«Lo stile sinodale nasce dalla docilità allo Spirito»



«Sono segretaria dell’Assemblea sinodale decanale di Carate Brianza, in Zona pastorale V, avendo iniziato questo cammino già con il Gruppo Barnaba. Quindi mi trovo in grande sintonia con quanto suggerisce la Proposta pastorale». Suor Renata Cerri, religiosa della Congregazione delle Suore di Carità – più comunemente dette “di Maria Bambina – non ha dubbi sul fatto che la Proposta dell’Arcivescovo sia un’importante «messa a terra della progettualità sinodale, proprio nel richiamare la sua ricezione, ma anche nell’evidenziare la necessità di uno stile di conversione e di metodologie che dovranno essere assunte per vivere pienamente questo canone di vita».
L’Arcivescovo, infatti, parla proprio di uno “stile” a cui formarsi con «docilità allo Spirito», per essere un’autentica Chiesa missionaria in cui «tutti si sentano accolti, chiamati a conversione, destinatari di una vocazione». Come legge questo appello anche nella sua veste di religiosa?
Nella nostra esperienza concreta noi viviamo il cammino sinodale fin da subito, perché ciascuna è chiamata a essere parte di una comunità e, dunque, ogni decisione viene accolta non perché siamo d’accordo in cinque, in sei o in dieci, ma perché c’è una fase di ascolto che nasce dalla parola di Dio. Infatti l’Arcivescovo richiama proprio la conversione spirituale, per poi fare spazio alla parola di Dio e all’azione dello Spirito: solo così è possibile prendere decisioni. Non siamo e non vogliamo essere un Parlamento che “va a votare” secondo i numeri, ma una comunità che stabilisce scelte sotto l’azione dello Spirito, come peraltro ha sottolineato papa Francesco in riferimento alla XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Ha portato questa sua formazione anche all’interno dell’Assemblea sinodale decanale?
Credo che anche nell’esperienza fatta rispetto all’Asd sia stato fondamentale avere adottato e imparato il metodo della conversazione spirituale, che nasce appunto da un ascolto attento della Parola in cui tutto confluisce. Credo che questo sia un cammino proposto a tutta la Chiesa, a ogni livello, da realizzare anche come uno stile personale, come in una famiglia.
Infatti monsignor Delpini scrive che «una scuola di pratica sinodale può essere la famiglia» e che «tutto l’ambito della pastorale sociale e caritativo è coinvolto nella conversione a uno stile sinodale»…
È certamente così, nella misura in cui ci si accoglie, si vive insieme e si impara a fare spazio all’altro e, quindi, ad ascoltarlo in un modo profondo. Così si può anche arrivare a un cammino di fede. Io credo che, appunto, in famiglia si concretizzi una sorta di primo tirocinio di sinodalità, altrimenti non è possibile condurre quella che definiamo una vita di famiglia se non c’è la dimensione dell’ascolto profondo, sapendo che ciascuno ha una parte di bene che può mettere a beneficio dell’altro. Nella Comunità pastorale San Paolo di Giussano abbiamo tre scuole parrocchiali dell’infanzia: occupandomi di pastorale scolastica, e anche di pastorale familiare, faccio esperienza di tutto questo quotidianamente.
Qual è la tua reazione?






