Gli Usa aprono all’ennesimo rinvio dei dazi: potrebbero scivolare al primo agosto

Bruxelles – Seppur col fiato sospeso, gli europei sembrano aver guadagnato un po’ di tempo sulla questione cruciale dei dazi doganali statunitensi. La scadenza per trovare un’intesa con la Casa Bianca, inizialmente fissata al 9 luglio, è stata posticipata al primo agosto, dando più spazio per i negoziati tra le due sponde dell’Atlantico. Ma da questo lato dell’oceano, i Ventisette sono ancora spaccati sull’approccio da seguire per gestire Donald Trump e le sue minacce.
L’annuncio è arrivato ieri (6 luglio) dal segretario al Tesoro Usa Scott Bessent, durante un’intervista alla Cnn. Donald Trump, ha confermato, “invierà delle lettere ad alcuni dei nostri partner commerciali dicendo che se non si muovono, il primo agosto torneranno al livello tariffario del 2 aprile“, il cosiddetto Liberation Day in cui il presidente ha imposto “dazi reciproci” su quasi tutti i Paesi del mondo (incluse isole abitate esclusivamente da pinguini). A fine maggio, il tycoon aveva fissato la deadline al 9 luglio, venendo incontro alle richieste di Ursula von der Leyen, per la quale la data iniziale del primo giugno era troppo ravvicinata.
Il titolare delle Finanze a stelle e strisce ha voluto sottolineare che “non si tratta di una nuova scadenza“, anche se di fatto siamo di fronte ad un ulteriore posticipo di tre settimane. La strategia, sostiene, è quella di esercitare la “massima pressione” sui partner commerciali. E cita il caso dell’Ue come esempio per dimostrare la bontà di questa tattica: dopo un avvio incerto dei negoziati, ha osservato, gli europei “stanno facendo ottimi progressi“.
Al momento non è chiaro se l’ennesima proroga sia stata domandata da Maroš Šefčovič, il commissario Ue al Commercio volato negli States la scorsa settimana per tentare di chiudere l’accordo, ma senza riuscirci. E non è chiaro nemmeno a che punto siano le trattative tra Bruxelles e Washington. Šefčovič ha comunicato la disponibilità dell’esecutivo comunitario ad accettare una tariffa “piatta” del 10 per cento su tutti i prodotti (da accompagnare a esenzioni su settori specifici), ma negli scorsi giorni è circolata la cifra del 17 per cento, ventilata dallo stesso Trump come misura tariffaria di base.
Von der Leyen – che ieri ha sentito il tycoon al telefono – e i suoi commissari hanno ribadito molte volte di sperare in un’intesa vantaggiosa per entrambe le parti, ma hanno sempre lasciato aperta la porta delle ritorsioni giuridiche e commerciali, nel caso gli interessi europei fossero messi a rischio. “I lavori sono in corso a livello politico e a diversi livelli tecnici” mantenendo l’orizzonte del 9 luglio, ha commentato stamattina un portavoce del Berlaymont, negando di aver ricevuto lettere dalla Casa Bianca. Dati Eurostat alla mano, il valore del commercio Ue-Usa in beni e servizi nel 2024 ammontava a circa 1700 miliardi di euro.
Sia come sia, il tempo guadagnato andrà sfruttato dagli europei per cercare un punto di caduta, dato che le cancellerie dei Ventisette sono ancora profondamente divise sulla linea da seguire. Il commercio rientra tra le competenze esclusive delegate dai governi nazionali alla Commissione, che negozia a nome di tutta l’Unione ma deve, appunto, ottenere un mandato politico chiaro.
Gli Stati membri più dipendenti dalle esportazioni, come Germania, Irlanda, Italia e Ungheria, sono disposti ad accordare maggiori concessioni agli Usa pur di non vedere entrare in vigore le tariffe maggiorate. D’altro canto, Paesi come Francia e Spagna vorrebbero resistere nel braccio di ferro con Trump e negoziare termini più vantaggiosi per il Vecchio continente. Su questo fronte, la strategia trumpiana del divide et impera ha funzionato perfettamente.
Bessent ha dipinto come imminente la stipula di “numerosi accordi molto rapidamente”. “Mi aspetto diversi annunci importanti nei prossimi giorni“, ha affermato, ma senza menzionare nessun Paese nello specifico. Ad oggi, gli unici accordi conclusi sono quelli col Regno Unito e il Vietnam, mentre sembra essere tornata in vigore una sorta di tregua con la Cina.
Proprio contro Pechino, però, si è scagliato nelle ultime ore Trump, ammonendo l’intero globo terraqueo che Washington imporrà dazi aggiuntivi del 10 per cento su chiunque si “allinei” ai Brics+ (Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica più Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Indonesia ed Iran), bollando le politiche economiche del gruppo come “anti-americane“.
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