Posticipato al 2026 lo stop ai diesel Euro 5 nel bacino padano: tregua o rinvio strutturale?

Lug 10, 2025 - 15:30
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Posticipato al 2026 lo stop ai diesel Euro 5 nel bacino padano: tregua o rinvio strutturale?
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Approvato l’emendamento che rinvia di un anno il blocco previsto per 3,7 milioni di veicoli. Le Regioni avranno più margine d’azione, i cittadini con auto a gasolio non più a norma saranno contenti ma la criticità ambientale del Nord Italia rimane, con le sue conseguenze anche sulla salute

Il blocco alla circolazione dei veicoli diesel Euro 5, previsto per il 1° ottobre 2025 nelle regioni del bacino padano, slitta ufficialmente al 1° ottobre 2026.

La modifica, inserita in un emendamento al decreto Infrastrutture approvato dalla Camera, riguarda Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, territori nei quali l’inquinamento atmosferico permane tra i più elevati in Europa, in costante contrasto con i parametri comunitari sulla qualità dell’aria.

Duro il commento di T&E, Clean Cities Campaign, Cittadini per l’Aria e Comitato Torino Respira, per i quali “non sono bastate tre condanne a carico dell’Italia, da parte della Corte di Giustizia europea, per il sistematico superamento delle concentrazioni di inquinanti atmosferici, quali il biossido di azoto, che viene in gran parte proprio dai mezzi diesel.

Ma, soprattutto, non bastano, al ministro dei Trasporti, le oltre 50mila morti premature per inquinamento atmosferico registrate annualmente nel nostro Paese, con la Pianura Padana maglia nera, in Europa, di una crisi sanitaria enorme. Il diritto di guidare mezzi vetusti e inquinanti vale più di quello alla salute?“.

Il provvedimento originario, approvato dal Governo Meloni nel 2023, era stato concepito come risposta alle infrazioni comunitarie aperte nei confronti dell’Italia, in particolare per la persistente violazione dei limiti di biossido di azoto (NO2).

Prevedeva il divieto di circolazione dei diesel Euro 5 nei comuni con più di 30.000 abitanti. Con il nuovo testo, invece, il divieto sarà limitato alle sole città con oltre 100.000 abitanti, estendendo dunque il margine di manovra delle amministrazioni comunali e regionali e offrendo agli utenti della strada una finestra temporale aggiuntiva per adeguarsi.

Una decisione politica, con implicazioni ambientali

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha definito la proroga “una scelta di buonsenso“, sostenendo la necessità di “coniugare gli obiettivi ambientali con le difficoltà economiche di famiglie e imprese“.

Per le associazioni, invece, si tratta “dell’ennesima misura dilatoria populista” e non si dice che “i costi stimati dell’inquinamento atmosferico, in Italia, tra il 2024 e il 2030, sono il 6% del Pil nazionale. Anche questi impattano sull’economia dei cittadini“.

Secondo i dati più recenti forniti dall’Aci, in Italia circolano ancora circa 3,7 milioni di veicoli diesel Euro 5, con una concentrazione particolarmente elevata nelle regioni settentrionali: solo in Lombardia si contano 484.000 unità.

Il rinvio offre dunque un anno in più a cittadini e imprese per valutare la sostituzione del proprio veicolo o l’adozione di strumenti alternativi, come Move-In (MOnitoraggio VEicoli INquinanti), un sistema basato su Gps che consente la circolazione dei mezzi più inquinanti entro un tetto massimo di chilometri annui, differenziato per categoria emissiva e per area geografica.

Maggiore flessibilità per le Regioni, ma l’obiettivo Ue resta vincolante

La proroga consente alle Regioni di modulare autonomamente le politiche locali sulla qualità dell’aria, purché nel rispetto dei vincoli imposti dalla normativa europea.

È prevedibile che alcune amministrazioni puntino su misure compensative: incentivi alla mobilità elettrica, potenziamento del trasporto pubblico, promozione della mobilità attiva, o ulteriore diffusione di tecnologie di monitoraggio delle emissioni.

Resta tuttavia aperto il dibattito sull’efficacia di un intervento dilazionato nel tempo, a fronte della gravità dell’emergenza ambientale. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, il bacino padano rappresenta una delle aree più inquinate del continente, con livelli di particolato fine (PM10) e biossido di azoto che superano regolarmente i limiti previsti dalla direttiva 2008/50/CE.

Un quadro confermato anche dalle ripetute procedure d’infrazione a carico dell’Italia, tuttora in fase attiva presso la Corte di Giustizia dell’UE.

Il rinvio come tregua, non come soluzione

Sul piano politico, la decisione rappresenta una forma di moratoria tecnica, più che una strategia strutturale. La proroga non annulla il problema, ma ne dilata l’impatto sociale e amministrativo.

Il rischio, evidenziato da diverse associazioni ambientaliste e da enti del settore sanitario, è che la misura venga interpretata come un arretramento rispetto agli impegni assunti sul piano della decarbonizzazione urbana e del risanamento dell’aria.

D’altro canto, la complessità del parco circolante italiano, la storicizzazione del diesel nel settore privato e commerciale, e l’insufficienza di una rete capillare di trasporto pubblico rendono difficile l’adozione di misure drastiche senza un’efficace fase di transizione.

La proroga al 2026 andrà quindi letta come una finestra utile per accelerare la predisposizione di alternative concrete – tecnologiche, infrastrutturali e normative – anziché come un semplice congelamento dell’obbligo.

In questo contesto, il dialogo fra Governo, Regioni e Unione europea assume un rilievo strategico: i prossimi mesi saranno decisivi per chiarire se l’Italia intende trasformare il rinvio in un’occasione di pianificazione efficace, o se si limiterà ad allungare i tempi, lasciando inalterate le cause strutturali della crisi ambientale nelle città del Nord.

Senza un investimento convinto in politiche urbane integrate – che coniughino mobilità sostenibile, rigenerazione del parco veicolare, incentivi mirati e controllo puntuale delle emissioni – ogni proroga rischia di essere solo una pausa apparente, utile a rimandare decisioni ormai non più rinviabili.

Crediti immagine: Depositphotos

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