Il segreto di Meloni è governare senza disturbare gli italiani

Giorgia Meloni governa l’Italia da oltre tre anni senza crisi parlamentari, con una maggioranza solida e un consenso che non accenna a crollare. È già uno dei governi più longevi della storia repubblicana, e non solo per gli standard dell’ultimo ventennio. Ma cosa è rimasto davvero di questi tre anni di governo? Per ora una sola legge davvero importante: quella del ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha abolito il reato di abuso d’ufficio e protetto gli indagati dalla pubblicazione selvaggia delle intercettazioni. Poi qualche norma draconiana o spot a misura di tg: il decreto rave, il nuovo codice della strada e i fallimentari centri migranti in Albania.
Il resto dell’attività parlamentare fa volume, senza aver inciso davvero sulla vita degli italiani. Tantissime le promesse: il Ponte sullo Stretto, la riforma del premierato, la nuova legge elettorale. Se tra i risultati della legislatura state pensando alla legge quadro sull’autonomia differenziata vi fermiamo subito: senza i milioni di euro per garantire i livelli essenziali di prestazione, dalla Calabria alla Lombardia, quella norma è solo chiacchiere e distintivo, una cornice senza contenuto. Così come la riforma sulla separazione delle carriere di pm e magistrati ha il gigantesco asterisco del referendum.
Certo, in politica tutto è provvisorio e il giornalismo è sempre costretto a scattare foto sfocate, ma finora il governo Meloni soffre la stessa sindrome dell’esecutivo più lungo di sempre, quello guidato da Berlusconi dal 2001 al 2006. Di quella eterna stagione ricordiamo solo tre cose: la patente a punti, il divieto di fumo nei luoghi pubblici e il rapporto complicatissimo tra politica e magistratura. Un déjà vu, vent’anni dopo.
Finora l’unica promessa mantenuta dalla campagna elettorale è stata quella di aver spezzato le reni al perfido amichettismo di sinistra, piazzando con disinvoltura persone di fiducia nelle poltrone di Rai e istituzioni culturali. Non era così difficile, in fondo. Per la riduzione delle accise, il blocco navale e altri slogan impossibili da tradurre in legge, dovremo aspettare.
Meloni ha avuto il pregio di capire subito che il governo ha le sue ragioni che l’opposizione non conosce e ha mantenuto l’Italia un alleato fedele degli Stati Uniti, a prescindere da chi fosse alla Casa Bianca. Non ha condotto una masochista guerra campale contro l’Unione europea, come invece molti si aspettavano. In questo caso più che scrivere una nuova Storia, Meloni ha sconfessato la sua. La stessa che per anni tuonava contro l’Europa dei burocrati oggi si è trasformata in interprete disciplinata delle sue regole, al punto da rivendicare una relazione speciale con Ursula von der Leyen, non ricordando alla sua base che la presidente della Commissione europea è stata confermata anche coi voti dei socialisti dell’Europarlamento.
Le ultime tre leggi di bilancio sono il manifesto dell’impotenza fiscale del governo. La coperta è cortissima: con un debito al 135 per cento del Pil, i margini sono stati assorbiti da pensioni, sanità e rinnovi contrattuali. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha attuato una spending review dal sapore (tre)montiano con implacabili tagli lineari che non toccano l’architettura dei conti. Il risultato sono tre manovre quasi indistinguibili con due novità che entusiasmano i commercialisti ma non hanno effetti strutturali sulla crescita: il taglio del cuneo contributivo per lavoratori medio-bassi, trasformato da misura una tantum a stabilizzazione progressiva e la mini-riforma Irpef a due aliquote per redditi bassi e medi. Gli interventi annunciati sulla natalità sono rimasti frammentati e insufficienti, con nessuna nuova politica familiare capace di invertire la curva demografica.
In questi tre anni il governo avrebbe potuto sfruttare un volano incredibile per la nostra economia: il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Roma ha incassato già oltre 153 miliardi di euro in risorse europee e nazionali (almeno sette rate, inclusa l’ottava da 12,8 miliardi approvata a dicembre). Ma la spesa reale si ferma a un terzo: 86 miliardi di euro. Quindi due euro su tre restano nei cassetti dei ministeri, mentre i cantieri arrancano. E il ministro che nella prima parte della legislatura ha gestito mediocremente questo dossier, Raffaele Fitto, è stato addirittura promosso Commissario europeo; i maligni dicono perché fosse l’unico del governo a parlare bene inglese.
