Iran. Bombe e propaganda: l’operazione Usa non ha fermato il nucleare

Giugno 25, 2025 - 22:00
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Iran. Bombe e propaganda: l’operazione Usa non ha fermato il nucleare

di Giuseppe Gagliano

Le immagini satellitari parlano chiaro, molto più delle dichiarazioni roboanti. L’ultima valutazione della Defense Intelligence Agency (DIA), trapelata alla CNN, smentisce platealmente la versione della Casa Bianca: gli attacchi del 21 giugno contro i tre principali impianti nucleari iraniani non hanno distrutto il cuore del programma atomico di Teheran. Nessun annientamento totale, nessun reset strategico, solo un ritardo operativo stimato in pochi mesi. Le infrastrutture superficiali sono state danneggiate, sì, ma le centrifughe e le riserve di uranio altamente arricchito sono rimaste in gran parte intatte.
Una realtà molto diversa da quella descritta da Donald Trump, che aveva rivendicato la “completa e totale distruzione” degli impianti iraniani. Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha rincarato la dose, affermando che le ambizioni nucleari iraniane sarebbero state “annientate”. Ma le fonti interne alla DIA rivelano che Fordow, Natanz e Isfahan hanno subito solo danni marginali. Le bombe da 30mila libbre sganciate dai B-2 statunitensi, le famigerate bunker buster, non hanno colpito in profondità. A Isfahan addirittura sono stati usati missili Tomahawk anziché bombe penetranti, segno evidente che gli USA stessi dubitavano dell’efficacia dell’arma convenzionale contro siti fortificati a profondità estreme.
Il vero impatto dunque sembra più politico che militare. La Casa Bianca ha bollato la valutazione come “falsa” e accusato l’intelligence di sabotaggio mediatico. Una portavoce di Trump ha liquidato la notizia come il frutto di una fuga di notizie da parte di un “perdente anonimo” della comunità dell’intelligence, accusando i critici di voler screditare i piloti e il presidente stesso.
Ma la realtà sul campo, confermata da fonti israeliane, dice altro. Anche Tel Aviv, pur sostenendo di aver rallentato il programma nucleare iraniano di due anni, riconosce che l’impatto su Fordow è stato ben inferiore alle attese. Il sito, costruito sotto centinaia di metri di roccia, ha resistito alle bombe americane. E se neanche il più avanzato arsenale convenzionale è in grado di neutralizzare i siti iraniani, la domanda si fa inquietante: quale sarà il prossimo passo?
La risposta non è scontata. L’amministrazione Trump, impegnata in una perenne campagna elettorale, ha tutto l’interesse a mostrare muscoli e leadership, anche a costo di travisare la realtà dei fatti. Israele dal canto suo si dice pronto a impedire qualunque ricostruzione del programma nucleare iraniano, ma il limite operativo è già stato raggiunto: oltre non si va senza escalation.
Nel frattempo l’intelligence americana prosegue il monitoraggio degli effetti degli attacchi, anche attraverso fonti interne in Iran. Ma la domanda cruciale è: quanto può durare questa strategia del colpo mediatico senza risultati strategici concreti? Il raid del 21 giugno è servito più a rinforzare la narrativa elettorale statunitense che a demolire davvero le capacità nucleari dell’Iran. E intanto, nel sottosuolo di Isfahan e Fordow, le centrifughe potrebbero tornare a girare molto prima di quanto Washington voglia ammettere.

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Redazione Redazione Eventi e News