Francia. 23 siti industriali persi nel primo semestre 2025
di Giuseppe Gagliano –
Il 14 luglio, giorno di festa nazionale, i soldati francesi sfileranno sugli Champs-Élysées sotto lo sguardo attento del presidente e del mondo intero. Ma dietro la parata scintillante si nasconde una realtà più cupa: la Francia sta vivendo un lento ma costante declino della propria potenza industriale, una crisi che mina le fondamenta stesse della sua capacità di affrontare le sfide globali.
Nei primi sei mesi del 2025 il Paese ha perso 23 siti industriali. A fronte di 60 nuove aperture, ben 83 stabilimenti hanno chiuso i battenti. I settori più colpiti sono l’agroalimentare e l’automotive, vittime di una competitività globale che la Francia fatica a reggere. Il caso emblematico è quello delle chiusure dei siti Michelin a Cholet e Vannes, seguite a breve distanza da altri annunci più silenziosi come la chiusura di Plastivaloire a Mamers e quella di TI Automotive a Nazelles-Négron.
David Cousquer, fondatore di Trendeo, mette il dito nella piaga: “La debole politica di posizionamento del settore agroalimentare francese lo ha reso vulnerabile ai prodotti d’importazione a basso costo”. In altre parole, la Francia si trova a combattere una guerra commerciale senza strumenti adeguati, esposta alle correnti di una globalizzazione che sembra favorire gli altri.
La mappa delle chiusure di siti industriali coincide con quella dei piani sociali che si moltiplicano: metallurgia, chimica, aerospazio e difesa, automobilistico. Settori strategici che perdono migliaia di posti di lavoro, come se il Paese avesse deciso di rinunciare a una parte della propria identità produttiva.
Eppure l’esperienza storica insegna: nessuna potenza può reggere un conflitto prolungato senza una base industriale robusta. La guerra moderna non si vince solo con la tecnologia o le alleanze, ma con la capacità di produrre in massa ciò che serve per combattere e resistere. Nel 1914 la Russia pagò a caro prezzo la debolezza organizzativa del suo Stato. Nel 1941 Stalin riuscì a ribaltare il destino della Russia proprio grazie a un titanico sforzo industriale.
In questo contesto le parole del capo di Stato Maggiore francese che ha indicato la Russia come principale nemico dell’Europa suonano inquietanti. La Francia può davvero permettersi una simile postura strategica quando la sua industria è in ritirata?
Anche negli Stati Uniti, dietro la retorica bellicosa, Donald Trump ha mostrato di essere consapevole della fragilità del sistema industriale americano. La ritirata in fretta e furia dal Mar Rosso e la fine prematura della guerra in Iran rivelano la vulnerabilità di una potenza che non può più contare su una supremazia tecnologica incontrastata.
Se persino Washington comincia a riflettere sulle proprie debolezze, a Parigi ci si dovrebbe fermare a ragionare prima di nominare nuovi nemici. Perché, a differenza del 1871, la Francia contemporanea è una nazione in piena deindustrializzazione: in una guerra moderna, la sua sorte potrebbe decidersi in poche settimane.
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