Celiachia, prezzi folli: il cibo senza glutine pesa sulle famiglie e alimenta un mercato da 250 milioni di euro

Agosto 26, 2025 - 03:30
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Celiachia, prezzi folli: il cibo senza glutine pesa sulle famiglie e alimenta un mercato da 250 milioni di euro

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Aumentano le diagnosi di celiachia, ma i costi restano proibitivi: perché mangiare senza glutine è ancora un lusso per molti italiani?


Il numero di persone affette da celiachia in Italia continua a crescere: oggi si contano oltre 265.000 diagnosi ufficiali, eppure seguire una dieta priva di glutine — l’unica “cura” possibile per questa malattia autoimmune — rappresenta ancora un onere economico significativo per chi ne è colpito.

Il motivo? Il prezzo dei prodotti gluten free è spesso tre, se non cinque volte superiore rispetto agli alimenti convenzionali. Una realtà che colpisce duramente le famiglie e che porta le associazioni di pazienti a chiedere interventi urgenti sul piano fiscale e distributivo.

Celiachia in Italia: un’emergenza sanitaria e sociale

La celiachia è una patologia cronica autoimmune che danneggia l’intestino tenue in presenza di glutine. Per chi ne soffre, l’unica terapia possibile è una dieta rigorosamente priva di glutine, da seguire per tutta la vita.

Nel 2025, il numero delle diagnosi è in costante aumento, grazie a una maggiore consapevolezza e a strumenti di screening più efficaci. Eppure, mentre la domanda cresce, i prezzi dei prodotti restano altissimi e spesso inaccessibili.

Cibo senza glutine: perché costa così tanto

Dietro al costo elevato degli alimenti gluten free si celano fattori produttivi e logistici. Il settore coinvolge appena l’1-2% della popolazione, generando un mercato di nicchia con economia di scala limitata.

Produrre alimenti senza glutine richiede:

  • Materie prime specifiche e costose

  • Processi produttivi separati

  • Controlli di qualità più severi

  • Investimenti in ricerca e sviluppo

  • Procedure di sanificazione rigorose

A tutto questo si somma il peso della catena distributiva, che incide ulteriormente sul prezzo finale a scaffale.

Tre canali di vendita, un’unica sfida: l’accessibilità

Chi cerca prodotti senza glutine in Italia si rivolge solitamente a tre principali canali di acquisto:

  1. Farmacie – Ampia selezione ma prezzi mediamente più alti.

  2. Negozi specializzati – Offrono varietà e qualità, con fasce di prezzo più ampie.

  3. Grande distribuzione (GDO) – Scelta limitata ma più economica, ideale per i prodotti base.

In ogni caso, il costo mensile può essere elevato, nonostante il contributo del Servizio Sanitario Nazionale, che garantisce un bonus mensile per gli alimenti senza glutine (in media 950 euro all’anno per persona). Si tratta di un supporto tra i migliori in Europa, ma che non sempre copre tutte le necessità.

Un mercato da 250 milioni di euro (e non solo per celiaci)

Secondo le stime più recenti, il settore del gluten free in Italia vale circa 250 milioni di euro all’anno. A questo si aggiunge un altro 30% circa di valore generato da consumatori che scelgono alimenti senza glutine per motivi non legati alla celiachia, come intolleranze lievi, moda alimentare o stili di vita alternativi.

Questa domanda “parallela” contribuisce ad alimentare il mercato, ma non sempre favorisce un abbassamento dei prezzi, soprattutto per chi ha bisogno dei prodotti per motivi strettamente medici.

Le richieste delle associazioni: meno IVA, più equità

Diverse associazioni di pazienti chiedono da tempo una rimodulazione dell’IVA sui prodotti senza glutine, considerati a tutti gli effetti alimenti terapeutici.
Oggi questi prodotti scontano un’imposizione fiscale non allineata al loro ruolo sanitario, il che aggrava ulteriormente i costi per chi deve utilizzarli quotidianamente.

Serve quindi una revisione del sistema, che riconosca pienamente il valore terapeutico del cibo gluten free e ne garantisca l’accessibilità economica su tutto il territorio nazionale.

Mangiare senza glutine non può essere un privilegio

In un paese che vanta uno dei migliori sistemi sanitari pubblici d’Europa, non è accettabile che l’unica terapia disponibile per una malattia cronica venga di fatto resa onerosa.
La celiachia non è una scelta alimentare, ma una condizione clinica: garantire l’accesso equo e sostenibile agli alimenti adatti è un dovere di sanità pubblica.

L’auspicio è che il mercato possa evolversi verso una maggiore efficienza, concorrenza e giustizia fiscale, per sostenere davvero chi convive con questa patologia ogni giorno.

Leggi anche: Tassa di soggiorno in Italia: quanto si paga, come è reimpiegata e come tutelarsi nel 2025

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