Francia. Armi in volo per Tel Aviv: i lavoratori Air France dicono no

di Giuseppe Gagliano –
Mentre i salotti buoni dell’occidente si esercitano nel solito equilibrismo tra “diritto di Israele a difendersi” e “preoccupazione per le vittime civili”, in Francia sono stati i lavoratori a fare l’unica cosa sensata: dire no. No a un carico di armi destinate a Tel Aviv, no a diventare complici di una guerra che ormai anche i sassi definiscono genocidio.
L’8 luglio 2025 sul volo Air France AF966 diretto a Israele, era previsto l’imbarco di materiale militare. Ma i lavoratori del sindacato Sud Aérien hanno deciso di fermarsi. “Rifiutiamo categoricamente di partecipare, in qualunque forma, ad attività logistiche che possano contribuire alla guerra in corso contro la popolazione palestinese”, scrivono in un comunicato che sa più di atto d’accusa che di semplice nota sindacale.
La notizia è esplosa come una bomba (figurata, per fortuna) sui tavoli di Air France e dell’Eliseo. Perché se è vero che i governi europei continuano a proclamare che “non devono essere forniti armamenti per operazioni contro civili”, poi nella pratica i voli civili vengono usati per movimentare carichi che non hanno nulla a che vedere con vacanze o viaggi d’affari.
Il sindacato non ha usato mezzi termini: “Non vogliamo essere complici dei crimini commessi a Gaza. Da mesi assistiamo a un’offensiva militare devastante contro la popolazione civile palestinese. Si contano decine di migliaia di morti, milioni di sfollati, ospedali e scuole bombardati. Si tratta di un genocidio”.
Parole che pesano come macigni, in un’Europa che non riesce nemmeno a chiamare per nome quello che succede a Gaza. Meglio parlare di “eccesso d’uso della forza” o di “necessità di moderazione”, come se la distruzione sistematica di un’intera popolazione fosse un problema di misura e non di principio.
Non è neppure un caso isolato. Già nel 2014, durante l’operazione israeliana “Margine Protettivo”, sindacati portuali in Spagna e Svezia si erano rifiutati di caricare navi con armi dirette in Israele. E a maggio 2021, lavoratori portuali del sindacato ILWU negli Stati Uniti avevano fermato il carico di container per protestare contro i bombardamenti su Gaza.
Adesso tocca ai lavoratori del trasporto aereo. E la loro presa di posizione mette a nudo l’ipocrisia dei governi: se anche un facchino di aeroporto è in grado di capire che la consegna di armi contribuisce a massacri di civili, perché l’Eliseo e Bruxelles continuano a restare muti?
Air France per ora tace. Del resto, non è la prima compagnia a trovarsi in mezzo a una tempesta politica: già durante la guerra in Yemen erano emerse polemiche per voli cargo francesi diretti a Riyadh, pieni di armi “ufficialmente per scopi difensivi”.
Ma la questione è politica, non logistica. L’UE continua a importare gas da Israele, a stringere accordi commerciali, a firmare memorandum strategici, salvo piangere lacrime di coccodrillo quando a Gaza muoiono bambini sotto le bombe.
Alla fine, il paradosso è questo: in un continente che ama definirsi “culla dei diritti umani”, ci vuole il coraggio di lavoratori invisibili per ricordare che essere complici è una scelta. Loro hanno scelto di non esserlo. Macron e Von der Leyen vogliono fare altrettanto o continueranno a parlare di “aiuti umanitari” mentre le bombe partono con voli di linea?
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