Intervista con Federica Angeli: “Dopo aver visto il film “40 secondi” puoi solo amare Willy Monteiro Duarte e pensare che sia nel giusto”

Ottobre 26, 2025 - 06:00
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Intervista con Federica Angeli: “Dopo aver visto il film “40 secondi” puoi solo amare Willy Monteiro Duarte e pensare che sia nel giusto”

“Ho collaborato alla sceneggiatura sovrintendendo capitolo dopo capitolo. La trasposizione non doveva essere fedele al libro, però mi interessava che anche nel racconto della verità ci fosse una coerenza, quantomeno nel rispetto degli atti giudiziari, e devo dire che c’è stata”. Federica Angeli è l’autrice di “40 secondi. Willy Monteiro Duarte. La luce del coraggio e il buio della violenza”, edito da Baldini+Castoldi, da cui è stato tratto “40 secondi”, il film con la regia di Vincenzo Alfieri che ricostruisce le drammatiche ventiquattr’ore che precedono l’omicidio di Willy Duarte Monteiro, giovane capoverdiano di ventun anni ucciso a Colleferro il 6 settembre 2020 mentre difendeva un amico.

La pellicola, presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Concorso Progressive Cinema, arriverà nelle sale il 19 novembre, distribuita da Eagle Pictures.

Federica Angeli, cronista di nera e giudiziaria per “La Repubblica”, dal 2013 vive sotto scorta dopo le minacce mafiose ricevute mentre svolgeva un’inchiesta sulla criminalità organizzata a Ostia. Con “40 secondi. Willy Monteiro Duarte. La luce del coraggio e il buio della violenza” ci porta dentro uno dei casi di cronaca più violenti ed efferati degli ultimi tempi, indagando sulla natura umana, sulla banalità del male, sulla contrapposizione tra prevaricazione e generosità, ricordandoci l’importanza di non voltarsi dall’altra parte.

Federica, alla Festa del Cinema di Roma è stato presentato il film “40 secondi” tratto dal suo libro, come è stata coinvolta nella sceneggiatura?

“Ho collaborato alla sceneggiatura sovrintendendo capitolo dopo capitolo. La trasposizione non doveva essere fedele al libro, però mi interessava che anche nel racconto della verità ci fosse una coerenza, quantomeno nel rispetto degli atti giudiziari, e devo dire che c’è stata. Ho messo in contatto il regista e lo sceneggiatore con tutti i protagonisti di questa storia, quindi la famiglia di Willy, il suo miglior amico, gli avvocati, affinché potessero rappresentarli al meglio da un punto di vista artistico”.

Il cast del film è composto da un mix di giovani talentuosi e di attori conosciuti (Francesco Gheghi, Enrico Borello, Francesco Di Leva, Beatrice Puccilli, Justin De Vivo, Giordano Giansanti, Luca Petrini, Maurizio Lombardi, Sergio Rubini). E’ rimasta soddisfatta del risultato? 

“Il cast è eccezionale, sono molto soddisfatta del risultato perchè la gran parte di questi ragazzi non erano professionisti già esperti. Hanno detto di aver letto il mio libro e che è stato loro di aiuto per entrare nella storia, e questo mi ha fatto piacere. E’ un aspetto positivo il fatto che i giovani leggano e che abbiano voluto rispettare Willy e tutte le dinamiche connesse, prendendo a cuore questo film e trattandolo non come una fiction ma come un fatto reale con un messaggio da trasmettere”.

C’è qualcosa invece che magari non l’ha convinta fino in fondo?

“L’unico dettaglio che non mi ha convinto è l’immagine della locandina del film dove Willy è ritratto di spalle perchè è come se il messaggio fosse ribaltato, infatti sulla copertina del mio libro c’è il suo volto sorridente proprio a significare che ci ha messo la faccia e non si è voltato dall’altra parte”.

Il sottotitolo del suo libro è “la luce del coraggio e il buio della violenza”. Quanto è difficile oggi tenere accesa la luce del coraggio di cui lei è un esempio?

“E’ difficile. Quando le persone vedono che nel caso di Willy il prezzo da pagare è la morte e nel mio è una vita sotto scorta da dodici anni e la perdita della libertà sono portate a dire: “chi me lo fa fare?”. Il messaggio che si vuole trasmettere attraverso il libro e il film è invece una coerenza rispetto ai propri valori e il coraggio è la chiave per non guardare alle conseguenze ma pensare che se io non riesco a cambiare il mondo quanto meno il mondo non ha cambiato me. Non vuol dire essere incoscienti ma prendere una posizione rispetto a quello che si vuole essere, da giovani e da adulti”.

Il rovescio della medaglia è il buio della violenza. Il disagio giovanile è un problema molto grave e attuale, da cosa si può partire per cambiare le cose?

