L’Arcivescovo ai diaconi: «Siate uomini di comunione per la missione della Chiesa»

Agosto 30, 2025 - 17:30
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L’Arcivescovo ai diaconi: «Siate uomini di comunione per la missione della Chiesa»
L'Arcivescovo Mario DelpiniL'Arcivescovo Mario Delpini

«Vediamo qui il senso di una Chiesa viva che non si lascia spaventare e sa confrontarsi con il mondo contemporaneo. Voi siete un aspetto di questa Chiesa. Preghiamo con l’intenzione della santità a cui si dedicò tanto il beato cardinale Schuster». 

Così, nel giorno della festa liturgica di colui che fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954 – morì, appunto, all’alba del 30 agosto di quell’anno -, il vescovo Mario Delpini saluta i più di 100 diaconi permanenti riuniti, qualcuno anche con le mogli, presso il Centro pastorale di Seveso, per la loro tradizionale assemblea diocesana, aperta dalla preghiera dell’Ora terza. A tema, quest’anno, il tema “Diaconi a servizio di questa umanità”. 

All’inizio del nuovo anno pastorale 

Presenti il vicario generale, monsignor Franco Agnesi, e alcuni vicari di Zona, a portare un primo saluto è monsignor Ivano Valagussa, vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero. «Dopo un periodo di riposo, che comunque ci chiama a vivere l’anno pastorale come risposta alla chiamata del Signore, non riprendiamo solo perché ci sono delle cose da fare, ma per la motivazione profonda di un rilancio della vocazione. Questo passa attraverso la Chiesa e il modo in cui camminiamo insieme, dando il nostro contributo nel cammino sinodale. L’augurio è che ciascuno abbia a seguire il Signore, servendo i fratelli, come segno di quella comunione di cui il mondo, che invoca la pace e il Vangelo, ha veramente bisogno». 

Don Filippo Dotti, rettore del Diaconato permanente

Dopo di lui, don Filippo Dotti, rettore per la Formazione al Diaconato permanente, illustra il cammino percorso nell’anno 2024-2025 con il Giubileo dei Diaconi a febbraio 2025, il convegno di riflessione relativo a una nuova ratio per la formazione al Diaconato, nel gennaio scorso, la scelta dei nuovi referenti di Zona «con cui si è avviato un Tavolo di confronto per la promozione di eventi comuni come la celebrazione della festa di Sant’Arialdo». Lo sguardo va all’anno che sta iniziando, per cui è stato appena pubblicato, ne i “Quaderni della Formazione permanente del Clero”, il sussidio di orientamento e discernimento, “Siamo vostri servitori. Vivere il ministero in una Chiesa missionaria sinodale” (Ed. Centro Ambrosiano). Senza dimenticare i ritiri di Avvento e Quaresima, gli incontri di Zona, il prossimo 11 ottobre, l’importante convegno biennale regionale che si svolgerà a Mantova, e, soprattutto, le ordinazioni, l’8 novembre in Duomo, di 8 nuovi diaconi che si aggiungeranno ai 168 che conta la Diocesi. 7 i nuovi ingressi, per un totale di 30 persone in formazione.  

L’Arcivescovo: «Abbiamo un responsabilità»  

Da una sorta di bilancio dei due viaggi missionari che lo hanno portato, in luglio, in Messico e a Cuba e, in agosto, a Buenos Aires e in Cile, si avvia un’articolata riflessione dell’Arcivescovo che definisce quelle visitate «Chiese molto diverse tra loro e da noi, non solo in termini di km». Due gli aspetti sottolineati: «il rapporto tra la Chiesa e lo Stato, perché, in questi 4 Paesi è difficile, in modo drammatico a Cuba, ma anche in Messico, Argentina e in Cile, e il rapporto Chiesa-territorio, che è complesso perché ci sono pochi preti, consacrati e consacrate». 

Da qui, il richiamo di monsignor Delpini. «Noi abbiamo la responsabilità, come Chiesa milanese, di essere consapevoli della nostra storia, della capillarità di una presenza che va apprezzata, anche immaginando che possa essere condivisa, magari con diaconi che possano andare in quelle terre, come fidei donum. Anche nel rapporto con l’autorità civile, noi viviamo una condizione favorevole, ad esempio, nel rapporto con i sindaci. La Chiesa di Milano ha una tradizione di servizio da custodire con particolare fierezza, ma anche con responsabilità». 

Il Diaconato: un’appartenenza 

Una responsabilità ribadita nel contesto delle specifiche peculiarità del Diaconato permanente,messe in luce dall’Arcivescovo, come l’appartenenza «determinante per l’interpretazione della figura e della missione del diacono», perché «non si dà il diacono, come operatore pastorale, che opera a titolo personale». Il richiamo è allo stile con cui vivere il Diaconato senza protagonismi. «Lo sguardo e i sentimenti di Gesù: questo è lo stile. Da lui impariamo cosa significa servire. Se ci lasciamo impressionare dalle mode, non ci chiediamo più quale sguardo offriamo a questa umanità. Il diacono si caratterizza per una sua storia personale, con una vocazione adulta che si riconosce e si vive in continuità con la vocazione al matrimonio o alla vita celibe. Ciò vuole dire praticare lo stile di Gesù, là dove si vive». 

