Iperammortamento 2026, i dubbi di ANIE. “Da valutare la reale fruibilità da parte delle imprese”
INCENTIVI
Iperammortamento 2026, i dubbi di ANIE. “Da valutare la reale fruibilità da parte delle imprese”
ANIE Confindustria, espressione della filiera dell’elettronica e dell’elettrotecnica, apprezza l’estensione del Piano Transizione al 2028 ma lancia l’allarme sui limiti emersi dal rimaneggiamento della misura. Preoccupano in particolare la clausola “Made in EU” e l’esclusione dei pannelli fotovoltaici lettera a).

È dolce-amaro l’apprezzamento di ANIE Confindustria sul Piano Transizione 4.0 2026 basato sull’iperammortamento: da un lato c’è l’apprezzamento per l’orizzonte temporale allungato del piano, esteso fino al settembre 2028; dall’altro forti perplessità sulle limitazioni emerse dal rimaneggiamento della misura da parte del Governo, con l’introduzioni di alcune pesanti limitazioni. La preoccupazione principale riguarda la concreta applicabilità delle misure: senza correttivi (ormai improbabili, ndr) il rischio è di avere uno strumento con buone aliquote sulla carta, ma poco attraente per le realtà industriali.
ANIE Confindustria parla a nome di 1.100 aziende associate e circa 480.000 addetti. Si tratta di un comparto ad alta intensità di innovazione: le imprese aderenti investono mediamente il 4% del fatturato in Ricerca e Sviluppo, una percentuale che si traduce in oltre il 30% dell’intero investimento privato italiano in R&S. Nel 2024, l’export di tecnologie elettrotecniche ed elettroniche ha toccato quota 27 miliardi di euro.
I dubbi sulla questione green
Il giudizio della Federazione, che rappresenta un comparto da 112 miliardi di euro di fatturato aggregato, parte da un riconoscimento positivo: l’aggiornamento degli Allegati A e B. L’inclusione di nuove componenti hardware e software risponde a una richiesta che il mondo produttivo avanza da tempo, necessaria per allineare la normativa all’evoluzione tecnologica dei processi industriali. Ma l’architettura della manovra, così come è stata rimodulata, rischia di vanificare questo aggiornamento.
Il punto di caduta più evidente è l’eliminazione delle maggiorazioni che erano state previste per gli interventi in grado di ridurre i consumi energetici. Secondo ANIE questa scelta depotenzia l’intero impianto del Piano Transizione e crea un paradosso: si aggiornano gli allegati per valorizzare le componenti “green” dei processi, ma si tagliano gli incentivi diretti a sostenere quegli stessi investimenti in sostenibilità.
Il nodo della provenienza europea
Un ulteriore ostacolo alla concreta applicabilità dell’incentivo risiede nella clausola di territorialità. La legge di bilancio prevede infatti che siano agevolati esclusivamente i beni prodotti in uno Stato membro dell’Unione Europea o aderente allo Spazio Economico Europeo. Sebbene ANIE consideri condivisibile l’obiettivo di rafforzare la sovranità tecnologica continentale, segnala anche la complessità nell’applicazione di tale vincolo e la difficoltà nelle verifiche da parte delle Autorità competenti, che potrebbero generare un clima di incertezza, scoraggiando le imprese dall’avviare i progetti per timore di contenziosi successivi o revoche del beneficio.
Il caso dei moduli fotovoltaici
L’analisi tecnica della Federazione individua poi una forte criticità specifica nel settore delle rinnovabili. Desta infatti preoccupazione la scelta di escludere dall’elenco dei beni agevolabili i moduli fotovoltaici prodotti nell’UE con un’efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%, corrispondenti alla lettera a) del Registro ENEA. Un’esclusione che riduce drasticamente il numero di produttori ai quali rivolgersi per l’acquisto, con conseguenti ricadute negative sui costi per le aziende acquirenti.
Il decreto attuativo e il rischio del blocco
Non meno rilevante è la questione procedurale. La normativa prevede l’adozione di un decreto interministeriale per l’attuazione delle misure, preferito al più snello decreto direttoriale auspicato dagli industriali. Una scelta che impone un concerto tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).
L’esperienza storica insegna che i passaggi interministeriali dilatano le tempistiche: il rischio concreto è che il 2026 inizi con un vuoto operativo di qualche mese.
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