Perché a Meloni e a Schlein converrebbe andare al voto già nel 2026

Novembre 23, 2025 - 07:30
Novembre 23, 2025 - 08:59
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Perché a Meloni e a Schlein converrebbe andare al voto già nel 2026

Anticipare le elezioni all’autunno del 2026 potrebbe non essere una cattiva idea. Se ci si pensa, converrebbe a tutti, o quasi, andare al voto esattamente un anno prima della scadenza naturale. In Parlamento se ne bisbiglia, e c’è chi ha notato che Giorgia Meloni si muove in una campagna elettorale permanente di cui il balletto napoletano al coro di «chi non salta comunista è» sarebbe una sgangherata spia.

Certo è che la turbolenza di questi giorni – il Bignamigate – non nasce a caso e non è un incidente, ma il frutto di un clima pessimo tra le massime istituzioni del Paese, governo e presidenza della Repubblica, che non può essere sopportato a lungo. Il sospetto di Palazzo Chigi, tanto infamante quanto ingiustificato, che il Quirinale remi contro non è sostenibile, né che la presidente del Consiglio innervosisca la situazione a ogni piè sospinto: non pare più solo una questione caratteriale, ma un problema politico che gli italiani dovrebbero poter valutare.

Il crescente nervosismo di Meloni è dettato anche dalla constatazione che l’economia non funziona. La propaganda ha un limite nei fatti: l’Italia è praticamente in recessione. E occorrerebbe – qui ci vuole – uno scossone nella politica economica. In generale, i partiti e le loro leadership hanno bisogno di un cimento nuovo e di un confronto limpido con l’opinione pubblica, fuori dai soliti giochetti politicisti.

Proprio l’opinione pubblica è esausta dinanzi a uno spettacolo che appare privo di risultati e vorrebbe qualche novità, o perlomeno un po’ di chiarezza. Sulla carta, una seria campagna elettorale potrebbe persino riportare un po’ di gente al voto se fosse impostata su un confronto sulle rispettive idee di Paese e su cosa fare in una situazione mondiale senza precedenti. Per Giorgia Meloni, le elezioni anticipate sarebbero una grande occasione per spezzare l’assedio che, secondo lei, mezzo Stato ha costruito intorno al suo governo.

Rivive in lei la sindrome di Silvio Berlusconi del complotto, unita all’antica ostilità per il dibattito pluralista. Ed è inutile sottolineare che, vincendo le politiche per la seconda volta, diventerebbe la padrona del suo campo, tra l’altro ridimensionando forse per sempre Matteo Salvini. Da una vittoria Meloni trarrebbe uno slancio mai visto che la proietterebbe naturaliter al Quirinale nel 2029: e nella coabitazione per altri due anni e mezzo con Sergio Mattarella avrebbe più forza.

È chiaro – lo ha notato Carlo Fusi su La Ragione – che una vittoria del Sì al referendum sulla separazione delle carriere aiuterebbe e, fatta una legge elettorale che, eliminando i collegi, azzopperebbe la sinistra, la via per le urne sarebbe aperta. Certo, come ha fatto notare Alessandro De Angelis su La Stampa, «andrebbe giustificato il perché e per come, proprio in questa condizione di stabilità, non riesce ad andare avanti al punto da interrompere la legislatura ma, volendo, può tentare la mossa»: un modo per chiedere lo scioglimento delle Camere lo si trova sempre.

In un certo senso, il discorso sin qui fatto per Meloni si attaglia anche a Elly Schlein. Anche la leader del Partito democratico è assediata da molti soggetti che mettono in discussione la possibilità che possa essere lei a sfidare la presidente del Consiglio. Un recente sondaggio di Youtrend indica che Giuseppe Conte è più forte di lei, che deve pure guardarsi da Silvia Salis, esponente più nuova di Elly. Ed è evidente che tutto questo la sta sottoponendo a un logoramento sfiancante.

Siccome Schlein è tenace, non intende tirarsi indietro, anzi: nei prossimi giorni proverà in tutti i modi a rilanciare la sua leadership, innanzi tutto nel suo partito. Ma anche per Schlein sarebbe meglio tagliare corto. Un’accelerazione della dinamica politica spegnerebbe manovre, bizantinismi e polemiche e, per forza di cose, spingerebbe a sciogliere rapidamente i nodi che tuttora imbrigliano il cosiddetto campo largo.

Il centrosinistra sarebbe costretto a scegliere in tempi più rapidi il candidato presidente del Consiglio, con primarie o con un accordo, chiudendo il tormentone che agita l’opposizione da troppo tempo: il popolo di sinistra non ne può più di tattica, vorrebbe una strategia. Contemporaneamente, il Pd e gli altri sarebbero obbligati a chiarire punti di programma decisivi, dalla politica estera alle proposte economiche.

In un mondo che corre a una velocità impressionante, tenere la politica italiana a bagnomaria può diventare un errore fatale. È una riflessione che circola nei palazzi romani, dove si percepisce una tensione nuova, quasi un’aria di fine stagione

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Redazione Redazione Eventi e News