Il surreale complotto contro Meloni, l’isterico attacco a Mattarella, e il solito dietrofront

Ma non è che i Fratelli d’Italia hanno paura? E che per questo già gridano al complottone, nientemeno ordito dal Presidente della Repubblica, per fargli perdere le elezioni? Di certo, tra retroscena giornalistici privi di riscontro, esternazioni del capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, smentite del duro di Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari, si ode un tintinnio di sciabole da fine legislatura come da anni non capitava. Era dai tempi dei contrasti furenti tra Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano: come se il melonismo cominciasse a ballare sull’orlo di una crisi di nervi.
La fibrillazione dopo il retroscena della Verità, irrorato da molta panna montata, è stata forte. Stiamo ai fatti. Il giornale di Maurizio Belpietro spara frasi captate di uno dei principali consiglieri di Sergio Mattarella, Francesco Saverio Garofani, che è anche segretario del Consiglio supremo di Difesa, proprio l’organo costituzionale che si è riunito lunedì riaffermando con grande forza la linea pro-Ucraina e anti-Putin. Su questo punto torneremo.
Garofani, secondo la Verità, non si sa dove, quando, parlando con chi, avrebbe auspicato la fine del governo e elucubrato piani per fare perdere Giorgia Meloni alle prossime politiche. Tutta roba non verificabile. Ma a quel quotidiano è bastato e avanzato per mettere nel mirino Mattarella, emulo, per Belpietro, di Oscar Luigi Scalfaro e Napolitano nel tramare contro la destra.
Poi Bignami si è scatenato. Nel primo pomeriggio di ieri Meloni ha intimato ai suoi di spegnere l’incendio, e Fazzolari, a nome contemporaneamente del partito e del governo, come ai bei tempi di piazza Venezia, ha confermato totale sintonia con il Quirinale: l’incidente è chiuso, ma lascia strascichi pesanti, destinati a incidere sulla dialettica – chiamiamola così – tra il Quirinale e Palazzo Chigi. È il vero filo da seguire per leggere lo svolgimento della legislatura.
Ma dunque non si può non chiedersi: Bignami ha parlato per sé o perché ha recepito un certo malumore della premier nei confronti del Colle? La sua è stata semplicemente una guasconata di un uomo che svolge un ruolo più grande di lui o è il riflesso di qualcos’altro, magari di un brusio sotterraneo tra coloro che a destra vi vedono quasi un atto di commissariamento di Meloni sulla politica estera? Domande che non pretendono risposte immediate, ma che circolano e insistono e scavano.
È probabile che l’incendio verrà spento scaricando la responsabilità su un capogruppo troppo impetuoso. Ma, se così fosse, verrebbe naturale domandarsi: perché non rimuoverlo, allora?
Torniamo alla riunione del Consiglio supremo di Difesa dove è stata riaffermata la linea pro-Ucraina strenuamente voluta dal Presidente della Repubblica, dunque rifilando una violenta botta in testa al capo dei putiniani d’Italia Matteo Salvini. Ora, siamo sicuri che Meloni, che pure è sulla stessa posizione di Mattarella, sia felice dell’umiliazione del leader leghista?
Insomma, detta fuori dai denti, la presidente del Consiglio non amerebbe che Mattarella scoprisse i contrasti nel governo e addirittura – la cosa sarebbe emersa nella riunione al Quirinale – in questa fase Meloni non sarebbe esattamente sulla posizione vicina a Mattarella, al contrario di Guido Crosetto. Insomma, un cortocircuito nell’esecutivo e dentro Fratelli d’Italia.
E infine siamo ugualmente sicuri che la presidente del Consiglio sia contenta del protagonismo di Mattarella di cui si diceva, un protagonismo che negli incubi della premier potrebbe trascinare dalla politica estera a quella interna? Sono domande che girano. Interrogativi inquietanti. Probabile che tutto finirà scaricando le colpe su un improvvido capogruppo, ma certo questa fibrillazione gira tutta intorno a Salvini, l’uomo che rischia di ingrippare la politica estera dell’Italia. È un punto che il Quirinale, oltre che l’Europa, ha ben presente. Ed è in questa cornice fragile che da oggi ogni passaggio diventa delicatissimo, a cominciare dal voto sul decreto che dovrà rifinanziare gli aiuti all’Ucraina per finire al referendum sulla separazione delle carriere. Nella maggioranza si affilano le spade. E si allacciano le cinture di sicurezza.
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