INTERVISTA / Nowacki (CESE): “Mobilità sostenibile sia per tutti. Ponte sullo Stretto? Difficile da giustificare ad oggi”
Bruxelles – Almeno dai tempi del Green deal – che pure, oggi, sembra risalire alla preistoria – la mobilità sostenibile è al centro delle priorità della Commissione europea. Ma costruire una rete continentale di trasporti green ha un costo non indifferente, anche in termini sociali. Soprattutto in una congiuntura storica in cui la politica comunitaria (e non solo) si concentra soprattutto su economia e difesa.
Ne abbiamo parlato con Marcin Nowacki, vicepresidente dell’Unione degli imprenditori e dei datori di lavoro (ZPP) polacca e presidente dell’Alleanza europea delle imprese (EEA), che presiede la commissione Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione (TEN) al Comitato economico e sociale europeo (CESE).
La rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) è “il fulcro delle nostre ambizioni”, racconta Nowacki a Eunews, facendo riferimento al nuovo regolamento adottato l’anno scorso dai co-legislatori UE, Consiglio ed Eurocamera. Il testo “stabilisce un calendario in tre fasi per il completamento della rete”, spiega: “La rete centrale entro il 2030, la rete centrale estesa entro il 2040 e la rete globale entro il 2050″.
Tra le tre, osserva, la scadenza del 2040 è “particolarmente significativa perché si concentra sul colmare le lacune transfrontaliere“, dal momento che “molte regioni dell’UE non dispongono ancora di linee ad alta velocità o devono affrontare persistenti problemi di interoperabilità alle loro frontiere”, provocando una frammentazione lungo le linee nazionali.

Come si supera queste strozzature? Non si parla solo di “posa dei binari”: la realizzazione di “una rete ferroviaria ad alta velocità a livello europeo”, ragiona, “richiede interoperabilità (ad esempio standard comuni, segnaletica, elettrificazione), operazioni transfrontaliere efficienti, investimenti coordinati e volontà politica“. Per Nowacki, il “piano 2025” recentemente proposto da Bruxelles per accelerare sulla costruzione di una rete ferroviaria continentale “implica un coordinamento eccezionale dei finanziamenti” e va dunque realizzato con la massima attenzione per non disperdere risorse.
Parlando di finanziamenti, il membro del CESE ammette che “la transizione verso la mobilità sostenibile necessita di ingenti investimenti iniziali in infrastrutture e tecnologie“, come l’ammodernamento delle flotte dei trasporti pubblici, la costruzione delle stazioni di ricarica e l’integrazione di sistemi intelligenti di gestione del traffico. Una serie di costi “ancora più elevati nelle zone suburbane e rurali, dove le infrastrutture esistenti sono limitate” e va assicurato un “accesso equo” dei cittadini alle opportunità green.
“Rendere la mobilità sostenibile significa pianificare per tutti, non solo per le grandi città“, ribadisce Nowacki, aggiungendo che “gli enti locali, gli operatori dei trasporti e le stesse comunità devono lavorare insieme” per ottenere risultati condivisi. “Se saltiamo questo processo – che passa per piani di mobilità efficaci – finiremo per avere soluzioni frammentarie“, ammonisce, “che lasciano indietro qualcuno”.
Insomma, la decarbonizzazione è un privilegio per pochi? “Sicuramente è un processo costoso”, concede, e vanno dunque cercate “soluzioni adeguate alle possibilità a livello locale, nazionale ed europeo“. Quest’ultimo piano, quello comunitario, è imprescindibile secondo Nowacki: “Senza mantenere la prospettiva europea, è difficile intraprendere progetti realmente ambiziosi“, osserva, per una questione di scala e di sostenibilità finanziaria.

E il ponte sullo Stretto di Messina? La maxi opera tanto cara al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, il leader leghista Matteo Salvini, potrebbe rappresentare un progetto d’interesse europeo? Nowacki ci va coi piedi di piombo: “Le controversie che da tempo circondano il progetto indicano che è difficile produrre analisi e dati che giustifichino chiaramente un investimento di tale portata“, ci dice, insistendo sulla necessità che vengano analizzati “i rischi e la fattibilità economica” tenendo conto “delle esigenze di sviluppo infrastrutturale su entrambe le sponde” dello Stretto.
“Prima di costruire un ponte – scandisce – dovremmo chiederci se il miglioramento dei collegamenti ferroviari e marittimi non possa essere una soluzione migliore e più ecologica“. In altre parole, “se il ponte non apporta un chiaro valore aggiunto alla rete più ampia o rischia di sottrarre fondi ad altri progetti importanti, allora è difficile giustificarlo”, sostiene. “La connettività è fondamentale, ma dal punto di vista europeo deve servire un interesse più ampio, non solo le ambizioni locali”, conclude.
Quanto alle recenti discussioni sulla cosiddetta “Schengen militare“, Nowacki riconosce “il potenziale di rafforzamento delle capacità operative, di promozione dell’interoperabilità e di allineamento con le più ampie strategie di sicurezza” dell’Unione. Si tratta, afferma, di “un passo promettente verso il rafforzamento della cooperazione in difesa” tra i Ventisette, ricordando che “in tempo di guerra la rapidità di movimenti tra gli Stati membri è fondamentale“.
L’esecutivo a dodici stelle vorrebbe fare in modo che si possano spostare truppe, armi e mezzi da un capo all’altro del territorio UE in tre giorni. Attualmente, ce ne vorrebbero circa 45. Il punto, specifica Nowacki, è che “il concetto di mobilità militare va oltre il semplice spostamento delle attrezzature e rappresenta un elemento fondamentale della preparazione e della resilienza dell’Europa di fronte a sfide impreviste”. Per questo considera il pacchetto legislativo presentato il mese scorso dal Berlaymont “un importante passo avanti, perché dobbiamo rimanere in grado di rispondere a potenziali minacce“.
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