Mi pare ieri! di Ernesto Bassignano – Memoria, musica e resistenza culturale

Mi pare ieri! di Ernesto Bassignano (Edizioni Minerva): un viaggio tra musica, memoria e cultura italiana attraverso 39 ritratti di personaggi indimenticabili.

Novembre 12, 2025 - 19:32
Novembre 12, 2025 - 19:35
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Mi pare ieri! di Ernesto Bassignano – Memoria, musica e resistenza culturale
Copertina orizzontale del libro Mi pare ieri! di Ernesto Bassignano, Edizioni Minerva – Ricordi e ritratti di anni irripetibili.
Mi pare ieri! di Ernesto Bassignano – Memoria, musica e resistenza culturale

Mi pare ieri! di Ernesto Bassignano: un viaggio tra memoria, musica e resistenza culturale

Un libro che suona come una confessione, un diario di bordo lungo cinquant’anni: la voce di un testimone ostinato che non smette di cercare un senso nella disillusione.
Ci sono libri che non si leggono soltanto: si attraversano. Mi pare ieri di Ernesto Bassignano è uno di questi, una sorta di romanzo corale fatto di incontri, amori, amicizie e battaglie, in cui l’autore non racconta solo se stesso, ma un’intera generazione.

Il suo è un viaggio dentro l’Italia che ha creduto nella cultura come atto politico e nella musica come linguaggio dell’anima. Pubblicato da Edizioni Minerva e presentato a Bologna il 5 giugno 2025, il volume raccoglie trentanove ritratti di uomini e donne che hanno lasciato un segno nella vita di Bax, come tutti lo chiamano: Lucio Dalla, Roberto Benigni, Umberto Bindi, Gian Maria Volonté, Mariangela Melato, Flavio Bucci, Rosa Balistreri, Enrico Vaime, Mario Monicelli, Claudio Baglioni e molti altri.

Ma in realtà, il protagonista non è nessuno di loro. È il tempo. Quel tempo che scorre e ritorna come un vecchio disco in vinile graffiato, in cui la melodia si interrompe ma la voce insiste.

Bassignano apre il libro con una dichiarazione che sa di testamento:

«Confesso che ho vissuto, senza mai fermarmi per rifiatare, con la lingua rovente e la voglia implacabile di dire, sapere, fare.»

È il ritratto di un uomo che ha consumato la vita come un palco, passando dalla pittura alla canzone, dal giornalismo alla radio, dalla militanza politica alla satira sociale.
In lui convivono l’idealismo del ’68 e la malinconia dell’oggi, l’ironia di un buffone e la serietà di chi ha creduto davvero che la cultura potesse cambiare le cose.

«Io sono un classico distonico-neurovegetativo-postsessantottesco», dice.
In quella definizione paradossale c’è tutto il suo mondo: passione e stanchezza, lucidità e follia.

In Mi pare ieri la memoria non è mai consolazione, ma una forma di resistenza.
Lo si capisce nelle pagine dedicate a Lucio Dalla:

«Con le scarpe ma completamente nudo, si tuffò a bomba nella piscina di un dirigente del partito, schizzandoci tutti. Poi si avvolse in un telo cantando: “Itaca, Itaca, Itaca…”».

È un’immagine di libertà pura, un frammento di un’Italia che sapeva ridere anche dentro le contraddizioni politiche.

Di tutt’altro tono è il ricordo di Umberto Bindi:

«Mi ha tenuto la mano chiedendo “Scusa… scusa… scusa” per la sua vita. Io mi nascondevo per piangere e lui sussurrava: “Sono fatto così, Ernesto… Era destino.”»

Qui la scrittura si ferma, si commuove, si fa carne. C’è dentro tutto il rispetto e la tenerezza di chi ha amato un uomo fragile, e in quella fragilità ha riconosciuto la grandezza dell’arte.

Poi arriva Benigni, l’esplosione comica, l’episodio del Folkstudio:

«Quella sera finsi di divertirmi molto, ma in realtà m’incazzai mica poco.»

È un lampo di verità che umanizza tutto: nessuna leggenda, solo uomini, ego, risate, ferite.

Bassignano non giudica: osserva.
E mentre osserva, disegna la mappa di un’Italia perduta, quella in cui la musica e la politica erano un modo di stare al mondo, non un mestiere.

«Assistiamo impotenti allo sgretolamento progressivo di tradizioni meravigliose fra teatro, cinema e musica… oggi ridotti a paccottiglia televisiva», scrive, e sembra quasi un grido di rabbia più che una constatazione.

Ma subito dopo aggiunge:

«La voglia di vedere un mondo nuovo, fatto di uomini per gli uomini e non sugli uomini? Beh… non è passata.»

Ecco la sua grandezza: la capacità di trasformare la delusione in speranza, la nostalgia in invito a non smettere di sognare.

«Scarpe rotte eppur bisogna andare», cita in chiusura, «se non a conquistare una rossa primavera, almeno una parvenza di vita pacifica meno incattivita.»

Mi pare ieri non è un addio, ma una promessa.
E in quelle pagine che profumano di fumo, vino, palco e carta stampata, c’è ancora la voce di un uomo che crede nella parola come atto d’amore.

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