Lo yoga che restituisce forza alle donne: il metodo di Serena D’Andria

Novembre 26, 2025 - 21:30
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Lo yoga che restituisce forza alle donne: il metodo di Serena D’Andria

Nel frastuono incessante di New York, dove il ritmo dei passi sovrasta quello del respiro, Serena D’Andria ha scelto di costruire un’oasi di quiete. Laureata in Discipline teatrali, con anni di esperienza nell’insegnamento della recitazione ai bambini e ai ragazzi, Serena ha trovato nello yoga una pratica capace di restituirle ascolto, radicamento, forza. Un incontro trasformativo, tanto da portarla a diventare maestra di Hatha Yoga e Yoga Bimbi, e a dedicare la sua vita ad accompagnare le persone verso una riconnessione autentica con loro stesse.

In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, abbiamo provato a capire insieme a lei se e come la pratica yogica e la meditazione possano diventare strumenti di rinascita per chi è sopravvissuto alla violenza: non sostituti della terapia, ma percorsi complementari che aiutano a ritrovare centratura, sicurezza e voce. Perché ricominciare dal respiro è possibile. 

Serena, nella tua esperienza di insegnante di yoga, quali trasformazioni emotive hai osservato nelle donne, o nelle persone, che arrivano alla pratica dopo aver vissuto situazioni di violenza o controllo?

Parlare in particolare di donne è corretto, la maggior parte dei miei allievi infatti sono proprio donne. Il che mi ha portata da tempo a chiedermi come mai siano loro ad avvicinarsi maggiormente allo yoga. Non credo bastino poche righe per spiegare nel dettaglio le conclusioni a cui sono arrivata né tantomeno che questo sia il giusto contesto. Sicuramente possiamo dire che ci si avvicina allo yoga per una necessità che nasce dentro di noi in maniera spontanea e mai casuale. Chi come me pratica da tempo la disciplina yogica arriva a convincersi che il caso non esista e che tutto ciò che avviene nella nostra vita abbia un senso, anche le cose orribili.

Quando una donna subisce violenza fisica o psicologica inevitabilmente dentro di sé viene a crearsi una frattura ed è lì che si insinua il terrificante dubbio che possa in qualche modo meritare tutto quel male, che non valga abbastanza per avere il diritto a ricevere solo amore e rispetto, spesso trovare questa frattura è la parte più complessa del processo di guarigione. Ecco che lo yoga diventa una vera e propria salvezza perché riporta l’allieva a ritrovare una profonda connessione con se stessa, fa emergere tutti i punti critici, i dubbi, le sofferenze e, parliamoci chiaro, non è una via indolore ma trovare quella frattura è il primo passo per la salvezza perché se riesco a vedere qualcosa la posso combattere, se non la vedo no. Il passo successivo è l’avvio della costruzione della cura e dell’amore per se stesse e questa, con la pratica, è un percorso naturale e commovente a cui ho avuto l’onore di assistere più volte.

Spesso, le persone che hanno subito violenza o maltrattamenti perdono fiducia nel corpo e nelle proprie percezioni. In che modo lo yoga, con la sua dimensione fisica e respiratoria, può contribuire a ricostruire questa alleanza fondamentale?

Una risposta facile a questa domanda potrebbe essere che allenando il corpo e scoprendo pratica dopo pratica tutto ciò di cui non avevamo idea di essere capaci, riacquisiamo fiducia in noi stesse, l’intera verità è molto più complessa di così. La fiducia è di sicuro uno dei concetti chiave della disciplina, se non ho fiducia in me stessa molte asana (posizioni) complesse non potrò mai prenderle, ma quello che avviene con lo yoga va aldilà dell’ambito fisico perché lavorando con il corpo i benefici e i cambiamenti si estendono altrove. Per questo motivo non parliamo di sport ma di disciplina. I chakra sono dei punti di convergenza dell’energia che creano un collegamento tra mente e corpo e se stimolati correttamente si attivano (o riattivano in alcuni casi) e danno la possibilità al praticamente di sentirne i benefici in entrambe le sfere. Non amo parlarne molto perché sono convinta che sia uno di quei concetti che a spiegarlo si corre il rischio di sembrare degli invasati, ma che a provarlo sulla propria pelle lascia sbalorditi.

In molti pensano che lo yoga porti le persone a diventare egocentriche, la mia opinione è che sia vero al 100% e per fortuna aggiungerei. Come si può stare bene nel mondo se non si sta bene con se stessi? Da me parte il cambiamento, da me parte il mio equilibrio, io sono il centro del mio mondo e ho piena fiducia in me stessa, nelle mia capacità e nel mio valore. Questo è lo yoga, un cammino lungo, infinito forse, che ci fornisce gli strumenti per affrontare e superare tutto quello che in questa vita troveremo a ostacolare il nostro percorso con un’unica certezza: potrà solo andare meglio.

