Gli ambientalisti contro il decreto Transizione 5.0: «Non risolve vecchi problemi e rischia di crearne di nuovi»

Novembre 25, 2025 - 05:30
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Gli ambientalisti contro il decreto Transizione 5.0: «Non risolve vecchi problemi e rischia di crearne di nuovi»

È già stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto legge Transizione 5.0, che contiene la nuova definizione delle aree idonee, previste inizialmente nel decreto Energia. Alla luce dell’esperienza degli ultimi anni, in cui gli interventi per decreto (non per legge ordinaria) hanno creato molti più problemi di quanti ne abbiano risolti, a cominciare dall’incertezza che certo non favorisce gli investimenti, Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente e Wwf sottolineano come tale intervento normativo, rispetto al decreto legislativo 199/2021, faccia passi avanti molto limitati in relazione ai principali problemi che ad oggi ancora caratterizzano il tema delle aree idonee e rischiano di crearne di nuovi.

Le associazioni firmatarie hanno redatto una nota congiunta in cui si sottolinea, in primo luogo, l'anomalia istituzionale di procedere con un decreto-legge alla modifica del quadro regolatorio in materia di energia rinnovabile, quando è in corso la revisione del d.lgs. 190/2024 con un decreto legislativo. Questo moltiplicarsi delle sedi istituzionali di interventi sulle norme, parcellizzando le questioni, e trattando il tema delle aree idonee come un elemento separato e distinto dal quadro generale, non fa che contribuire ad aumentare il disordine normativo e la sostanziale adozione di modifiche normative che non sono tra loro armonizzate, né evidentemente riflettono una visione olistica della materia.

Quanto poi al merito del decreto-legge nonostante taluni positivi miglioramenti, sottolineano le quattro associazioni, permane in ogni caso la necessità di meglio definire il rapporto tra aree idonee e aree di accelerazione. Secondo l’attuale quadro regolatorio, infatti, anche tenendo in considerazione queste ultime proposte di modifica, c'è il rischio che la selezione delle aree idonee con legge regionale si traduca in un collo di bottiglia anche per le aree di accelerazione, dove le tempistiche europee sono ben definite e vincolanti per l’Italia. In questo senso, le modifiche proposte apportano alcuni miglioramenti, ma non risolvono affatto la questione e rischiano di accendere ancora di più conflitti istituzionali.

In questo scenario, scrivono i firmatari del documento congiunto, è senza dubbio da accogliere con favore la specificazione contenuta nel decreto-legge, che impedisce alle amministrazioni regionali di restringere le aree idonee, rispetto a quanto stabilito dal Governo, e di imporre divieti generali e astratti all’installazione di impianti a fonti generali. Si tratta, infatti, di due punti certamente importanti e che, in qualche modo, dovrebbero risolvere parte dei problemi che si sono generati nei mesi passati quando le Regioni hanno imposto limiti alle aree idonee arrivando a dichiarare non idonee fino al 99% delle superfici, come nel caso Sardegna.

Diverse, invece, sono le criticità che presenta il nuovo decreto.  Ad esempio, scrivono Greenpeace, Kyoto club, Legambiente e Wwf se il nuovo articolo 2, comma h) lettera a) prevede modifiche all’articolo 11-bis del d.lgs. 190/2024, in cui si confermano tra le aree idonee «i siti ove sono già installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale, per rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione, eventualmente abbinati a sistemi di accumulo, che non comportino una variazione dell’area occupata superiore al 20 per cento, fatto salvo quanto previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di autorizzazioni culturali e paesaggistiche per le nuove aree occupate», ma continua parimenti e irragionevolmente ad escludere che tale variazione d’area possa trovare applicazione anche per impianti fotovoltaici a terra in aree agricole. 

Sul punto, sono due le problematiche specifiche che le associazioni evidenziano: il decreto dovrebbe distinguere tra terreni produttivi e non, come ad esempio quelli situati intorno ad aree industriali o aree di bonifica, nei quali non sarebbe possibile coltivare. Il divieto all’ampliamento andrebbe quindi limitato ai soli casi in cui si tratti di impianti insistenti su aree agricole produttive. La seconda criticità riguarda, inoltre, la mancata distinzione tra impianti solari a terra e impianti agrivoltaici, che, quando fatti bene, possono essere un elemento importante non solo per la produzione agricola, ma anche per gi stessi agricoltori in termini di sostegno al reddito.