“Il buio della violenza nel film e nel libro è rappresentato dai disvalori di due fratelli che hanno fatto della prevaricazione e della prepotenza la loro cifra di vita. Purtroppo le apparenze, il mostrarsi forti, sono lo specchio della società attuale. Se i nostri giovani rincorrono quelli che per me non sono valori significa che forse pensano che il mondo chieda loro di essere violenti, di essere prepotenti per essere ascoltati, per trovare il proprio posto. Il risultato è raccapricciante. Willy è intervenuto in aiuto di un amico in seguito ad una lite scoppiata per un apprezzamento ad una ragazza, non un insulto, quindi sono entrati in gioco il possesso, l’idea che essendo la mia fidanzata non puoi dirle “ah bella”. I femminicidi dimostrano che purtroppo le donne vengono viste come una “proprietà” dai mariti o dai fidanzati ed è spaventoso. Spero che attraverso il film, che è molto più potente di un libro, resti impresso il messaggio che se ti comporti in quel modo sei un idiota. Dopo aver visto “40 secondi” puoi solo amare Willy e pensare che sia nel giusto, non certo i fratelli Bianchi che ne escono invece malissimo”.

Penso che il cinema, raccontando storie come quella di Willy, possa effettivamente aiutare sia i giovani che gli adulti a capire un po’ meglio il mondo in cui viviamo …

“Ho portato i miei figli a vedere le anteprime di “40 secondi”, hanno 16, 17 e 20 anni quindi tre età differenti, e si sono commossi, hanno recepito il messaggio. Questo mi ha ricordato quanto un film possa entrare nelle coscienze dei ragazzi aiutandoli a scegliere un modello da seguire piuttosto che un altro”.

Ad Ostia è stato creato “Ohana”, il primo bar bistrot antimafia d’Italia, come è nata l’idea?

“L’idea nasce dalla mia osservazione della realtà. Quando un bene è confiscato alle mafie viene affidato agli amministratori giudiziari, che sono dei commercialisti, e nove volte su dieci fallisce. Pertanto i cittadini pensano che quando se un locale è gestito dalla mafia funziona, se è amministrato dallo Stato va male. Il problema invece risiede nel fatto che i commercialisti non hanno una visione imprenditoriale. Allora sono intervenuta organizzando un corso di management antimafia, promosso dall’Associazione #Noi Antimafia, in cui i ragazzi vengono formati e al termine vengono chiamati dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata a gestire un locale fino a quando non viene rimesso a regime. Noi compriamo il caffè da un fornitore no mafia, così come le mozzarelle, il vino biologico e tutti i nostri prodotti, ovviamente il prezzo d’acquisto è più alto però creiamo un circuito virtuoso di fornitori sani che via via portiamo nei vari beni che lo Stato ci dà temporaneamente in gestione. Una volta che i nostri manager li rimettono a regime vengono restituiti alla collettività senza aver chiuso neanche un giorno. Questa è la mia nuova sfida alla mafia, ma anche ad uno Stato che nonostante le buone intenzioni non ha ottenuto i risultati sperati rispetto ai beni confiscati”.

A “Ohana” vengono presentati anche tanti interessanti libri …

“Credo che la cultura sia amica della legalità. Abbiamo avuto ospiti tanti autori più o meno noti, da Pietro Grasso a Giovanni Grasso, Sigfrido Ranucci, Filippo Roma, e ogni volta ho presentato questi libri insieme a uno dei ragazzi che stanno frequentando il corso di management antimafia, perché vorrei che nei loro locali, una volta che andranno a gestirli temporaneamente, facessero cultura.  E’ un bar bistrot veramente completo, dove si può gustare un aperitivo ascoltando però storie, racconti, romanzi e saggi”.

Nella foto Federica Angeli e Sigfrido Ranucci durante la rassegna “Libri nel bosco” – credit pagina Facebook Associazione #Noi Antimafia

Tra i vari ospiti della rassegna “Libri nel bosco” come diceva poco fa c’è stato Sigfrido Ranucci, che ha recentemente subìto un vile attentato. Quanto è difficile oggi poter fare davvero informazione in Italia?

“E’ difficilissimo perché la vera informazione in Italia non piace a nessuno. Siamo arrivati a un punto in cui anche nel giornalismo vince chi dice la cosa che la gente vuole sentirsi dire. Questo accade perché nel nostro Paese il giornalismo è sostanzialmente politico e politicizzato. Chi invece fa e prende a cuore questo mestiere raccontando i fatti per quelli che sono, senza dare visioni, senza prendere posizioni, paga un prezzo altissimo, e siccome siamo sempre meno si diventa più facilmente dei bersagli. L’attentato a Sigfrido Ranucci mi ha sconvolto, mi ha toccato molto, ci siamo confrontati, lui era sconfortato. Io so che cosa significa, mi hanno messo la benzina sotto la porta di casa, ho ricevuto dei proiettili, la macchina di mia sorella è andata a fuoco, quindi ho rivissuto quegli attimi di terrore. Non si capisce però per quale motivo non si riesca mai ad evitare che certe cose accadano. Sigfrido Ranucci vive sotto scorta, quindi dovrebbe esserci un’attenzione maggiore, non da parte degli agenti di scorta che lo seguono ma di chi sovrintende sulle nostre vite”.

Sta lavorando ad un nuovo libro?

“Sto scrivendo un nuovo libro. Tratta un caso di cronaca nera che ho seguito quest’estate e che mi ha particolarmente colpito, e parla della conflittualità dei rapporti familiari”.

di Francesca Monti

Si ringrazia Ornella Matarrese

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