Strage Pioltello, giudici: “Ad Rfi non ha colpe, corretta politica di gestione della sicurezza”

La strage ferroviaria di Pioltello è “riconducibile esclusivamente alla rottura” di un giunto usurato che era stata “tempestivamente rilevata dagli operatori della manutenzione” e non sono state dimostrate “carenze” nella “politica di gestione della sicurezza” di Rete Ferroviaria Italiana.
Così il Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui il 25 febbraio 2025 ha assolto tutti gli ex manager di RFI – fra cui l’ex ad Maurizio Gentile, l’ex direttore produzione Umberto Lebruto (oggi amministratore delegato di FS Sistemi Urbani) e l’ex numero uno della Direzione territoriale provinciale (DTP), Vincenzo Macello – per il disastro ferroviario del 25 gennaio 2018, alle 6.56 del mattino, quando il regionale di Trenord 10452 Cremona-Milano Porta Garibaldi è deragliato poco dopo la stazione di Pioltello Limito, provocando la morte di Ida Milanesi, Giuseppina Pirri e Pierangela Tadini, il ferimento di oltre 100 persone e danni superiori ai 6,2 milioni di euro.
L’unico condannato a 5 anni e 3 mesi di reclusione per disastro ferroviario, omicidio plurimo e lesioni colpose è stato il tecnico manutentore Marco Albanesi, 60 anni, responsabile dell’unità di Brescia ‘Lav 1’. “L’istruttoria – si legge nelle 338 pagine di motivazioni dei giudici della quinta sezione penale (collegio Canevini-Messina-Papagno) – non ha consentito di accertare, al di là di ogni dubbio ragionevole” le colpe imputate a Gentile dai pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti che avevano chiesto condanne fra i 7 e i 10 anni e 8 mesi di reclusione.
Non ci sarebbe stato alcun “nesso” fra il “disastro ferroviario”, le “ipotizzate carenze nel sistema di gestione della sicurezza ferroviaria” e il suo “ruolo” o le sue “prerogative” come amministratore delegato. Per i giudici, si legge con riferimento ai vari capi d’imputazione contestati ai dirigenti della società di Ferrovie dello Stato, la “manutenzione della rete” dipendeva da una “autonoma programmazione dell’attività di lavoro” adottata a livello provinciale. All’ad spettava solo “l’approvazione di un documento”, come avvenuto, in cui erano “deliberati i ruoli dei singoli operatori all’interno di RFI, le rispettive responsabilità e le linee guida – ricavate dalle norme vigenti – per l’attuazione della sicurezza sul lavoro”. La sentenza ha condannato il tecnico di Stradella, difeso dall’avvocato Giuseppe Alamia, anche all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e al risarcimento in solido con Rete Ferroviaria Italiana (responsabile civile ma assolta invece dagli illeciti amministrativi) di oltre un milione di euro per 45 parti civili (provvisionale di 25mila euro ciascuna) e 50mila euro alla sigla sindacale della Filt-Cgil.
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