A tal proposito le associazioni ambientaliste sottolineano come la definizione di «impianto agrivoltaico» inserita attraverso l’articolo 2, comma 1 lettera c) è fortemente limitante e prende in considerazione solo quelli sospesi da terra. Un concetto che si basa su un errore di fondo: gli impianti agrovoltaici dovrebbero essere studiati sulla base delle colture e non su quelli delle tecnologie. Sono queste ultime e i loro layout a dover essere adattate alle colture e non il contrario.

Un ulteriore elemento non particolarmente positivo riguarda la possibilità di realizzare impianti nelle aree adiacenti a siti industriali, produttivi e commerciali, nelle quali, in caso di aree agricole, la fascia considerata idonea è di 350 metri, che arriva a 500 metri per gli impianti a biometano. Un limite nel primo caso e una differenza tra le due tecnologie di cui non si capisce la ratio. A tal proposito, si sottolinea come l’Articolo 2, comma 1, lettera i) al punto 1 tra le aree idonee consideri quelle interne agli stabilimenti e agli impianti industriali, non destinati alla produzione agricola. Ci preme sottolineare che risulterebbe alquanto strana la produzione agricola all’interno di siti industriali. Una specifica che ci sembra eccessiva, ma che intende ancora una volta sottolineare la non capacità di distinzione di un impianto solare a terra, da uno destinato all’integrazione delle colture agricole.

Inoltre, anche in questo decreto non sono previste, come aree idonee le fasce, fino a 500 metri, dalle linee ferroviarie, per la realizzazione di impianti solari, come invece era stato introdotto da Draghi e come il limite di 300 metri dalle reti autostradali sia limitante oltre al fatto che non vengano considerate le fasce di altre strade importanti come le superstrade. 

Infine, particolarmente critico appare alle associazioni firmatarie del documento il limite imposto nella definizione delle aree idonee che non deve essere inferiore allo 0,8% delle superfici agricole utilizzate (Sau), ma non superiore al 3%. Bene stabilire un limite sotto al quale non si può andare, ma risulta totalmente irrazionale il limite superiore del 3% che magari salvaguarderà il “preservare la destinazione agricola dei suoli” ma non certamente la produzione agricola considerando quelli che sono già gli effetti dei cambiamenti climatici proprio sul settore agricolo. Un limite che non tiene neanche conto delle vocazioni agricole regionali e locali e del diritto di ogni agricoltore di migliorare le proprie condizioni di produzione e di qualità di vita. Per salvare e aiutare il settore agricolo non serve salvare le diciture dei terreni, ma introdurre e applicare politiche e strumenti in grado di mitigare gli effetti di precipitazioni abbondanti e caldi estremi.

L’ultima criticità che viene messa in evidenza da Greenpeace, Kyoto club, Legambiente e Wwf, è quella relativa al comma 2, lettera m) nella quale si esplicita che le Regioni non possono ricomprendere come aree idonee quelle ricomprese all’interno dei perimetri dei beni sottoposti a tutela e paesaggio, ma si interviene con una fascia di rispetto, da tale perimetro, di ben 3 km, che è sicuramente migliorativo rispetto al limite precedentemente introdotto che arrivava fino a 7 km, ma è fondamentale che si inserisca la specifica che queste diventino aree ordinarie e che si inseriscano i riferimenti normativi alla quale si fa riferimento quando si parla di Beni e paesaggi tutelati. A questo si aggiunge il fatto che non si possono identificare come aree idonee quelle aree in cui le caratteristiche degli impianti siano incompatibili con le attuazioni previste dai piani paesaggistici, che si tradurrà in un potere discrezionale importante per Regioni e Comuni. Importante, in questo caso che venga specificato che si faccia riferimento ai piani paesaggistici vigenti. Da ultimo, per le associazioni occorre senza dubbio prevedere che tali previsioni non si applichino a impianti in autoconsumo e relativi a comunità energetiche rinnovabili, che, in ragione della ridotta taglia e della particolare funzione anche sociale che svolgono, dovrebbero essere supportate con tutte le misure possibile. Su questo, invece, il decreto legge Transizione segna un pericolo passo indietro, anche economico, minando anche le aspettative delle tante Regioni che in questi anni si sono positivamente attivate sul fronte Cer. 

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