AL TAORMINA FILM FESTIVAL 2025, CON MICHAEL DOUGLAS, IL RACCONTO DI UN’ICONA DEL CINEMA

Apertura con il botto per la settantunesima edizione del Taormina Film festival (10-14 giugno), con una star di caratura internazionale. Nel corso della prima serata di gala, al Teatro Antico di Taormina, è stato encomiato, con il Taormina Excellent Achievement Award, un due volte premio Oscar. Si tratta di Michael Douglas che si era concesso, nel corso di un’interessante masterclass pomeridiana – guidata dalla direttrice artistica del festival Tiziana Rocca – all’abbraccio del pubblico, regalando a giornalisti e appassionati del cinema alcune risposte interessanti sulla sua carriera e sulla sua vita.
Il suo primo Oscar è legato a un film molto intenso, di cui è stato produttore, ossia Qualcuno volò sul nido del cuculo, diretto da Miloš Forman.
In effetti è il primo film che io abbia mai prodotto ed è anche quello che ha avuto più successo visto che ho vinto l’Oscar. È stata un’esperienza straordinaria perché si trattava di un film indipendente, un progetto che avevo ereditato da mio padre, perché era stato lui ad avere opzionato la storia negli anni ‘60. Mio padre era all’apice della sua carriera in quel momento, essendo stato protagonista del film Spartacus. In quello stesso periodo io ero a Broadway e frequentavo un corso di letteratura americana all’università e scoprii la storia fantastica che sarebbe diventata il mio film. Solo dopo seppi che mio padre voleva trarre la sceneggiatura per un film dal medesimo libro. Ho lavorato per tanti anni e alla fine il film è stato realizzato e ha cambiato la mia vita e la mia carriera, perché a quell’epoca, in realtà, io facevo l’attore ne Le strade di San Francisco, che era una serie televisiva. Non sapevo come sarebbe andata a finire, ma io amavo questo progetto. Per fortuna ho avuto la riprova del fatto che il mio istinto, un grande istinto aveva visto giusto. Da quel momento della mia carriera ho cominciato a lavorare sia come attore, all’inizio televisivo, che come produttore, anche se, normalmente, quando sei un attore che lavora in tv non sempre ti guardano di buon occhio, quando cominci a fare cinema. Adesso, invece, da questo punto è diverso. Ci sono meno pregiudizi di questo genere. Tornando a Qualcuno volò sul nido del cuculo, con questo film ho sperimentato il mio primo grande successo e abbiamo fatto una promozione globale che ci ha portato fino a Roma. Mi ricordo ancora che con Antonioni passai una serata bellissima, così come con De Sica, Bernardo Bertolucci, Lina Wertmüller, registi grandiosi che hanno manifestato tanto calore, tantissima generosità. Con loro non c’erano invidie perché tutti amavano il nostro film ed eravamo felicissimi di essere in Italia.
Era già stato al Taormina Film festival nel 2004. Cosa pensa della Sicilia?
La storia di Taormina è meravigliosa. Rappresenta anche un mix di religioni, di razze e culture. E credo che sia bellissimo stare qui con persone che arrivano da tutte le parti del mondo, che credono in tante religioni diverse. Tutti dovrebbero guardare alla storia della Sicilia e di Taormina per rendersi conto della meraviglia di questi luoghi e delle loro atmosfere.
Cosa significa essere il figlio di un grande mito del cinema come Kirk Douglas? Il secondo Oscar è arrivato con Wall Street di Oliver Stone, questa volta come attore, interpretando quel Gordon Gekko che è rimasto un personaggio storico nella cinematografia mondiale. Quanto è stato importante per la sua carriera?
Io sono un attore di seconda generazione. Mio padre, Kirk, era un attore veramente incredibile, meraviglioso. Io provengo appunto da una famiglia di attori, lo erano mio padre e mia madre. Credo che tutti quelli che hanno un figlio o una figlia provano a farlo lavorare in questo circuito, pur sapendo quanto sia difficile. Io credo che, se si è un attore di seconda generazione, si cerca di stabilire la propria identità, la propria immagine, a prescindere da quella del proprio padre. Quando io ho cominciato a recitare, tutti mi dicevano che ero proprio come mio padre, e riuscire a “crearmi” è stato il passo fondamentale della mia vita. L’Oscar che ho vinto per Wall Street è stato importantissimo e ha rappresentato un momento importante perché finalmente uscivo dall’ombra di mio padre. Mi sono sentito riconosciuto in quanto attore, perché mio padre era stato nominato per tre volte per un Oscar e non aveva mai vinto. Mi sono sentito accettato e visto come attore, perché a volte la gente pensa che perché sei figlio di un attore, allora la strada è spianata per te. Ma in realtà tutti i genitori aiutano i propri figli ma non possono fare più di tanto nel momento in cui devono camminare con le proprie gambe.
