La legge sul femminicidio e i nuovi dati ISTAT sulla violenza contro le donne
Nella seduta del 25 novembre la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge che introduce nel codice penale una nuova fattispecie di reato, il femminicidio, punito con l’ergastolo. Il provvedimento, già passato al Senato a luglio, entrerà in vigore dopo la firma del presidente della Repubblica e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il testo aggiunge l’articolo 577-bis al codice penale, stabilendo la pena dell’ergastolo per chi uccide una donna in un contesto riconducibile a odio o discriminazione di genere, o come forma di controllo, sopraffazione o ritorsione per un rifiuto di tipo affettivo. La normativa italiana prevedeva già aggravanti specifiche per molti omicidi riconducibili ai femminicidi, ma non un reato autonomo.
Il percorso legislativo era iniziato l’8 marzo, quando il governo aveva comunicato l’intenzione di introdurre una nuova figura di reato. Fin dall’annuncio, la proposta aveva diviso associazioni, giuristi, avvocati e movimenti femministi, riaprendo un dibattito ricorrente sulla funzione del diritto penale nella gestione della violenza di genere. Le critiche principali arrivano da chi ritiene superflua una nuova fattispecie. Secondo numerosi esperti, infatti, l’introduzione di un reato non garantisce una riduzione degli omicidi di donne e rischia di produrre effetti più simbolici che concreti. In questa prospettiva, il rischio è delegare al penale un fenomeno che ha radici sociali molto più ampie.
Molti osservatori sottolineano che politiche di prevenzione più strutturate — come campagne educative, investimenti nei servizi sociali, potenziamento dei centri antiviolenza e formazione delle forze dell’ordine — potrebbero incidere con maggiore efficacia. Queste misure, però, richiedono risorse economiche e una pianificazione pluriennale. Secondo le stesse critiche, alcuni comportamenti che oggi non ricadono nelle norme esistenti continueranno a non rientrare neanche nel nuovo reato, lasciando irrisolti problemi di tutela per molte vittime. Per esempio, i casi di violenza senza esiti mortali restano disciplinati da norme già in vigore.
Chi sostiene la riforma, invece, ritiene che l’introduzione del reato possa facilitare il lavoro degli uffici giudiziari e rafforzare la consapevolezza collettiva, ponendo maggiore attenzione sui fattori culturali e istituzionali che rendono possibile la violenza maschile sulle donne. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito l’approvazione un segnale di “coesione politica”. Tuttavia, la seduta ha mostrato divisioni su un altro provvedimento atteso: la riforma sulla definizione del consenso nei reati sessuali, su cui dieci giorni fa Meloni e la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein avevano annunciato un accordo. In commissione Giustizia al Senato, la discussione è stata rinviata.

Parallelamente all’iter parlamentare, l’Istat ha diffuso nuove stime preliminari sulla violenza contro le donne, parte dell’indagine “Sicurezza delle donne”. Si tratta dello strumento statistico nazionale previsto dalla legge 53/2022 e dalla Convenzione di Istanbul, realizzato in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità. Secondo le prime rilevazioni, 6 milioni e 400mila donne tra i 16 e i 75 anni hanno subito nel corso della vita una forma di violenza fisica o sessuale, pari al 31,9% della popolazione femminile di quella fascia d’età. Le violenze sessuali riguardano il 23,4% delle donne, includendo stupri e tentati stupri (5,7%).
Guardando alle relazioni affettive, il 12,6% delle donne che hanno un partner o lo hanno avuto ha subito violenza fisica o sessuale all’interno della coppia. La violenza psicologica riguarda il 17,9% delle donne, mentre quella economica il 6,6%, una quota che comprende comportamenti come il controllo del denaro o l’impedimento all’autonomia lavorativa. Lo studio rileva anche un aumento delle violenze subite dalle più giovani — in particolare tra i 16 e i 24 anni — e dalle studentesse, pur senza una variazione significativa del dato medio generale. Cresce, però, la consapevolezza delle vittime: aumenta la quota di chi riconosce la violenza come reato e di chi si rivolge ai centri antiviolenza.
Sul fronte delle denunce, invece, la situazione rimane stabile: solo il 10,5% delle donne vittime di violenza da partner o ex partner ha denunciato quanto subito negli ultimi cinque anni. L’Istat indica una diminuzione delle violenze che provocano ferite gravi o situazioni percepite come letali. Per quanto riguarda gli autori, gli stupri sono commessi soprattutto da partner ed ex partner, responsabili del 63,8% dei casi. Le molestie sessuali, invece, avvengono principalmente per mano di sconosciuti (58,7%). Una novità della rilevazione riguarda le violenze commesse quando la vittima non era in grado di opporsi a causa di droga o alcool: riguarda l’1% delle donne.
I dati sugli omicidi pubblicati dalla Direzione centrale della polizia criminale mostrano un calo dei casi totali: nel 2024 sono stati registrati 327 omicidi, due punti percentuali in meno rispetto al 2023. Le vittime femminili sono state 116, una in meno rispetto all’anno precedente. Le donne vengono uccise nel 92,2% dei casi da uomini, e nel 53,4% dei casi l’autore è un partner o un ex partner. Gli uomini uccisi — 211 — sono vittime soprattutto di altri uomini, con dinamiche più legate a conflitti, criminalità organizzata o contesti extra-familiari.
Sul piano europeo, l’Italia continua a essere tra i Paesi con i tassi di omicidio più bassi. Nel 2023 il tasso era di 0,57 omicidi per 100mila abitanti, contro una media UE di 0,91. Solo Slovenia e Malta registrano valori simili o inferiori. Le differenze di rischio per genere sono marcate: gli uomini hanno un tasso di vittimizzazione di 0,73 per 100mila abitanti, con una maggiore incidenza nelle fasce giovanili e adulte. Per le donne, il rischio aumenta con l’età e raggiunge i livelli più alti tra gli over 75, soprattutto in contesti familiari.
La distribuzione territoriale mostra una concentrazione degli omicidi maschili in regioni come Campania, Molise e Sardegna. Gli omicidi di donne, invece, non seguono una geografia precisa e si concentrano principalmente nella sfera domestica. Nel 2024 l’Istat stima 106 femminicidi su 116 omicidi di vittime donne, considerando partner, ex partner, altri familiari o autori sconosciuti con modalità riconducibili alla definizione internazionale di omicidio di genere.
Un terzo degli omicidi avvenuti nella coppia è seguito dal suicidio dell’autore, una dinamica che gli studi considerano ricorrente nei casi di violenza domestica. Infine, l’Istat stima 25 minori rimasti orfani a seguito di femminicidi avvenuti nel contesto della coppia. In 17 di questi casi gli orfani hanno perso entrambi i genitori, poiché l’autore del delitto si è tolto la vita dopo l’omicidio.
Il quadro complessivo conferma che la maggior parte delle uccisioni di donne avviene in contesti familiari e relazionali, e che la prevenzione resta uno degli elementi più discussi e meno consolidati nelle politiche pubbliche. Le prossime fasi legislative sulla definizione del consenso potrebbero incidere ulteriormente su questo ambito.
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