Anche in Francia il vino è in crisi

Il panorama che emerge dagli ultimi articoli dei più importanti giornali francesi è quasi più inquietante di quanto scriviamo qui da noi, ma sentirlo raccontare dai cugini che per centinaia di anni ci hanno insegnato il mondo del vino fa decisamente più effetto, e forse ci dà qualche avvisaglia su come dovremmo reagire anche noi alle nuove tendenze del settore. Intanto, lavorando sui giovani: come scrive Loïc de Roquefeuil, proprietario di una storica tenuta nel Bordeaux, metà dei viticoltori francesi raggiungerà l’età pensionabile entro dieci anni, e nessuno tra i giovani sembra intenzionato a subentrare. Il suo racconto è emblematico: nonostante una passione che attraversa nove generazioni, i figli hanno deciso che il mestiere è «troppo complicato e non sufficientemente redditizio» per essere continuato. Questo sentimento ricorre con forza in molte regioni, in un settore incapace di trasmettere entusiasmo.
La bottiglia mezza vuota
Secondo Le Monde, il consumo annuale in Francia è precipitato da circa 46 milioni di ettolitri negli anni Settanta a 24 milioni nel 2023, quasi dimezzato. Un calo che accelera dopo il 2010: una media del ‑1,8 per cento annuo, e fino al ‑3 per cento nei supermercati, dove i rossi soffrono di più. Le vendite di vino rosso sono scese da 5,1 a 3,5 milioni di ettolitri tra il 2017 e il 2023; i rosati sono calati leggermente, mentre i bianchi si sono mantenuti stabili intorno a 1,8 milioni.
Le cause? Un cambiamento profondo negli stili di vita: meno pranzi conviviali in famiglia, più pasti consumati in fretta o nei fast-food; nella quotidianità degli aperitivi si preferiscono brew e cocktail come spritz o mojito, veicolati da fortissimi investimenti di marketing. Tutto questo scivola via dal vino, che non è più parte integrante dei momenti sociali.
La sovrapproduzione e il piano d’urto
Il risultato è un settore con troppo vino e pochi acquirenti. Si parla di un surplus strutturale di 4‑5 milioni di ettolitri, con particolare concentrazione nelle regioni rosse come Bordeaux, Languedoc e Cote du Rhône. Per contenerlo, il governo ha lanciato piani drastici: a Bordeaux sono stati eliminati circa 9.500 ettari di vigna, con sussidi fino a seimila euro per ettaro. Il programma potrebbe estendersi fino a 100.000 ettari complessivi. In parallelo, parte del vino in eccesso viene distillato in bioetanolo o prodotti industriali, come detergenti o disinfettanti, con fondi europei e nazionali per centinaia di milioni.
L’ideologia della qualità che limita
E poi c’è il paradosso delle denominazioni, di cui soffriamo molto anche noi in Italia. Il sistema Aoc (Appellation d’origine contrôlée), nato negli anni Trenta per proteggere l’identità delle aree viticole, è diventato oggi una gabbia normativa. Le regole rigidissime impediscono cambiamenti di vitigno, tecniche di vinificazione o marketing: innovare significa spesso rinunciare alla denominazione e al mercato tradizionale. Così chi vuole produrre bianchi leggeri, vini biologici o a bassa gradazione si ritrova spesso escluso dal circuito consolidato. Ma se le norme sono state introdotte in una certa situazione economica, sociale, di clima, di tenuta del mercato, non devono diventare delle forzature quando il contesto cambia, ma cambiare con lui. Spesso, però, quello che succede nel mondo è più veloce e imprevedibile delle norme e del legislatore.
Tra resistenza e innovazione
Il settore non è omogeneo. Da una parte ci sono i puristi: chi crede ancora nella longevità del rosso bordolese, delle bottiglie tanniche e delle prassi agricole tradizionali. A lanciare segnali diversi sono solo le grandi maison o gli châteaux di fascia alta. Dall’altra ci sono i produttori che spingono per il cambiamento: vitigni a bacca chiara, riduzione alcolica, vini in lattina, biologico, ospitalità diretta, agriturismi e storytelling enogastronomico. Alcuni spingono su prodotti dealcolizzati di pregio per intercettare un pubblico straniero attento alla salute. Ma questa diversificazione basterà? Sarà funzionale? Ma soprattutto, sarà un cambiamento in grado di reggere sul lungo periodo e di offrire davvero nuove opportunità a lungo termine?
Un’indecisione di sistema
Lo scenario è quello di un settore in bilico: da un lato la tradizione, che fatica a rinnovarsi; dall’altro una generazione di innovatori, che resta ancora minoritaria. Il vino francese non è più un automatico spazio di consumo: è diventato un bene culturale da reinventare.
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