Se questa è la «continuità dell’appartenenza diaconale», vi è, tuttavia, anche una «discontinuità in quanto il diacono è chiamato a vivere lo sguardo e i sentimenti di Gesù nel contesto definito dalla destinazione che, di norma, chiede l’inserimento in responsabilità specifiche e anche in comunità altre rispetto alla comunità di origine. La novità del servizio del diacono ordinato è definita dall’appartenenza al Clero e dalla relazione con la Chiesa locale, quindi con il Vescovo e con le indicazioni e le forme proposte dalla Diocesi».

La profezia e la speranza

«Vivete lo stile come sguardo e sentimento prima che con le opere; il servizio come profezia, dicendo qualcosa che venga da Dio sulla realtà che viviamo», continua monsignor Delpini rivolgendosi direttamente ai presenti. La Chiesa, infatti, non offre soltanto il pane, ma il pane della vita.

«La missione che Gesù ha affidato alla Chiesa è di annunciare che il Regno di Dio è vicino, cioè che la parola del Vangelo semina nella storia umana un’altra storia”. Quella della speranza che non delude che «non è l’ottimismo, ma la risposta alla promessa di Dio. Annunciando la speranza facciamo un servizio all’umanità, perché se non si ha una prospettiva di vita eterna vince l’individualismo e diventa importante solo ciò che uno può avere, fare, il potere».

Il riferimento è al Giubileo della speranza e alla Bolla di indizione “Spes non confundit” di papa Francesco. «La Chiesa e, in essa i diaconi, annunciano la speranza perché annunciano il Vangelo Che non è riducibile alla parola dell’omelia o della catechesi, ma deve essere un modo di parlare ordinario, con una conversazione che entra in un rapporto semplice, non istituzionale, ma capace di comunicare. Il diacono deve avere fastidio delle chiacchiere e dei luoghi comuni: è più importante la relazione che la prestazione. La profezia che dobbiamo portare è che il Regno di Dio è presente e questo dobbiamo farlo negli ambienti di tutti i giorni, imparando anche noi la speranza. Si tratta di vivere una profezia che diventa conversazione, dialogo, testimonianza, ascolto dei disperati». 

La comunione e la missione 

E, ancora, fondamentale, «è il servizio della comunione». «Il diacono – scandisce il vescovo Mario – offre il suo servizio edificando la comunione, anche dentro il Clero: comunione inclusiva, che non esclude nessuno e, anzi, convoca tutti. Comunione sinodale che pratica una gestione del potere e delle decisioni che è frutto di un cammino fatto insieme nell’obbedienza a Gesù. Il diacono può vivere questo compito – la comunione che è per la missione in ogni ambito- in modo specifico. Mi pare che questo sia un tema o uno slogan molto ripetuto, ma dove la missione rimane una parola troppo timida e confusa». 

L’Arcivescovo assieme ai diaconi

Chiarissima, in tale contesto, l’importanza del ministero diaconale, offerto da uomini della soglia, incaricati di essere connessione “tra l’altare e la piazza”. Una sorta di “tessuto connettivo” come lo definisce uno dei diaconi che prende la parola, tra altri, nel successivo dibattito in cui l’Arcivescovo evidenzia la necessità di riprendere, durante il prossimo anno pastorale, i temi delineati nell’assemblea, ad esempio, sulla centralità dell’eucaristia, sulla sinodalità – come indica la Proposta pastorale – e sulla speranza. 

«Chiediamoci in che cosa speriamo, se sappiamo vedere i germogli di speranza presenti nelle nostre comunità. Il Giubileo dei Giovani è stato interessante: mi pare di aver visto nella loro capacità di recepire il messaggio del Papa già un germoglio del Regno». Sul tema della comunione per la missione: «Quale dedizione si può riconoscere alla cura per la sinodalità nelle nostre comunità? Quale idea di missione si condivide?», conclude il vescovo Mario ricordando di aver già visitato tutti i diaconi della Zona pastorale VI a cui seguiranno con ogni probabilità gli appartenenti a tutte le altre. «È una cosa che mi fa veramente piacere», confida annunciando di voler istituire, a livello diocesano, una Giornata del Diaconato, anche in prospettiva vocazionale e di aver intenzione di partecipare alla festa per sant’Arialdo. Il diacono milanese del XI secolo, morto martire per la purificazione della Chiesa, figura esemplare di santità, particolarmente venerata dai Diaconi permanenti ambrosiani.

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