La guerra ibrida di Putin all’Europa non si fermerà, nemmeno con un cessate il fuoco in Ucraina

Da un paio di settimane si parla quotidianamente di cessate il fuoco tra Ucraina e Russia, come se fosse un’opzione molto concreta. Al momento, a dire il vero, è poco più che un’illusione. Mosca si rifiuta di offrire all’Ucraina ogni minima garanzia di sicurezza contro futuri attacchi. La guerra, per Vladimir Putin, finirà soltanto quando avrà ottenuto ciò che vuole, con i negoziati o con la forza.
Anche qualora si arrivasse a un accordo formale, non sarebbe comunque la fine delle ostilità. Ogni giorno le notizie dall’Ucraina ci ricordano la brutalità dell’invasione: la ricerca sistematica di bersagli civili, gli attacchi double tap che colpiscono i soccorritori, le torture, le ripetute violazioni delle convenzioni internazionali. La Russia di Putin ha costruito una cultura e una mitologia della forza militare, ma la realtà è che si è dimostrata molto più capace nella guerra ibrida che in quella convenzionale.
Per questo anche un cessate il fuoco non fermerebbe la guerra. Semplicemente la trasformerebbe ancora, spostando la linea del fronte dal campo di battaglia alle capitali europee, alle società occidentali, alle infrastrutture critiche.
Da anni infatti la Russia si impegna in attacchi informatici, sabotaggi, interruzioni di approvvigionamenti, manipolazione dell’informazione e altre azioni segrete o coercitive, come ha scritto a inizio settimana l’Atlantic Council in un articolo di Maksym Beznosiuk, esperto di evoluzione della strategia militare e ibrida della Russia. «Il regime di Putin ha trascorso più di un decennio a perfezionare il suo repertorio di guerra ibrida. Molte delle tattiche attualmente utilizzate contro i Paesi dell’Unione europea sono state sviluppate per la prima volta durante la fase iniziale della guerra russa in Ucraina, iniziata nel 2014. In questo modo il Cremlino ha lavorato attivamente per destabilizzare e indebolire lo Stato ucraino dall’interno. E dall’inizio dell’invasione su vasta scala nel febbraio 2022, anche la guerra ibrida contro l’Europa è entrata in una nuova fase, più intensa».
La guerra ibrida non è un dettaglio secondario, né un’appendice della guerra convenzionale, è parte integrante del disegno strategico del Cremlino.
Lo schema è sempre lo stesso: colpire senza esporsi, mantenendo quel margine di ambiguità che consente a Mosca di dire «non siamo stati noi» mentre manda in fiamme magazzini, centri commerciali, cavi sottomarini. A maggio di quest’anno un incendio a Varsavia ha distrutto oltre millequattrocento negozi: dietro c’erano uomini dei servizi russi. Un mese dopo, un tribunale britannico ha condannato tre uomini per aver dato fuoco a un deposito di aiuti destinati a Kyjiv, tutti reclutati online da emissari del Cremlino.
Lo scorso gennaio un rapporto dell’International Institute for Strategic Studies scriveva: «La Russia sta conducendo una guerra non convenzionale contro l’Europa. Attraverso la sua campagna di sabotaggio, vandalismo, spionaggio e azioni segrete, l’obiettivo della Russia è quello di destabilizzare i governi europei, minare il sostegno pubblico all’Ucraina imponendo costi sociali ed economici all’Europa e indebolire la capacità collettiva della Nato e dell’Unione europea di rispondere». È un’offensiva che sfrutta soprattutto le vulnerabilità delle democrazie: infrastrutture trascurate, opinioni pubbliche polarizzate, governi impacciati e lenti a reagire.
Negli ultimi mesi i Paesi baltici hanno registrato episodi di sabotaggio sempre più sofisticati. Un capitano della cosiddetta flotta ombra russa – Linkiesta ne aveva parlato lo scorso autunno – è stato incriminato per aver tagliato cinque cavi sottomarini nel Golfo di Finlandia, causando danni per decine di milioni di euro. Intanto i radar civili hanno rilevato continui disturbi Gps, con rischi enormi per l’aviazione. E le autorità lettoni hanno lanciato l’allarme: agenti russi travestiti da turisti, pronti a spiare e compiere azioni di sabotaggio sul suolo europeo.
Il metodo è sempre più decentralizzato. «La Russia ha sfruttato le lacune dei sistemi legali attraverso il suo approccio da “gig economy”, che le ha consentito di evitare attribuzioni e responsabilità», scrive ancora l’International Institute for Strategic Studies. In pratica, Mosca affida missioni terroristiche a dilettanti reclutati via social media: incendiare un capannone, piazzare un ordigno rudimentale, tagliare un cavo. Molti vengono scoperti, ma il costo per l’Europa resta enorme, perché l’obiettivo non è la perfezione operativa: è la moltiplicazione del caos.
Se massimizzare l’entropia è l’obiettivo, la guerra ibrida è uno strumento molto più pericoloso della guerra convenzionale. E la disinformazione diffusa su larga scala in tutta Europa ne è una dimostrazione: «Lo scopo della disinformazione non è necessariamente convincere le persone di affermazioni stravaganti, ma seminare paura, incertezza e dubbio», scrive Luke McGee, giornalista esperto di cose europee, su Foreign Policy.
Putin vuole instillare il dubbio che sostenere l’Ucraina sia davvero sostenibile, vuole alimentare la paura dei costi di una guerra lunga, e costruire un terreno fertile per partiti estremisti e movimenti filorussi.
Il problema è che l’Europa non riesce a rispondere con la stessa rapidità e coerenza con cui la Russia porta avanti le sue operazioni di guerra ibrida. Ogni Paese è stato colpito in modo diverso, e spesso le reazioni sono state frammentarie. Nato e Unione europea hanno creato task force dedicate, ma le risposte non sono mai davvero integrate: i singoli episodi vengono trattati come incidenti isolati, non come tasselli di una strategia unitaria del Cremlino.
Mentre a Bruxelles si discute di budget, di sanzioni e di priorità, la Russia continua a colpire infrastrutture critiche, dai gasdotti ai cavi della rete internet, sfruttando il fatto che decenni di manutenzione intermittente hanno reso il sistema energetico e tecnologico europeo particolarmente fragile.
Eppure, la posta in gioco è chiarissima. La guerra ibrida non conosce tregua, può addirittura intensificarsi in un contesto di pace apparente, quando la stanchezza delle opinioni pubbliche e la pressione per ridurre le spese militari renderebbero i governi occidentali ancora più vulnerabili alla propaganda e al sabotaggio.
Il rischio maggiore è che un’Europa divisa lasci a Mosca l’iniziativa. Ogni volta che un attacco informatico o un sabotaggio viene trattato come un episodio casuale, Putin guadagna terreno nella sua guerra silenziosa. Non serve che la Russia vinca sul campo: le basta logorare la fiducia tra gli alleati, minare la coesione sociale e alimentare il sospetto che l’Ucraina sia un peso insostenibile.
È questo il vero pericolo. Un cessate il fuoco non significherebbe la fine della guerra, ma soltanto l’inizio di un nuovo capitolo. Almeno fin quando l’Europa non troverà la forza di rispondere con unità e decisione.
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