La fine dell’era Tajani rompe l’immobilismo politico del centrodestra

Provare ad assaltare la Fort Knox della destra, laddove sono custoditi i milioni di voti di Fratelli d’Italia: un piano ambizioso, da romanzo di Ian Fleming, quello di James Bond, che frulla nella testa della Famiglia. Già, è sempre l’ora dei Berlusconi. Perché «un imprenditore non può star lontano dalla politica»: lo sappiamo almeno dal 1994, ieri lo ha confermato il primo figlio, Pier Silvio Berlusconi. Con la stessa nonchalance con la quale l’augusto padre lanciò sul mercato politico la sua creatura politica, Forza Italia, ieri Pier Silvio ha elegantemente dato gli otto giorni ad Antonio Tajani, con tanto di sentiti ringraziamenti per aver saputo in questi mesi preservare quel che resta dei giorni del Padre.
Eppure – come dire – Tajani ha fatto il suo tempo, per i tempi nuovi che incombono servono «idee e facce nuove» (quel Roberto Occhiuto che ha trionfato in Calabria pare il maggior indiziato, ma non sembra esserci una folla di «facce nuove»).
Da tre anni il centrodestra vive in un assetto congelato nella vittoria del 2022. Ieri, per la prima volta, qualcosa si è mosso. Forse qualcosa di grosso. E può essere un altro segnale della lunga corsa alle elezioni.
A dire la verità, il capo di Mediaset non ha illustrato quali idee nuove servano al partito, rifugiandosi nei rituali elogi alla presidente del Consiglio e nelle liturgie europeiste di circostanza. Ma un manager guarda sempre al profitto. E in politica il profitto è uno solo: i voti. Che oggi riposano, abbondanti, nel baule di Fratelli d’Italia, con un divario che oscilla tra il doppio e il triplo rispetto agli azzurri.
Ora, qui il discorso diventa difficile. Quello che sembra di poter escludere – soprattutto Marina Berlusconi lo ha fatto capire in diversi interventi – è che Forza Italia non dismetterà mai la sua allure liberaloide e dunque, per la «contraddizione che nol consente», non potrà mai andare a giocare sul terreno reazionario che, nonostante tutto, resta l’humus dei meloniani; potrebbe invece riprendere il discorso di un sano centrismo e scommettere sulla capacità di una nuova leadership del partito di attrarre quegli elettori non reazionari che hanno finito per votare FdI in mancanza di meglio.
Insomma, riportare a casa i berlusconiani doc che hanno trovato solo Giorgia Meloni a difenderli dallo spauracchio dei «comunisti». Ovviamente si tratterebbe di reimpostare un discorso di cultura politica un pochino più alto delle miserie del dibattito attuale, davvero rivitalizzando una visione centrista e liberale, dunque non trumpiana e non populista, della lotta politica.
Nessuno scommette su uno strappo del partito fondato da Silvio Berlusconi dall’alleanza di centrodestra, non è mai successo e mai succederà, ma quello che è possibile, è l’apertura di una fase diversa, fatta di maggiore protagonismo e di competizione con il melonismo in vista di un riequilibrio delle forze in quel campo, come spunto per un nuovo dinamismo della politica italiana.
Evidentemente, per la Famiglia non è Tajani la figura che può fare tutto questo. Sarà stato il ministro degli Esteri, il traghettatore, l’uomo che ha accompagnato il partito nel lutto e nell’attesa, tra il mondo di Silvio che si è spento e il nuovo che non è ancora riuscito a nascere.
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