Quando deve scegliere e interpretare un ruolo, che cosa è importante per lei? Segue più l’istinto, o si attiene di più al copione?
Io sono stato molto fortunato all’inizio della mia carriera perché ho lavorato molto a teatro. Mi è stato molto utile, perché venivano selezionati dei nuovi spettacoli, dei nuovi show e lo scopo della compagnia teatrale era quello di lavorare per chi scriveva quegli spettacoli. Questo mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con degli scrittori di nuova generazione e soprattutto di lavorare tanto e fare gavetta, perché in quel momento storico c’erano tantissimi autori teatrali veramente bravi. Fare l’attore vuol dire soprattutto comprendere un testo articolato come quello teatrale. In tutta la mia carriera ho sempre studiato tutto il copione per capire se quel film fosse un buon film o meno. Perché si può preferire fare una piccola parte in un buon film piuttosto che una parte più grande in una pellicola non ben articolata. Non bisogna sprecare tempo su idee mediocri.
Quanto è cambiato il cinema nelle ultime decadi?
Il cambiamento più grande è quello che riguarda il passaggio dalla celluloide al digitale. Chiaramente sono cambiati anche i costi. Un’altra grande innovazione è stato lo streaming. Io ho sempre pensato che noi non perderemo mai le sale, perché le sale cinematografiche hanno sempre rappresentato il primo posto in cui ognuno di noi ha mandato i propri figli a guardare film da soli e rappresentano anche un luogo di liberazione e di nuove esperienze.
Pensa che adesso sia più difficile con le serie tv avere un duraturo successo di pubblico e diventare un cult che si prolunga verso il futuro? I suoi film si guardano ancora oggi e sono ancora oggi dei cult.
Attualmente guardiamo e riguardiamo le serie e niente ci cattura l’attenzione. Adesso è più difficile catturare l’attenzione perché c’è troppo di tutto. È più difficile diventare una star adesso, perché, di solito, non si vuole pagare la star ma si preferisce spendere i soldi che andrebbero alla star di turno sugli effetti visivi. Credo sia difficile per i giovani emergere. Però d’altro canto, proprio perché esistono gli iPhone, i telefoni, e gli altri dispositivi, è molto più facile fare un film oggi, perché si possono condividere delle storie e delle idee, invogliando dei finanziatori a realizzare dei prodotti interessanti.
Cosa pensa della corsa al riarmo che sta caratterizzando questo periodo storico?
Non mi rende felice osservare che i bilanci militari crescono ovunque, soprattutto nel mio Paese, che persevera nel chiedere agli altri paesi di incrementare le spese belliche.
Tra i momenti più complessi della sua carriera c’è stata la malattia …
Credevo che non avrei mai più lavorato. Ero vivo, ma mi sentivo come fossi svuotato. Il cinema mi ha salvato. Interpretare Liberace in Behind the Candelabra di Steven Soderbergh è stata, infatti, la mia salvezza. Ero felicissimo quando Steven me lo propose. Ma poi mi disse che dovevamo aspettare un anno, perché era impegnato in un altro film. Anche Matt Damon aveva altri impegni e questo mi aveva distrutto. Temevo che il progetto potesse andare in fumo. Invece volevano darmi tempo per rimettermi in forze. Ero troppo magro, non avevo forze. Non mi fecero sentire un problema e si assunsero loro la responsabilità. È stato uno degli atti più generosi che io abbia mai ricevuto. Quando venne prodotto il film ebbe un grande successo e per me fu il ritorno alla vita.
Com’è stato il rapporto con Sharon stone in Basic Instinct?
Stavamo avendo fatica a scegliere l’attrice più adatta. Poi Paul Verhoeven mi fece vedere l’audizione di Sharon Stone. Lui, calvinista olandese, spaventava le attrici parlando subito di nudità. Sharon non si fece impressionare e fu semplicemente fantastica.
Cosa pensa della computer grafica e dell’IA?
Mi è difficile comprendere, con tutta l’intelligenza e l’intelligenza artificiale di cui disponiamo attualmente, come possano ancora esserci tante guerre e conflitti. Per quanto riguarda le tecnologie nel mondo del cinema, fanno sì che si debba recitare come se fosse tutto reale, ma non c’è nulla di autentico in qualche caso. Ho imparato ad avere grande rispetto per chi lavora così. Tornando all’AI, sono molto preoccupato, perché credo che il suo potere e quello e dei robot diventerà quasi incontrollabile.
di Gianmaria Tesei
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