Lo Stato Maggiore impiega una docente russa che guida un’associazione putiniana

Lunedì, durante il Consiglio Supremo di Difesa al Quirinale, la minaccia ibrida russa è stata finalmente affrontata come un tema centrale della sicurezza nazionale. Non soltanto una questione militare tradizionale o un duello tra servizi d’intelligence: la Federazione Russa agisce nelle pieghe delle società europee, lavora sui sistemi cognitivi, costruisce legami personali e istituzionali, sfrutta ogni interstizio di ingenuità occidentale, e questa minaccia non sta bussando alla porta perché da anni è già dentro casa.
Sembra essere il caso di Larisa Yurevna Gavrilova. Da oltre venticinque anni è stipendiata dal Ministero della Difesa per insegnare russo alla Scuola Lingue Estere dell’Esercito e affiancare le Forze Armate italiane in attività delicate legate ai trattati sul controllo degli armamenti. Un ruolo che le consente accesso al personale militare e ai funzionari impegnati su dossier sensibili, in particolare quelli che riguardano proprio la Federazione Russa.
Parallelamente, Gavrilova ha costruito un profilo pubblico come protagonista della diplomazia culturale del Cremlino in Italia: è presidente dell’associazione “Russia in Umbria”, inaugurata con rappresentanti dell’Ambasciata e del Centro Russo di Scienza e Cultura. Negli anni, questa realtà territoriale ha promosso iniziative allineate in modo sistematico alla linea di Mosca: celebrazioni del 9 maggio come rito patriottico russo, partecipazione a eventi con figure della propaganda del Cremlino, diffusione della narrazione che giustifica l’aggressione all’Ucraina e rivendica la Crimea come “territorio russo”.
Non si tratta di un’attività amatoriale: Gavrilova ha ricevuto una lettera personale firmata da Vladimir Putin, accompagnata da una medaglia consegnata da Dariya Pushkova, direttrice del Centro Russo di Scienza e Cultura di Roma, un ente dipendente dal Ministero degli Esteri russo. Una forma di investitura che sancisce pubblicamente il suo ruolo all’interno della strategia di influenza russa.
Il suo lavoro in Italia incrocia direttamente alcuni degli snodi più esposti della sicurezza nazionale. Tra i suoi ex allievi c’è infatti Roberto Vannacci, oggi vicesegretario della Lega e per anni figura di punta delle Forze Armate: dalla Folgore all’incarico di addetto militare dell’Italia a Mosca fino alle settimane immediatamente precedenti l’invasione ucraina. La coincidenza tra chi forma e chi rappresenta l’Italia nei rapporti con la Russia non è un dettaglio trascurabile: segnala una filiera permeabile, in un settore che dovrebbe essere blindato.
Attorno a questa dinamica, si è sviluppata in Italia una rete estesa di associazioni filorusse, spesso in contatto diretto con rappresentanti diplomatici di Mosca e con amministratori locali. Soggetti che presidiano uno spazio strategico: il legame tra propaganda e sistema istituzionale italiano. L’associazione guidata da Gavrilova rappresenta uno dei nodi più attivi e riconoscibili di questa mappa.
Le domande che questa storia porta con sé non possono essere più eluse: chi, all’interno del Ministero della Difesa, ha autorizzato che una persona con relazioni così manifeste con la diplomazia di Mosca potesse svolgere parallelamente un’attività pubblica tanto esposta e riconosciuta dal Cremlino? Esiste una valutazione effettiva dei rischi legati ai suoi contatti frequenti con l’ambasciata russa? Oppure, nella struttura che per definizione dovrebbe essere la più vigile del Paese, si è semplicemente preferito non vedere ciò che era evidente?
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