Piante e ondate di calore: una soluzione naturale al troppo sole forse c’è


Grazie alla scoperta di una proteina naturale prodotta da alcune piante, la Lhcb8, i ricercatori dell’Università agli Studi di Verona si sentono sulla strada giusta per attutire il troppo calore che grava sull’agricoltura in tempo di crisi climatica
Mai così diversi, eppure profondamente simili: stiamo parlando dell’abete rosso delle fredde foreste nordiche e della welwitschia del torrido deserto del Namib: entrambe queste piante producono in grandi quantità una proteina chiamata Lhcb8 che sta incuriosendo i ricercatori dell’Università di Verona.
La proteina Lhcb8, infatti, pare essere fotosintetica, ovvero in grado di aiutare le piante a gestire meglio l’esposizione alla luce solare intensa.
La questione si fa molto interessante proprio in un periodo come questo: la crisi climatica grava infatti anche sulle piante che, spesso, soffrono di troppa esposizione al sole. Ed è ormai chiaro che troppa luce faccia male, anche alle piante.
Ma la natura ha i suoi trucchi per difendersi e uno di questi potrebbe diventare un alleato prezioso per rendere l’agricoltura più sostenibile.
Il progetto nasce nel laboratorio di Fotosintesi e bioenergie del dipartimento di Biotecnologie dell’ateneo veronese il cui team è composto da Roberto Bassi e Luca Dall’Osto, docenti di Fisiologia vegetale, oltre all’assegnista di ricerca Roberto Caferri e il dottorando Antonello Amelii, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze di Pechino.
La scoperta, pubblicata su Nature Communications, potrebbe aprire nuove strade per produrre coltivazioni più resistenti ai cambiamenti climatici.
“Quando le radiazioni solare sono molto intense – spiega Bassi – una parte dell’energia finisce inevitabilmente per generare molecole tossiche per l’organismo vegetale, causandone il deperimento e limitandone la produttività. Per ovviare a questa limitazione, le piante hanno sviluppato una serie di strategie di difesa. Quella che coinvolge la proteina Lhcb8 ne è un esempio“.
Ma non tutte le piante producono questa proteina. Molte si limitano alla Lhcb4. Solo le estreme arrivano alla Lhcb8 il cui sistema di sopravvivenza permette di catturare meno luce, ma in modo più efficiente.
In questo modo sia l’abete rosso che la welwitschia subiscono meno danni quando esposte alla piena luce e lasciano passare più fotoni alle foglie sottostanti. Ciò genera un effetto vantaggioso per tutta la pianta: le foglie superiori restano sane più a lungo, mentre quelle inferiori ricevono più luce del solito e sono quindi più produttive.
Obiettivo dei ricercatori a questo punto è valutare se sia “possibile trasferire le conoscenze acquisite ai processi di coltivazione di specie di interesse agronomico, che crescono in climi come il nostro, a elevata esposizione solare” commenta Luca Dall’Osto.
Crediti immagine: Depositphotos
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