Iran. Teheran frena sull’escalation. Ma accusa, ‘Israele vuole uccidere la diplomazia’

di Giuseppe Gagliano –
In un clima segnato da bombardamenti incrociati, blackout diplomatici e mobilitazioni militari, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi lancia un messaggio che sa di ultima chiamata alla ragione: “L’Iran non vuole che il conflitto con Israele si trasformi in una guerra regionale, a meno che non ci venga imposta”. Un’affermazione densa di implicazioni, perché giunge mentre Teheran continua a subire – e a replicare a – attacchi diretti su infrastrutture civili e militari, mentre le cancellerie occidentali osservano in silenzio o, peggio, giustificano.
Secondo Araghchi, l’offensiva israeliana iniziata il 13 giugno ha letteralmente fatto saltare il tavolo negoziale con gli Stati Uniti sul dossier nucleare. “È del tutto evidente che Israele non vuole alcun accordo, non vuole negoziati e non tollera la diplomazia”, ha dichiarato il ministro, rivolgendosi agli ambasciatori stranieri a Teheran in un incontro trasmesso in diretta dai media statali. Le parole di Araghchi sono il riflesso di una frustrazione crescente per una trattativa ostacolata sistematicamente da raid, pressioni e sabotaggi. L’attacco sferrato nel bel mezzo dei colloqui è, per Teheran, la prova inconfutabile della volontà israeliana di torpedinare ogni apertura.
Teheran non è rimasta a guardare. Come ha confermato Araghchi, gli attacchi lanciati contro Israele hanno preso di mira non solo postazioni militari ma anche infrastrutture economiche critiche, replicando lo schema israeliano che ha colpito raffinerie e impianti petrolchimici iraniani. La linea scelta è quella della proporzionalità armata, una rappresaglia che intende restare sotto la soglia della guerra totale ma alzare il prezzo strategico per l’aggressore. “Israele sta giocando con il fuoco”, è il sottinteso.
Mentre il presidente Donald Trump si affretta a precisare su Truth Social che gli Stati Uniti “non hanno nulla a che fare con l’attacco israeliano”, Teheran alza il livello dello scontro verbale. Araghchi accusa Washington di complicità diretta: “Abbiamo prove concrete del loro sostegno”, ha dichiarato, senza tuttavia fornire dettagli. Il sospetto, da parte iraniana, è che l’intervento israeliano sia stato almeno avallato, se non esplicitamente coordinato, con gli Stati Uniti. Il fatto che Trump abbia anche minacciato l’Iran di una risposta militare “senza precedenti” in caso di attacco agli USA, rende l’ambiguità strategica ancora più esplosiva.
Nel Consiglio di Sicurezza riunito d’urgenza il 13 giugno, l’ambasciatore iraniano Iravani ha pronunciato parole gravi: “Israele non vuole negoziare, vuole sabotare i colloqui e trascinare l’intera regione in guerra”. Ha inoltre avvertito che i Paesi che sostengono lo Stato ebraico, “a cominciare dagli Stati Uniti”, devono essere considerati corresponsabili di eventuali escalation. È un’accusa diretta che richiama alla mente le responsabilità internazionali nei conflitti passati e prefigura una battaglia diplomatica serrata nelle prossime settimane.
Il 15 giugno, l’esercito israeliano ha diffuso in lingua persiana un messaggio insolito: un ordine di evacuazione urgente rivolto ai civili iraniani che vivono nei pressi di impianti di produzione di armi. Secondo il portavoce delle IDF Avichay Adraee, si tratta di una misura preventiva per salvaguardare vite umane. Ma il tono minaccioso e la tempistica rivelano un’operazione psicologica più ampia: creare panico tra la popolazione e indebolire il consenso attorno al governo iraniano.
Il ministro della Difesa Israel Katz ha confermato il piano: “Colpiremo ovunque serva per strappare la pelle del serpente iraniano”, ha affermato, con un linguaggio che non lascia spazio alla diplomazia. Secondo fonti israeliane, l’evacuazione forzata dei civili fa parte di un piano di pressione sistematica su Teheran, pensato ben prima degli ultimi raid.
Con civili in fuga, siti nucleari colpiti, scienziati assassinati e minacce incrociate tra superpotenze, il conflitto tra Israele e Iran ha ormai travalicato il campo militare. Siamo davanti a una crisi sistemica in cui si scontrano tre visioni opposte del futuro della regione: l’unilateralismo armato di Israele, il nazionalismo difensivo dell’Iran e l’ambiguità strategica degli Stati Uniti. In mezzo, la diplomazia, già ferita, rischia di essere sepolta sotto le macerie.
Qual è la tua reazione?






