Contro il profitto fine a sé stesso: l’appello di Delpini al mondo del lavoro


«Oggi si incontrano due mondi e, forse, qualcuno si chiede cosa abbiamo da dirci, ma in questo tempo in cui l’odio e la prevaricazione prevalgono sulla ragione, appare molto più dirompente trovare similitudini piuttosto che sancire differenze. La Cgil ha voluto realizzare questo confronto irrituale, perché ci è sembrato che stessimo sviluppando un dialogo a distanza, ma condiviso sulla dignità del lavoro – senza lavoro non c’è cittadinanza vera – e per non lasciare indietro chi lavora in forme nuove, precarie, spesso invisibili». Luca Stanzione, segretario generale della Camera del Lavoro della Città metropolitana apre così il suo intervento nell’incontro con l’Arcivescovo dal titolo «Il lavoro via dello sviluppo umano integrale». Ad ascoltarli nel grande salone intitolato a Giuseppe Di Vittorio, c’è una vera e propria folla.
L’intervento dell’Arcivescovo
«Sono qui volentieri per dire alla Camera del Lavoro, al sindacato della Cgil, che vi stimo. Il sindacato è una qualcosa che merita la stima di tutti e un ruolo dentro la dinamica della società», dice subito monsignor Delpini che parte da una domanda. «Contro che cosa siamo chiamati a lottare, cosa fa male al nostro convivere?».
Immediata e senza mezzi termini la risposta. «Dobbiamo contrastare l’individualismo egocentrico che induce a mettersi al centro del mondo e a vivere i rapporti in modo funzionale al proprio interesse. Di fronte a questo, l’associazionismo si indebolisce e sopravvive solo nella misura in cui risulta vantaggioso per l’associato. Ciò induce a una frantumazione del convivere perché la difesa del proprio interesse tende a cancellare la cura del bene comune. Così si configura una separazione: alcuni hanno la possibilità di parlare e di farsi sentire, altri non hanno voce».
E, se dare questa voce è uno dei compiti da condividere secondo entrambi i relatori, dal vescovo Mario giunge l’affondo.
Contrastare un sistema che mira solo al profitto
«Occorre contrastare il sistema economico finalizzato unicamente al profitto. La tendenziale riduzione dell’economia alla finanza e la concentrazione delle risorse finanziarie in poche mani potenti dà vita a un meccanismo di accumulo e di saccheggio: per accumulare ricchezze sono derubati i più deboli, i lavoratori, i pensionati, i giovani. Si producono scarti, quando lo scopo del sistema è incrementare il profitto, e si mettono nelle mani di poche persone ricchezze immense. La geopolitica avveduta riconosce lo spietato sfruttamento delle risorse che sono sul pianeta per necessità di puro profitto. Si tratta non di una questione locale, ma di un sistema e questo dobbiamo sentirlo come inaccettabile», scandisce.
Poi, «la globalizzazione del paradigma tecnocratico», così come è delineato nella Laudato si’. «Invece che dai rapporti e scambi interpersonali, l’attività produttiva è governata dalla tecnocrazia e la valutazione è ridotta al calcolo degli utili. La tecnocrazia toglie l’anima alla vita sociale».
Di fronte a tutto questo, che fare? O meglio, per usare le parole dell’Arcivescovo stesso, «quali percorsi intraprendere per questo contrasto che ci trova solidali e convergenti?».
Dare un senso al lavoro
«Il lavoro dovrebbe essere quel luogo dove si incontrano la costruzione della persona e il bene della società, ma nella pratica ordinaria mi pare che questa comprensione si sia persa e manchi un senso.
Per questo, la capacità di interpretare il lavoro, difendendo i lavoratori nei loro diritti e nella possibilità di vita desiderabile, deve essere frutto non solo di un’azione, ma di una riflessione. Questo è un tema a cui non vi potete sottrarre», conclude il vescovo Mario rivolgendosi direttamente ai presenti e suggerendo alcuni percorsi, come «l’organizzazione solidale, perché il disinteresse delle persone per l’ambiente e la città in cui vivono segna il declino di una società e la solidarietà che ha tante manifestazioni commoventi, sembra quasi che sia invisibile. Bisogna percorrere, allora, una strada condivisa». E, infine, la formazione che non è solo addestramento, trasmissione di alcuni principi, ma camminare perché prenda forma la persona, rendendo desiderabili alcuni valori. Ma se la generazione adulta è sempre scontenta, perché i giovani dovrebbero desiderare di diventare adulti?». E così arriva l’applauso scrosciante e che stupisce anche il vescovo Mario.
La condivisione dei percorsi
Ad alcune parole dà voce il segretario generale. «Lei, Arcivescovo, ha usato la parola solidarietà che significa per noi difendere i più fragili e poveri; la parola giustizia che, per noi, significa giustizia sociale. E, poi, l’inquietudine, che non è la paura: da lei raccogliamo l’idea di inquietudine che ci induce a metterci in cammino per una società giusta.
«C’è un dato che ci accomuna, la prossimità. Siamo prossimi, legati dallo stesso abbraccio con le persone che incrociamo e questo ci rende credibili, perché facciamo delle nostre convinzioni, la nostra vita. Questo ci rende meno fragili di altri che ambiscono a rappresentare, ma rimangono senza delega. Un lavoro invisibile, irriso, crea i reietti delle classi dirigenti, singoli a cui si chiede solo di obbedire e non di immaginare. Così le persone si incattiviscono», spiega Stanzione che, in riferimento a Milano, aggiunge. «La città è cambiata, è attrattiva e vitale, ma questa vitalità ha un prezzo: ha allontanato tanta gente. L’umanità significa saper trovare se stessi negli altri. Più ci sentiamo impotenti e più siamo sfiduciati e si costruiscono comunità insicure e impoverite. Oggi servono nuove alleanze perché dalla città si levano delle grida. Milano è una città per pochi, ma la sua vera forza non e uno skyline, ma la sua capacità di integrare. Milano è grande quando sa di essere madre e non quando vuole essere potente, come diceva il suo predecessore», prosegue Stanzione.
«Occorre che le classi dirigenti ritrovino il coraggio della politica, di dirsi che non siamo vivendo bene e che le cose devono cambiare. Non esistono soluzioni pronte, per questo dobbiamo fare un cammino con le istituzioni, tutti insieme e nessuno può interpretare questa città da solo. Ed è per questo anche che oggi siamo qui, per ripartire con umiltà, per cambiare le cose, per ritrovare un senso del vivere e del lavoro che si è perso. Come diceva papa Francesco: “È più importante avviare processi che occupare spazi”».
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