La fragile pace trumpiana merita più prudenza e meno impudenza

I bombardamenti sui palestinesi sono cessati e gli ostaggi israeliani ancora vivi sono tornati a casa. Questo era l’importante, è accaduto ed è una ragione più che sufficiente per festeggiare. Ma di qui in poi è difficile raccapezzarsi. E certo non aiuta lo spettacolo a dir poco surreale offerto ieri da Donald Trump nei suoi molteplici, svagati e assai divaganti interventi, prima alla Knesset e poi a Sharm el-Sheik. Ancora una volta, come capita sempre più spesso nel commentare i maggiori avvenimenti politici di quest’epoca impazzita, si ripropone il dilemma su quale sia la sostanza e quale la superficie delle cose: il piano americano in venti punti che dovrebbe portare la pace è la vera notizia, rispetto alla quale i capricci e le insensatezze di Trump rappresentano un dettaglio insignificante, o viceversa? Forse lo sapremo solo con il tempo, dopo avere visto l’esito di un così intenso lavoro diplomatico.
Al riguardo, questa è l’opinione espressa da Gideon Rachman sul Financial Times: «Se l’intero piano di pace in venti punti di Trump venisse messo in atto e funzionasse, allora il presidente e i suoi inviati potrebbero davvero risolvere il conflitto israelo-palestinese. Sarebbe un risultato monumentale: qualcosa che è sfuggito ai presidenti americani che si sono succeduti dal 1948, nonostante gli intensi sforzi di personalità come Bill Clinton e Jimmy Carter. Ma è anche, purtroppo, improbabile».
Il principale motivo per cui è improbabile riguarda Hamas, che non sembra così intenzionata a disarmare e lasciare il controllo della Striscia di Gaza, e anzi al momento appare impegnata nel tentativo di riaffermare il suo controllo, anche contro i gruppi rivali. Ma se Hamas decide di resistere, rischia di venir meno anche il contingente multinazionale guidato da Paesi arabi e musulmani che dovrebbe garantire la sicurezza dell’area, e a maggior ragione rischierebbero di venir meno il ritiro israeliano e il cessate il fuoco. A quel punto, evidentemente, del piano di pace resterebbe ben poco.
Comunque vada a finire, resta lo sgomento per la rapidità con cui buona parte dei nostri commentatori è passata dalle frasi di circostanza con cui fino a ieri condannava lo sterminio di decine di migliaia di palestinesi da parte dell’esercito israeliano al tono trionfalistico e persino derisorio con cui oggi incalza chiunque non gridi tre urrà per Benjamin Netanyahu e Donald Trump, cioè i principali responsabili delle atrocità di cui sopra. Mi sta ancora bene che lo faccia quella manciata di esaltati che ha sempre negato qualsiasi eccesso da parte di Israele, giustificandone ogni scelta con le inevitabili asprezze della lotta al terrorismo o negando ogni addebito come frutto della propaganda di Hamas. Ma tutti gli altri, tutti coloro che fino a ieri, sui giornali e in tv, non hanno potuto negare le atrocità compiute a Gaza, oggi dovrebbero cercare di moderare un po’ di più i propri entusiasmi, se non vogliono dare l’impressione di considerare la morte di decine di migliaia di palestinesi innocenti un ragionevole prezzo da pagare per il presunto capolavoro politico di Trump e Netanyahu.
Leggi l’articolo di Alessandro Cappelli su questo tema
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