In Italia consumiamo 2,7 mq di suolo al secondo, in crescita anche nelle aree a rischio frana

Il consumo di suolo insieme alla crisi climatica rappresenta il principale fattore dei danni da eventi meteo estremi – aumentati del +485% nell’ultimo decennio – che gravano sul nostro Paese, con un conto da 135 miliardi di euro dal 1980 e 38mila morti dal 1993. Eppure continua a crescere, ogni anno che passa.
A testimoniarlo è il nuovo rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, pubblicato oggi dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa). Oggi le infrastrutture, gli edifici e le altre coperture artificiali occupano più di 21.500 kmq, ovvero il 7,17% del territorio italiano a fronte di una media europea del 4,4%. Nell’ultimo anno sono stati coperti da nuove superfici artificiali 83,7 kmq, a fronte di appena 5,2 kmq di territori ripristinati – aree in cui il suolo da una condizione artificializzata torna ad una naturalizzata, spesso dovuta alla rimozione delle aree di cantiere –, per un consumo netto di suolo pari a 78,5 kmq: si tratta del valore più alto dell’ultimo decennio, qualcosa come circa 2,7 mq al secondo o 230mila mq al giorno.
È come se ogni anno venisse consumata la superficie equivalente a 12mila campi da calcio, ovviamente con distribuzione eterogenea lungo lo Stivale. Al 2024 in 15 regioni risulta ormai consumato più del 5% di territorio, con massimi in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%); il maggiore consumo di suolo annuale si osserva in Emilia-Romagna, che, con poco più di 1.000 ettari consumati (86% di tipo reversibile), è la regione con i valori più alti sia per le perdite sia per gli interventi di recupero, in Lombardia (834 ettari), Puglia (818 ettari), Sicilia (799 ettari) e Lazio (785 ettari). La crescita percentuale maggiore dell’ultimo anno è avvenuta in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l’Emilia-Romagna si ferma al +0,50%.
Nonostante una popolazione demografica in continuo declino, nessun’area del Paese è risparmiata dal consumo di suolo, neanche quelle più fragili. Nel 2024 si contano +1.303 ettari consumati nelle zone a pericolosità idraulica media e +600 ettari nelle zone a pericolosità da frana. L’impermeabilizzazione prosegue anche lungo le fasce costiere, dove la percentuale di suolo consumato nei primi 300 metri dal mare è più del triplo del resto del territorio nazionale (22,9%), nelle pianure (11,4%), nei fondi valle e nelle aree a vocazione agricola vicino a quelle urbane.
In crescita il consumo di suolo nelle aree protette nelle quali si ricoprono altri 81 ettari dei quali oltre il 73% riguarda i Parchi naturali nazionali (28,7 ettari) e regionali (30,8 ettari), mentre nelle aree Natura 2000 le nuove superfici artificiali ammontano a 192,6 ettari (+14% rispetto allo scorso anno). Al contempo diminuisce la disponibilità di verde in città, che sarebbe invece uno strumento molto utile per creare “città spugna” a prova di alluvioni e per ridurre l’impatto delle ondatre di calore: il 2024 registra infatti una perdita ulteriore di oltre 3.750 ettari di aree naturali.
Ma non tutte le forme di consumo di suolo sono equivalenti. Il consumo di suolo deriva infatti da molteplici fattori e i dati sulle nuove coperture artificiali permettono di distinguere la frazione di cambiamenti riconducibili a impermeabilizzazione (consumo di suolo permanente) dalle altre forme di rimozione o artificializzazione del suolo (consumo di suolo reversibile).
In base ai dati Snpa, le aree destinate a nuovi cantieri (4.678 ettari) sono la componente prevalente (il 56%) del consumo di suolo annuale. Si tratta di aree generalmente in transizione che saranno in gran parte convertite, negli anni successivi, in aree a copertura artificiale permanente (come edifici e infrastrutture) e, in misura minore, saranno ripristinate. Tra le altre classi, la crescita degli edifici nel 2024 è stata pari a 623 ettari, delle aree estrattive di 436 ettari, delle infrastrutture di 351 ettari, di altre coperture artificiali come piazzali, cortili, campi sportivi o discariche di 581 ettari.
Se si escludono le nuove aree di cantiere, il consumo permanente rappresenta il 35% del totale, con una prevalenza di edifici, piazzali pavimentati e strade. E i pannelli fotovoltaici a terra? Il Snpa conta +1.702 ettari “consumati” nel 2024, di cui l’80% su superfici precedentemente utilizzate ai fini agricoli, attribuendo al comparto «una porzione importante del nuovo suolo consumato reversibile», tant’è che gli ambientalisti parlano direttamente e ormai da tempo di “occupazione temporanea” di suolo, non di consumo.
Per dare il senso delle proporzioni, il Snpa informa che il fotovoltaico a terra occupa oggi circa 18.837 ettari, ovvero lo 0,88% del suolo consumato in Italia. Non che manchi lo spazio per installare pannelli sui tetti degli edifici, dove «ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 79 e 104 GW, un quantitativo sufficiente a coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal Pniec al 2030». Occorre però considerare che i grandi impianti fotovoltaici a terra (utility scale) sono in grado di produrre elettricità tre volte più economicamente di quelli sui tetti, e che se oggi non è agevole né rapido trovare spazi disponibili a terra, è ancora più complicato accelerare le installazioni parcellizzandole sulle tante piccole proprietà per gli edifici. Il tempo a disposizione non è una variabile indifferente per affrontare la crisi climatica, oggi la principale minaccia per paesaggio e biodiversità, e neanche il caro-bollette; fare spazio al fotovoltaico (anche) a terra significa garantire fonti di reddito alternative agli agricoltori che scelgono di mettere a disposizione i propri terreni, accelerare la transizione ecologica e anche migliorare la salute della biodiversità.
L’associazione confindustriale Elettricità futura, che rappresenta il 70% del mercato elettrico nazionale, ha evidenziato che per raggiungere il target sottoscritto dall’Italia alla Cop28 di Dubai di «triplicare le rinnovabili (installare nuovi 140 GW), servirebbe meno dell’1% dei terreni agricoli italiani, evitando ovviamente le aree agricole di pregio. «Eliminare totalmente le aree agricole, però, mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione», sottolinea il Wwf. La stessa posizione espressa da Legambiente, col suo presidente Stefano Ciafani: «È urgente modificare l’articolo 5 del Dl Agricoltura che ha vietato il fotovoltaico a terra, che si limita a usare il suolo, che invece viene consumato pesantemente da nuove aree residenziali o produttive, poli logistici e data center, che è ancora possibile paradossalmente realizzare per legge sui terreni agricoli del nostro Paese»
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