Ponte Morandi, il processo infinito: la sentenza arriverà dopo l’estate del 2026

Genova. Cominciato il 7 luglio 2022, il processo per il crollo del ponte Morandi non vedrà la sentenza di primo grado prima della fine dell’estate del 2026.
Ci vorranno quindi oltre quattro anni per sapere cosa deciderà il collegio composto dai giudici Paolo Lepri, Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori, rispetto alle pesantissime richieste dell’accusa (quasi 400 anni di carcere complessivi per 56 imputati).
E soprattutto, questo ormai appare certo, non sarà possibile – come speravano in molti a cominciare dai parenti delle vittime – avere la sentenza prima dell’ottavo anniversario della strage avvenuta il 14 agosto 2018.
La certezza sull’ennesimo allungamento dei tempi del mastodontico processo è arrivata a fine dicembre dopo l’ultima udienza prima della pausa natalizia in cui alle parti è stato consegnato il calendario delle discussioni delle difese.
Se ai pm Walter Cotugno e Marco Airoldi ci sono voluti quattro mesi per completare la loro requisitoria, altrettanto almeno è il tempo che verrà complessivamente utilizzato dai difensori. Le conclusioni degli avvocati sono cominciate il 9 dicembre e termineranno il 2 aprile.
Gli ultimi a parlare – per quattro udienze – saranno gli avvocati di Giovanni Castellucci. Per lui, che già si trova in carcere per scontare la condanna definitiva a 6 anni per la strage del bus di Avellino, i pm genovesi hanno chiesto 18 anni e mezzo di carcere, la pena più alta.
Dopo che i difensori avranno terminato, ci saranno le repliche dei pm e poi quelle dei difensori. A quel punto i giudici dovranno prendersi per forza del tempo per scrivere la sentenza. Un mese? Di più? Impossibile dirlo oggi con certezza, ma fonti ben informate confermano che la sentenza non potrà arrivare prima dell’estate. A settembre quindi, o magari anche un po’ dopo.
Le tesi contrapposte di accusa e difese
In estrema sintesi e semplificazione, la Procura sostiene che Autostrade per l’Italia (Aspi) e Spea (società di ingegneria responsabile dei controlli) non garantirono una manutenzione adeguata del viadotto nonostante segnali di deterioramento strutturale. Per il pm si preferì risparmiare sui costi di manutenzione per salvaguardare i profitti, a discapito della sicurezza. Già lo stesso progettista – sostiene l’accusa – avvertì dei rischi insiti in un progetto e nella sua realizzazione e problemi riscontrati negli anni Novanta sulle pile 10 e soprattutto 11 (che venne rinforzata con cavi esterni) avrebbe dovuto portare a interventi strutturali anche nella terza pila, la 9, il cui cedimento di uno strallo portò alla tragedia del 14 agosto 2018. Per i pm gli imputati hanno commesso reati colposi ma anche dolosi: falsi, omissioni di controlli, mancata sorveglianza, una gestione aziendale orientata unicamente al profitto. Solo per uno su 57 è stata chiesta l’assoluzione perché l’unico capo di imputazione nei suoi confronti si è nel frattempo prescritto.
Per i difensori degli imputati la tesi principe è quella invece del “difetto occulto” di costruzione a causa di una cavità interna alla sommità dello strallo che ha causato negli anni la corrosione e infine il crollo, cavità che in alcun modo poteva essere prevista o prevedibile.
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