Una nuova proposta contro il sovraffollamento: il "numero chiuso" in carcere

Lug 22, 2025 - 14:00
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Una nuova proposta contro il sovraffollamento: il "numero chiuso" in carcere

lentepubblica.it

La situazione nelle prigioni italiane continua a peggiorare, stretta nella morsa di un sovraffollamento che non accenna a diminuire: così si pensa al “numero chiuso” in carcere, scopriamo di cosa si tratta.


A lanciare una proposta concreta per affrontare questa crisi è Riccardo Magi, segretario di +Europa, che ha depositato in Parlamento un disegno di legge per introdurre un principio tanto semplice quanto rivoluzionario: nessun nuovo ingresso in carcere se non ci sono celle disponibili. In altre parole, pene alternative obbligatorie quando lo spazio dietro le sbarre non basta più.

Obiettivo: il “numero chiuso” in carcere

L’obiettivo è quello di introdurre un “numero chiuso” negli istituti penitenziari, sul modello già adottato in alcuni Paesi europei. Una misura pensata per rispondere a un problema diventato strutturale e, ormai, insostenibile. A fine giugno era stato lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a parlare apertamente di una situazione divenuta “intollerabile”, richiamando le istituzioni a un’assunzione di responsabilità.

Nel comunicato che accompagna la proposta, Magi evidenzia il paradosso di un’emergenza da tempo nota, ma che solo ora sembra ricevere attenzione da parte di alcuni esponenti del governo. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha recentemente chiesto un “cambio di passo” nella gestione del sistema penitenziario. Tuttavia, le cifre parlano chiaro: con l’attuale esecutivo, la popolazione carceraria è cresciuta di oltre il 6%, mentre i minori detenuti negli Istituti Penali Minorili (IPM) sono aumentati del 60%.

Secondo le ultime rilevazioni, circa l’85% delle carceri italiane ospita più detenuti di quanti ne possa accogliere, con situazioni limite in cui si raggiunge il doppio della capienza prevista. A rendere ancora più cupo il quadro è il numero di suicidi tra le persone recluse: nel solo 2024, ben 91 detenuti si sono tolti la vita. Una strage silenziosa che non può essere derubricata a fatalità.

L’effetto di politiche punitive

Sullo sfondo di questa emergenza si staglia l’impatto di recenti scelte legislative. Dal Decreto Caivano, che ha introdotto misure restrittive rivolte in particolare ai giovani, all’aggiunta di 14 nuovi reati e 28 circostanze aggravanti, le politiche messe in campo sembrano orientate a un inasprimento generalizzato delle pene. Un approccio securitario che, anziché colpire la criminalità organizzata o i reati più gravi, finisce spesso per penalizzare chi vive in condizioni di marginalità sociale.

Questo irrigidimento del sistema giudiziario ha avuto come effetto diretto l’aumento della pressione sulle carceri, senza però produrre un miglioramento tangibile della sicurezza collettiva. Anzi, secondo molte organizzazioni, si è accentuata una gestione repressiva che dimentica il ruolo rieducativo della pena, sancito dall’articolo 27 della Costituzione.

L’urgenza di una riforma strutturale

Tra le voci più autorevoli nel denunciare le criticità del sistema penitenziario vi è l’associazione Antigone, da anni attiva nella tutela dei diritti dei detenuti. Il suo presidente, Patrizio Gonnella, ha più volte sottolineato come l’aumento dei suicidi sia il segnale evidente di un sistema in affanno, dove la mancanza di supporto psicologico, la solitudine e l’isolamento contribuiscono a rendere invivibile la permanenza in carcere.

Il caso di Venezia, in cui Antigone si è costituita parte civile assieme alla madre di un giovane deceduto dietro le sbarre, è emblematico di una crisi che va ben oltre i singoli episodi: è in gioco la credibilità dell’intero apparato detentivo.

Numero chiuso: una via obbligata?

La proposta di Magi sul numero chiuso punta a rompere un tabù: quello per cui la risposta automatica a ogni problema sociale o criminale sia la reclusione. Se le carceri non hanno più spazio, occorre attivare misure alternative — dalla detenzione domiciliare al lavoro di pubblica utilità, passando per percorsi di reinserimento supervisionati — che permettano di scontare la pena senza contribuire al collasso del sistema.

Naturalmente, una simile trasformazione richiede un impegno politico deciso, non solo per approvare norme più eque, ma anche per potenziare le strutture territoriali e le risorse umane necessarie a gestire percorsi alternativi. In questa direzione va anche la proposta di istituire Case Territoriali di Reinserimento Sociale, un modello che metta al centro la dignità della persona e la prevenzione della recidiva.

Uno snodo politico e culturale

La questione penitenziaria non è solo una faccenda di spazi, numeri o regolamenti. È uno specchio del livello di civiltà di un Paese. Ignorarla o affrontarla con provvedimenti estemporanei significa prolungare una crisi che colpisce i più deboli e mina le fondamenta dello Stato di diritto.

Portare in Parlamento, prima della pausa estiva, un provvedimento per estendere la liberazione anticipata speciale potrebbe essere un primo passo concreto. Al rientro, servirà mettere mano a una riforma organica che superi la logica emergenziale e riconosca il carcere come ultima ratio, non come scorciatoia giudiziaria.

In fondo, la domanda non è solo se il numero chiuso sia la soluzione. Ma se siamo disposti, come società, ad abbandonare l’illusione che più carcere significhi automaticamente più giustizia.

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