L’Europa democratica si guardi dagli adulatori di Trump

Tutti i giornali del mondo hanno visto nel vertice del cosiddetto sud globale ospitato ieri e l’altro ieri in Cina la completa disfatta della politica estera di Donald Trump. Lungi dallo sfilare Vladimir Putin dall’abbraccio con Xi Jinping, come sostenevano gli analisti più spregiudicati, blaterando di «reverse Nixon» e simili amenità, la Casa Bianca gli ha semmai regalato pure l’India.
Sulle vere ragioni per cui Trump voglia imporre alla più grande democrazia dell’Asia dazi pesantissimi rinvio all’editoriale di Christian Rocca (in breve, perché il primo ministro, Narendra Modi, non avrebbe voluto riconoscere il ruolo del presidente americano nel cessate il fuoco raggiunto con il Pakistan, e conseguentemente candidarlo al Nobel per la pace). Quanto al resto, non ho intenzione di infliggere al lettore anche il mio temino sull’ascesa della Cina e sul nuovo ordine mondiale multipolare. Vorrei segnalare invece un pericolo che mi pare decisamente più sottovalutato, quello rappresentato dagli adulatori di Trump.
I più pericolosi sono naturalmente gli adulatori americani, i membri del suo governo, i parlamentari del suo partito e più in generale tutti quelli che dovrebbero cercare di porre un freno alla sua insaziabile sete di potere e di vendetta. Gideon Rachman sul Financial Times ha ricordato gli esempi più luminosi, come la ministra del Lavoro che durante una riunione trasmessa in diretta televisiva scandisce: «Signor Presidente, la invito a vedere il suo bel volto su uno striscione davanti al Dipartimento del Lavoro». O Steve Witkoff, improbabile inviato in tutti i più complicati fronti di guerra, che lo definisce il miglior candidato di tutti i tempi al premio Nobel per la Pace. O il ministro del Tesoro Scott Bessent, che gli si rivolge dicendo: «Lei ha salvato questo paese».
Se vi stavate chiedendo cosa c’entrasse questo discorso con il summit degli autocrati da cui eravamo partiti, e soprattutto con la sua sfida all’ordine mondiale fondato sul modello della liberaldemocrazia occidentale, sono sicuro che a questo punto vi siete risposti da soli.
Una minaccia da non sottovalutare è però rappresentata anche dagli adulatori europei. Da tempo circola tra gli esperti, sui giornali e tra gli stessi politici una lettura decisamente autoindulgente su quanto i leader dell’Ue avrebbero imparato a trattare con Trump. Una lettura secondo cui quel fessacchiotto narcisista del presidente americano si lascerebbe manipolare dai nostri furbissimi rappresentanti, i quali ormai non cominciano più un pubblico intervento, specialmente se al suo cospetto, senza profondersi in elogi sperticati e in penosi ringraziamenti per i suoi sforzi diplomatici e le sue prove di leadership (sugli esiti dei quali rinvio alla prima riga di questo articolo).
I continui e inutilissimi vertici internazionali convocati alla Casa Bianca o altrove si risolvono puntualmente in gigantesche operazioni di propaganda, oltre che in occasioni per sempre nuove speculazioni per Trump e la sua cricca. Uno spettacolo tanto più preoccupante perché viene a coprire e legittimare la più inquietante torsione autoritaria mai vista in America. E poi il fesso sarebbe lui.
Tra gli adulatori europei vanno però distinti quelli che lo fanno perché pensano così di intortarsi il presidente americano da quelli che al contrario cercano in ogni modo di fargli sponda, pensando di intortarsi i partner dell’Unione (vedi in proposito il secondo articolo di questa newsletter). Non si tratta solo di difendere l’Europa dal comportamento predatorio di Trump e dei tecno-oligarchi insediati alla sua corte, ma anche di difendere le nostre democrazie da chi non si fa scrupolo di elogiare pubblicamente il protagonista di una così evidente torsione autoritaria. Possibilmente prima che dall’adulazione passi all’emulazione.
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