Questo governo ha promesso tanto e mantenuto poco, facendo il minimo indispensabile in economia, allineandosi all’atlantismo in politica estera, impantanandosi come molti predecessori in riforme divisive come la giustizia e il premierato, e non riuscendo a incidere sui temi strutturali come l’immigrazione. Come mai non crolla nei sondaggi?
Ci sono due possibili risposte. La prima è: grazie all’opposizione. La seconda è perché Meloni conosce bene la vera legge non scritta della politica: puoi fare tutto agli italiani, tranne rompergli i coglioni. I democristiani esercitavano questa massima con dichiarazioni ambigue, con il “troncare e sopire” come metodo di governo. La sinistra non l’ha mai capito e non perde occasione per fare la morale, venendo in cambio sbertucciata dai qualunquisti quando si trova al governo. Meloni invece ha adottato una strategia diversa: ridurre al minimo indispensabile le conferenze stampa in cui i giornalisti possono chiedere conto del suo operato e parlare solo attraverso video sui social, comunicati stampa, annunci trionfali e critiche all’opposizione senza controprova.
Il risultato è una propaganda social perfetta per caricare la base, senza essere invasiva per gli italiani che guardano la tv. Una strategia affinata nel tempo che costringe i media a inseguire la presidente del Consiglio; a parlare di lei e non con lei. In mancanza di dichiarazioni e interviste con cui aprire una polemica, i giornali si riempiono di retroscena in cui Meloni viene descritta come una secchiona che studia i dossier, che lavora e non perde tempo, che sopporta i suoi mediocri ministri. E che risolve le tensioni nella maggioranza, qualsiasi cosa voglia dire. Ogni tanto, quando la pressione per i mancati risultati si fa fortissima, o il governo scivola in autogoal mediatici come il caso Almasri, Meloni rispolvera il suo cavallo di battaglia: il vittimismo da outsider. Prende una dichiarazione inopportuna e monta su una lezione di retorica che rovescia i ruoli: lei non è più il capo del governo sotto esame, ma la madre accusata, la donna osteggiata, l’italiana perseguitata da élite malevole.
Quando Meloni non ha pretesti per la polemica del giorno, una mano la danno i suoi non ineccepibili ministri della corte dei miracolati, che tra gaffe seriali, collaboratrici ingestibili ed elucubrazioni contorte riempiono le pagine dei giornali. E quando non ci sono neanche loro, c’è sempre un’intervista del ministro degli Esteri Antonio Tajani su qualsiasi tema, all’elenco manca solo la Papua Nuova Guinea. Ai piccoli cenni sull’universo del leader di Forza Italia si contrappone l’ossessione politica del segretario della Lega, Matteo Salvini: la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, pur di essere ricordato, in qualsiasi modo.
Nel frattempo gli italiani sono sempre più poveri in un Paese che ha fatto della stagnazione il suo equilibrio. Con altri governi e altri presidenti del Consiglio la situazione sarebbe in ebollizione. Con questo governo e questa presidente del Consiglio, no.
Viviamo da tre anni come in una infinita puntata di “Severance”, la serie tv Apple in cui i lavoratori hanno il cervello diviso in due, una mente per l’ufficio e una per la vita privata, senza contatti tra le due. Così da una parte ascoltiamo i telegiornali nazionali dirci che il governo lavora instancabilmente per migliorare la nostra vita e guardiamo i post di Meloni rassicurarci sul fatto che la destra ci ha salvato dal caos e dalla distruzione. Poi c’è la vita reale, con scuole che cadono a pezzi, liste d’attesa infinite negli ospedali, treni sempre in ritardo, pochissimi asili sempre più costosi. Siamo forse diventati davvero un popolo maturo cosciente dei limiti strutturali di questo Paese, oppure Meloni ha capito come si trattano i suoi concittadini?
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