In Italia consumiamo 2,7 mq di suolo al secondo, in crescita anche nelle aree a rischio frana

Ottobre 25, 2025 - 18:30
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In Italia consumiamo 2,7 mq di suolo al secondo, in crescita anche nelle aree a rischio frana

Il consumo di suolo insieme alla crisi climatica rappresenta il principale fattore dei danni da eventi meteo estremi – aumentati del +485% nell’ultimo decennio – che gravano sul nostro Paese, con un conto da 135 miliardi di euro dal 1980 e 38mila morti dal 1993. Eppure continua a crescere, ogni anno che passa.

A testimoniarlo è il nuovo rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, pubblicato oggi dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa). Oggi le infrastrutture, gli edifici e le altre coperture artificiali occupano più di 21.500 kmq, ovvero il 7,17% del territorio italiano a fronte di una media europea del 4,4%. Nell’ultimo anno sono stati coperti da nuove superfici artificiali 83,7 kmq, a fronte di appena 5,2 kmq di territori ripristinati – aree in cui il suolo da una condizione artificializzata torna ad una naturalizzata, spesso dovuta alla rimozione delle aree di cantiere –, per un consumo netto di suolo pari a 78,5 kmq: si tratta del valore più alto dell’ultimo decennio, qualcosa come circa 2,7 mq al secondo o 230mila mq al giorno.

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È come se ogni anno venisse consumata la superficie equivalente a 12mila campi da calcio, ovviamente con distribuzione eterogenea lungo lo Stivale. Al 2024 in 15 regioni risulta ormai consumato più del 5% di territorio, con massimi in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%); il maggiore consumo di suolo annuale si osserva in Emilia-Romagna, che, con poco più di 1.000 ettari consumati (86% di tipo reversibile), è la regione con i valori più alti sia per le perdite sia per gli interventi di recupero, in Lombardia (834 ettari), Puglia (818 ettari), Sicilia (799 ettari) e Lazio (785 ettari). La crescita percentuale maggiore dell’ultimo anno è avvenuta in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l’Emilia-Romagna si ferma al +0,50%.

Nonostante una popolazione demografica in continuo declino, nessun’area del Paese è risparmiata dal consumo di suolo, neanche quelle più fragili. Nel 2024 si contano +1.303 ettari consumati nelle zone a pericolosità idraulica media e +600 ettari nelle zone a pericolosità da frana. L’impermeabilizzazione prosegue anche lungo le fasce costiere, dove la percentuale di suolo consumato nei primi 300 metri dal mare è più del triplo del resto del territorio nazionale (22,9%), nelle pianure (11,4%), nei fondi valle e nelle aree a vocazione agricola vicino a quelle urbane. 

In crescita il consumo di suolo nelle aree protette nelle quali si ricoprono altri 81 ettari dei quali oltre il 73% riguarda i Parchi naturali nazionali (28,7 ettari) e regionali (30,8 ettari), mentre nelle aree Natura 2000 le nuove superfici artificiali ammontano a 192,6 ettari (+14% rispetto allo scorso anno).  Al contempo diminuisce la disponibilità di verde in città, che sarebbe invece uno strumento molto utile per creare “città spugna” a prova di alluvioni e per ridurre l’impatto delle ondatre di calore: il 2024 registra infatti una perdita ulteriore di oltre 3.750 ettari di aree naturali. 

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Ma non tutte le forme di consumo di suolo sono equivalenti. Il consumo di suolo deriva infatti da molteplici fattori e i dati sulle nuove coperture artificiali permettono di distinguere la frazione di cambiamenti riconducibili a impermeabilizzazione (consumo di suolo permanente) dalle altre forme di rimozione o artificializzazione del suolo (consumo di suolo reversibile).

In base ai dati Snpa, le aree destinate a nuovi cantieri (4.678 ettari) sono la componente prevalente (il 56%) del consumo di suolo annuale. Si tratta di aree generalmente in transizione che saranno in gran parte convertite, negli anni successivi, in aree a copertura artificiale permanente (come edifici e infrastrutture) e, in misura minore, saranno ripristinate. Tra le altre classi, la crescita degli edifici nel 2024 è stata pari a 623 ettari, delle aree estrattive di 436 ettari, delle infrastrutture di 351 ettari, di altre coperture artificiali come piazzali, cortili, campi sportivi o discariche di 581 ettari.

Se si escludono le nuove aree di cantiere, il consumo permanente rappresenta il 35% del totale, con una prevalenza di edifici, piazzali pavimentati e strade. E i pannelli fotovoltaici a terra? Il Snpa conta +1.702 ettari “consumati” nel 2024, di cui l’80% su superfici precedentemente utilizzate ai fini agricoli, attribuendo al comparto «una porzione importante del nuovo suolo consumato reversibile», tant’è che gli ambientalisti parlano direttamente e ormai da tempo di “occupazione temporanea” di suolo, non di consumo.

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Per dare il senso delle proporzioni, il Snpa informa che il fotovoltaico a terra occupa oggi circa 18.837 ettari, ovvero lo 0,88% del suolo consumato in Italia. Non che manchi lo spazio per installare pannelli sui tetti degli edifici, dove «ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 79 e 104 GW, un quantitativo sufficiente a coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal Pniec al 2030». Occorre però considerare che i grandi impianti fotovoltaici a terra (utility scale) sono in grado di produrre elettricità tre volte più economicamente di quelli sui tetti, e che se oggi non è agevole né rapido trovare spazi disponibili a terra, è ancora più complicato accelerare le installazioni parcellizzandole sulle tante piccole proprietà per gli edifici. Il tempo a disposizione non è una variabile indifferente per affrontare la crisi climatica, oggi la principale minaccia per paesaggio e biodiversità, e neanche il caro-bollette; fare spazio al fotovoltaico (anche) a terra significa garantire fonti di reddito alternative agli agricoltori che scelgono di mettere a disposizione i propri terreni, accelerare la transizione ecologica e anche migliorare la salute della biodiversità.

L’associazione confindustriale Elettricità futura, che rappresenta il 70% del mercato elettrico nazionale, ha evidenziato che per raggiungere il target sottoscritto dall’Italia alla Cop28 di Dubai di «triplicare le rinnovabili (installare nuovi 140 GW), servirebbe meno dell’1% dei terreni agricoli italiani, evitando ovviamente le aree agricole di pregio. «Eliminare totalmente le aree agricole, però, mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione», sottolinea il Wwf. La stessa posizione espressa da Legambiente, col suo presidente Stefano Ciafani: «È urgente modificare l’articolo 5 del Dl Agricoltura che ha vietato il fotovoltaico a terra, che si limita a usare il suolo, che invece viene consumato pesantemente da nuove aree residenziali o produttive, poli logistici e data center, che è ancora possibile paradossalmente realizzare per legge sui terreni agricoli del nostro Paese»

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