Trump è peggio di un orologio rotto, fa danni anche le due volte che fa cose buone

Novembre 19, 2025 - 05:00
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«Cose che succedono», ha detto Donald Trump provando a silenziare le domande dei giornalisti americani al principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman detto MBS, l’uomo che secondo l’intelligence americana, cioè quella guidata da Trump, ha organizzato l’uccisione e lo smembramento del corpo del giornalista saudita-americano del Washington Post Jamal Khashoggi dentro il consolato saudita di Istanbul.

«A molte persone non piaceva questo gentiluomo di cui state parlando, piaccia o no, queste sono cose che capitano», ha detto l’osceno Trump in favore di telecamere. Bin Salman, secondo il leader Maga, «non ne sa niente, quindi basta imbarazzare il nostro ospite con domande come queste».

Ovviamente Bin Salman sa molto dell’omicidio Khashoggi, avendolo ordinato e avendo poi organizzato un processo farsa per scaricare le sue responsabilità su un paio di suoi sgherri sacrificabili; e del resto nonostante Trump avesse detto che MBS non ne sapeva niente, Bin Salman ne ha parlato a lungo con i giornalisti, ammettendo che è stato «un grande errore».

Anche in un’altra occasione, rispondendo a una domanda questa volta di Trump, Bin Salman ha deluso il suo ospite. Quando Trump, come al solito mitomane in chief, gli ha chiesto se lui fosse il presidente che ha fatto di più di tutti per i rapporti tra americani e sauditi, Bin Salman gli ha risposto che, beh, Franklin Roosevelt, un democratico, è quello che ha avviato i rapporti tra i due paesi 80 anni fa, e anche Ronald Reagan non è stato male.

Trump c’è rimasto male e ha cambiato discorso, però ha incassato la promessa di investimenti sauditi in America fino a mille miliardi, una cifra iperbolica e impossibile, ben più alta dei seicento miliardi che aveva annunciato Trump, tra lo scetticismo degli analisti. Eppure Bin Salman ha rilanciato: perché offrire solo 600 miliardi, quando a parole  se ne possono offrire mille miliardi. Facciamo cifra tonda, come quando dal salumiere si dice «faccia due etti». Alla promessa di MBS comunque i più attenti hanno intravisto il del dollaro dentro le pupille di Trump.

A proposito di soldi, i giornalisti hanno chiesto a Trump se fosse normale che i suoi familiari nel frattempo stessero incassando cash a mai finire dai sauditi, prima suo genero Jared Kushner (due miliardi di dollari di investimenti sul suo fondo), e ora anche i figli con le criptovalute. Tra l’altro questo è soltanto quello che sappiamo, le cose pubbliche, poi ci sarà anche altro che non conosciamo, o altro ancora che non è ancora noto. Niente di strano, ha risposto Trump, tutto normale, anzi lui non crede che finora i suoi congiunti abbiano fatto chissà quali affari con i sauditi, ma confida che le cose andranno presto alla grande. C’è proprio da fidarsi di quello che dice un gentiluomo che la settimana scorsa ha dimezzato i dazi alla Svizzera solo perché una delegazione svizzera gli ha regalato un orologio d’oro e un lingotto d’oro con il suo nome pacchianamente stampigliato sui lati.

Il succo della visita di Bin Salman a Washington però è il Medioriente. Trump vorrebbe che Bin Salman firmasse gli Accordi di Abramo. Bin Salman lo farà quando nascerà lo Stato palestinese, o quando sarà ben instradato, da qui la risoluzione Onu passata anche e soprattutto grazie al sostegno americano su un’occupazione internazionale della striscia di Gaza, sulla sfiducia nell’Autorità nazionale palestinese e sul lungo percorso da intraprendere verso lo Stato di Palestina. Siamo ancora molto lontani da quel risultato, e quando Trump ha detto che i sauditi metteranno tanti tanti soldi per la ricostruzione di Gaza, Bin Salman non ha confermato.

Eppure Bin Salman un risultato mica male l’ha già ottenuto: Trump, infatti, ha deciso di ignorare il veto del Pentagono e venderà i caccia F35 all’Arabia Saudita, un paese che grazie allo storico veto posto dagli americani quando erano dotati di un minino di cervello non ha mai avuto un’aviazione militare degna di questo nome, altrimenti avrebbe scatenato guerre di ogni tipo, e certamente non avrebbe risparmiato Israele.

Il Pentagono è contrario alla vendita dei caccia a Riad perché negli ultimi tempi i sauditi hanno stretto rapporti di mutua sicurezza con i cinesi, e quindi teme che in virtù di questi accordi i cinesi possano mettere le mani sulla tecnologia militare americana. Timore non campato in aria.

Ma c’è di più: oggi Bin Salman è certamente un riformatore del suo paese, e anche il motore degli Accordi di Abramo e ora della tregua a Gaza, ma è pur sempre il tiranno assoluto di un regime fondato su una versione estrema e radicale dell’Islam che, per carità, ora consente alle donne di guidare le automobili e non tollera più i matrimoni con le bambine, ma resta un paese fondato sulla sharia e sulla schiavitù, dove la donna ha molti meno diritti di un uomo, e il dissenso è punito con la morte.

Bin Salman ha (semi) aperto il regno saudita al mondo, ed è un gran progressista rispetto ai suoi predecessori e ai mullah che influenzano la popolazione locale, ma a parte che formalmente non è nemmeno lui il Re (il Re in carica è suo padre Salman), l’Arabia Saudita rimane un posto a un solo battito di cuore dal tornare a finanziare il terrorismo islamista, a diffondere l’odio estremista, e a coccolare i nuovi Bin Laden.

Con gli F35 a disposizione, ammesso che siano in grado di usarli, i sauditi diventano anche un potenziale nemico in più di Israele, questa volta armato, proprio ora che appare più vicino che mai.

Purtroppo non è tutto, sempre ieri Trump ha detto alla Casa Bianca che vede possibile un accordo per trasferire la tecnologia nucleare americana all’Arabia Saudita.

Caccia F35 più tecnologia nucleare, un bottino niente male per Bin Salman, e un grande rischio per Israele. A dimostrazione che di Trump non ci si può mai fidare, nemmeno quando per una strana congiunzione astrale, e per tanti miliardi dollari cash, fa qualcosa che sembra accettabile, addirittura condivisibile, come gli Accordi di Abramo, la tregua a Gaza e la strada verso un’autonomia palestinese.

Ma Trump è Trump, gli interessa solo sé stesso, il valore del suo brand, l’aura da perenne vincitore, e gli incassi della sua famiglia. Ora sembra che abbia messo a posto il Medioriente, ma al momento ha solo messo a posto i suoi conti correnti, e ha liberato gli ostaggi israeliani. Alzi la mano, però, chi si sente sereno con i caccia e il nucleare americani pronti a essere consegnati all’Arabia Saudita.

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