Accordo sul prezzo del latte per scongiurare la crisi: pesa la concorrenza estera
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Dopo settimane di tensione e timori per la sopravvivenza di centinaia di aziende agricole, la filiera lattiero-casearia italiana ha finalmente raggiunto un’intesa temporanea sul prezzo del latte alla stalla.
Una convergenza considerata indispensabile per garantire un minimo di stabilità in un comparto che, solo nell’arco di pochi mesi, ha visto crollare le quotazioni come non accadeva da anni. A determinare questa caduta improvvisa non sono stati soltanto i cicli fisiologici del mercato, ma anche la crescente competitività dei grandi produttori globali, in primis Stati Uniti e Nuova Zelanda, capaci di immettere sul mercato alimentare volumi enormi a costi particolarmente bassi.
L’intesa sul prezzo e la situazione attuale
L’accordo stabilisce 54 centesimi al litro per gennaio 2026, seguito da una leggera flessione a 53 centesimi a febbraio e 52 a marzo. Una griglia pensata per tamponare un’emergenza che aveva assunto contorni allarmanti: dal picco estivo di 68,3 centesimi, il prezzo spot del latte è precipitato fino ai 47,9 centesimi registrati a novembre, un livello insostenibile per la maggior parte delle stalle italiane, alle prese con costi energetici e mangimi ancora elevati.
Il negoziato, convocato con urgenza, ha permesso di riportare attorno allo stesso tavolo produttori, industrie di trasformazione e istituzioni. Il Ministero dell’Agricoltura ha ribadito la volontà di sostenere l’intera filiera tramite vari strumenti: dal bando destinato agli indigenti, che assorbe parte della produzione acquistando beni alimentari per le fasce più vulnerabili, alle campagne di comunicazione per favorire il consumo interno, fino alle iniziative di internazionalizzazione delle imprese. Un pacchetto che punta a dare respiro a un comparto costretto a fare i conti con margini sempre più stretti.
Grana Padano, burro e derivati: i settori più esposti
La sofferenza del settore non riguarda solo il latte fresco. Anche prodotti simbolo come Grana Padano e burro stanno subendo contraccolpi evidenti. L’aumento delle importazioni a prezzi inferiori, unito a una produzione interna che negli anni scorsi ha raggiunto volumi elevati, ha creato un surplus difficile da smaltire. Le eccellenze italiane, pur forti di una qualità riconosciuta e di un legame profondo con il territorio, devono ora confrontarsi con concorrenti capaci di offrire condizioni più competitive.
L’impatto della concorrenza internazionale
Gli Stati Uniti possono contare su un settore lattiero altamente industrializzato, caratterizzato da allevamenti intensivi e meccanizzazione spinta, che consente di ridurre drasticamente i costi. La Nuova Zelanda, invece, beneficia di estesi pascoli naturali e di un modello basato su ampie superfici e un ridotto impatto infrastrutturale. Entrambi questi Paesi riescono quindi a esportare polvere di latte, burro e semilavorati a valori particolarmente vantaggiosi, mettendo sotto forte pressione il mercato europeo.
L’Italia, dove predominano aziende familiari e filiere corte, non può competere sul piano dei prezzi, ma solo su quello della qualità. Tuttavia, la crescente volatilità dei mercati globali rende vulnerabili anche le produzioni premium, generando squilibri difficili da gestire.
L’intesa può davvero arginare la crisi?
Nonostante l’accordo rappresenti una boccata d’ossigeno per evitare chiusure e salvaguardare gli allevamenti, molti operatori sottolineano che si tratta di una soluzione temporanea, utile soprattutto nei mesi invernali ma non sufficiente a ristabilire un equilibrio duraturo. La domanda che circola tra gli addetti ai lavori è se questi valori, frutto di un difficile compromesso, siano in grado di contenere gli effetti di una crisi più ampia e radicata.
Analisti e associazioni di categoria evidenziano come la volatilità dei prezzi sia diventata una costante e come la dipendenza dalle dinamiche globali esponga il sistema italiano a continui rischi. Le importazioni, seppur necessarie in certi periodi, possono alterare la competitività di una filiera che opera con standard qualitativi elevati ma costi superiori alla media internazionale. A questo si aggiunge l’aumento della produzione interna degli ultimi anni, che ha contribuito a creare eccedenze proprio mentre la domanda rallentava.
Quale futuro per la filiera?
Alla luce di questo scenario, l’intesa sui prezzi appare come un intervento tampone, utile a limitare le perdite ma non in grado da sola di garantire una ripresa robusta. Sarà necessario un ripensamento più profondo, che includa:
- investimenti nell’innovazione tecnologica
- maggiore diversificazione dei mercati esteri
- strategie di valorizzazione del Made in Italy
- un coordinamento più efficace a livello europeo
- un rafforzamento della sostenibilità economica e ambientale delle stalle
Solo attraverso una visione comune sarà possibile trasformare questa fragile tregua in un percorso di rilancio stabile.
Una tregua, non la fine dell’emergenza
Il prezzo fissato per i primi mesi del 2026 è quindi una boccata d’aria, necessaria per evitare chiusure a catena e ulteriore instabilità. Ma la filiera lattiero-casearia rimane esposta alle dinamiche dei giganti internazionali e a una concorrenza sempre più serrata. Le prossime settimane e, soprattutto, i prossimi mesi saranno cruciali per capire se questa intesa rappresenterà l’inizio di una nuova fase o soltanto un momento di pausa in una crisi che continua a correre veloce.
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