. La stabilità costruita in questi anni sarà stata usata per cambiare davvero qualcosa nella struttura economica e sociale del Paese? Oppure questo record resterà come un grande cartello sull’autostrada della politica italiana: “si è viaggiato a lungo, ma non necessariamente lontano”?

Il 4 settembre 2026 entra oggi nei libri di storia per i numeri. Toccherà agli anni successivi dirci se, oltre a essere il governo più lungo della Repubblica, il governo Meloni sarà ricordato anche come uno dei più incisivi.

“Nella vita pratica il tempo è una ricchezza di cui siamo avari”, Italo Calvino, Lezioni americane.

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KAIROS
un lago piatto da secoli
avvolto nella nebbia.
un sasso sussurra: fessura.
per un istante un vulcano d’acqua s’erge
sopra la quiete.
una cena inattesa
nel gomitolo delle ore.
forse perché no
apre una finestra murata:
entra luce, un raggio che non c’era.
una voce ignota chiama il tuo nome.
ti ferma il piede sul ciglio,
ti volti:
un’auto spazza via una vita.
preghi per loro, ancora una volta.
posto numero 7.
il destino l’ha fatto sedere
sfinito, sopito, lì.
c’è posto proprio là
dove nascono gli amori,
tra un tè e una goccia sul finestrino.
Non è chronos, kairos.

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Redazione Redazione Eventi e News