La meditazione a volte spaventa chi ha vissuto traumi, perché il silenzio può far riemergere vissuti dolorosi. Come accompagni le allieve e gli allievi in questo processo, evitando che la pratica diventi retraumatizzante?

La meditazione può far paura perché si perde il controllo sul percorso della nostra mente che spesso cerchiamo di direzionare in territori conosciuti che riteniamo sicuri e questa si chiama negazione. Quanto è realmente sicuro continuare a fingere che vada tutto bene ignorando i problemi che andrebbero invece affrontati? Faccio un esempio: se mi convinco che dietro quella porta non c’è niente che non va e non la apro di mia spontanea volontà, vuol dire davvero che quella porta chiusa mi tiene al sicuro? Quante possibilità ci sono che ignorare quella porta chiusa possa farmi ancora più male se, quando meno me lo aspetto, quella porta si apre all’improvviso e mi coglie impreparata? Se dietro quella porta c’è qualcosa che può ferirmi, lo farà in ogni caso, in modi che non posso in nessun modo prevedere, forse è meglio andare a controllare prendendo tutte le precauzioni del caso.

Durante la meditazione non è prevedibile quello che può accadere, possiamo immaginare un percorso ma in realtà spesso la mente può sorprendere, e anche se si tratta di meditazioni guidate tramite visualizzazioni possiamo ritrovarci in territori delicati e magari risvegliarci in lacrime. Siamo sicuri che sia un male? Forse è esattamente quello che ci serve, i traumi non vanno ignorati, i dolori vanno fatti riemergere per poterli affrontare con coraggio e in un ambiente protetto. Bisogna però essere consapevoli che il percorso può essere difficile e non indolore.

Tu hai sperimentato in prima persona i benefici dello yoga. C’è un insegnamento, una tecnica o un approccio specifico che ritieni particolarmente utile per chi sta cercando di ritrovare la forza dopo una relazione abusante? 

Come spesso mi ritrovo a dire ai miei allievi, prima di cimentarsi in pratiche complesse, bisogna imparare a respirare. Fa ridere perché ovviamente tutti noi respiriamo ogni giorno tutto il giorno, purtroppo però ci dimentichiamo come farlo correttamente. Quando nasciamo in modo spontaneo respiriamo utilizzando il diaframma, crescendo perdiamo questa capacità e più siamo stressati più il nostro respiro diventa “alto” andando a coinvolgere solo la parte più alta dei nostri polmoni. Questo può essere osservato facilmente perché tendiamo a sollevare le spalle mentre respiriamo. Riconnettersi con se stessi è il primo step per ritrovare la forza, e per farlo bisogna partire dal proprio respiro che deve dettare il ritmo della nostra esistenza. Un respiro lento e profondo che coinvolge le tre parti del polmone, quella bassa che gonfia la pancia, quella media che espande il torace e, solo alla fine, quella alta che solleva le spalle, questo è quello che ci serve, prima di saluti al sole e pose a testa in giù, respiriamo! Purna pranayama è il nome della tecnica che consiglio: la respirazione yogica completa.

In una città frenetica e a volte “insidiosa” come New York, come aiuti le persone a costruire uno spazio interiore sicuro? E come lo si può applicare anche in Italia, soprattutto pensando a chi sta cercando di uscire da un contesto di abuso, fisico e/o mentale?

Non importa dove ci troviamo, se viviamo a Times Square o in un paesino di 100 anime nella campagna umbra, essere centrati, connessi col proprio io, avere uno spazio sicuro è di fondamentale importanza sempre e ovunque. Sono lusingata da questa domanda ma credo parta da un presupposto inesatto. Aiuto le persone a riconnettersi con se stesse semplicemente guidandole in una pratica che fa tutto da sola. Intendo dire che non credo sia merito mio, credo sia merito della disciplina che insegno, lo yoga può essere insegnato ma diventa insegnante autonomo.

Quando ci si avvicina alla pratica non serve più spiegare nulla perché molte cose si capiscono da sole, perché lo yoga ha una potenza innata. Risulta difficile spiegarlo infatti quello che mi trovo sempre a ripetere è provare per credere. Ci sarà un motivo se ogni allievo inizia a fare un corso e poi aldilà del giorno e dell’ora prestabiliti in cui vede il suo insegnante, appena può prende il tappetino e lo srotola a casa. Le parole servono a poco, il corpo sa, ha solo dimenticato, piano piano ricorda, piano piano si purifica, piano piano guarisce e torna alla perfezione che era. Non è detto che ci si riesca in questa esistenza, ma sicuramente prima o poi ci si arriverà.

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