Ecco i mestieri che fanno più soldi in Italia (e quelli che non arrivano a fine mese)

Ottobre 13, 2025 - 22:00
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Ecco i mestieri che fanno più soldi in Italia (e quelli che non arrivano a fine mese)

lentepubblica.it

Quali sono oggi, in Italia, le professioni che assicurano i redditi più alti? A fotografare la situazione è il nuovo Osservatorio sulle Entrate Fiscali 2025, curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che ha analizzato i redditi medi lordi dichiarati nel 2024 (relativi all’anno d’imposta 2023) da dipendenti, autonomi e liberi professionisti iscritti all’Inps e alle varie Casse previdenziali.


I mestieri che fanno più soldi in Italia

Tra i lavoratori che versano contributi all’Inps, gli sportivi professionisti (poco più di 164.000 atleti tra calciatori, ciclisti e altri sportivi) dominano la classifica con un reddito medio lordo che sfiora i 270.000 euro l’anno.

Seguono i sanitari con una media di circa 87.000 euro annui e i giornalisti dipendenti, che registrano redditi intorno ai 68.000 euro.

Tra le professioni più solide in ambito pubblico si collocano i dipendenti statali e degli enti locali, che dichiarano mediamente tra i 34.000 e i 37.000 euro. Buoni risultati anche per il personale del settore volo, piloti e assistenti di bordo, che raggiunge quasi 40.000 euro annui.

Quelli che non arrivano a fine mese

La fascia più numerosa, tuttavia, è quella dei dipendenti privati, oltre 15 milioni di lavoratori, con redditi medi pari a 25.800 euro lordi.

In coda troviamo artigiani, commercianti e coltivatori diretti, che oscillano tra i 12.000 e i 25.000 euro annui, a conferma delle difficoltà strutturali che colpiscono il lavoro autonomo tradizionale.

Particolarmente critica la condizione dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri, fermi a circa 12.000 euro lordi, una cifra che li pone di fatto “a carico della collettività” per gli effetti fiscali e previdenziali.

Professioni regolamentate

Anche nel mondo delle professioni regolamentate, i divari economici restano ampi. I notai, con un reddito medio lordo di 160.546 euro, mantengono il primato assoluto tra gli iscritti alle Casse professionali.

Segue la categoria dei farmacisti titolari, che nel 2023 hanno dichiarato mediamente oltre 107.000 euro. Sul terzo gradino del podio si collocano gli attuari, professione di nicchia con appena 243 iscritti, ma redditi attorno ai 100.000 euro annui.

Subito dietro figurano commercialisti e revisori contabili, che superano gli 88.000 euro e i chirurghi con circa 74.000 euro, mentre i dentisti si attestano sui 67.000 euro. Molto più indietro invece le professioni tecniche e sociali, come architetti, psicologi e biologi che raramente superano i 30.000 euro lordi annui, con punte minime di 17.000 euro per i giornalisti freelance e appena 11.000 euro per i collaboratori coordinati e continuativi del settore informativo.

Il panorama dei lavoratori autonomi

Guardando invece ai lavoratori autonomi soggetti agli indicatori sintetici di affidabilità (ISA), il panorama è molto variegato.

I redditi più alti si registrano tra gli intermediari del commercio, che dichiarano circa 67.800 euro lordi l’anno, seguiti dagli informatici con 56.500 euro e dagli amministratori di condominio, che si attestano attorno ai 50.000 euro.

Redditi elevati anche per i revisori contabili (49.400 euro) e per i tabaccai (48.400 euro), mentre tra le professioni emergenti spiccano ricercatori di mercato e consulenti R&D, entrambi oltre i 45.000 euro annui.

Sul fronte opposto, le categorie con i guadagni più bassi restano quelle legate ai servizi alla persona e al commercio al dettaglio. Gli estetisti dichiarano in media 15.400 euro, le lavanderie e tintorie circa 14.000 euro, mentre i gestori di discoteche e scuole di danza non superano i 12.000 euro annui.

Molti fingono di guadagnare meno di un pensionato

In un precedente articolo abbiamo evidenziato come pochi contribuenti sostengano la maggior parte del gettito fiscale nazionale.

Oggi, osservando i redditi dichiarati dalle diverse categorie di contribuenti, risulta che i redditi medi comunicati al Fisco risultano inspiegabilmente bassi, spesso inferiori a quelli di un pensionato. Un’anomalia che, alla luce dei dati sull’IRPEF, non può più essere letta come semplice disuguaglianza economica, ma come un sintomo di evasione fiscale diffusa, radicata in un sistema che premia la furbizia e penalizza onestà e trasparenza.

Dietro i numeri riportati si nasconde una dura verità: l’Italia è un Paese dove l’evasione fiscale non è solo tollerata, ma profondamente radicata nella mentalità collettiva.

Come si può credere che intere categorie di contribuenti, come gestori di stabilimenti balneari, ristoratori, albergatori, negozianti, guadagnino in media meno di un pensionato? È possibile che un’attività aperta tutto l’anno, in pieno centro abitato, dichiari un reddito da sopravvivenza? Eppure, girando per le città, i ristoranti sono sempre pieni e non solo durante i weekend. È chiaro, dunque, come una parte significativa di queste categorie non dichiara quanto realmente guadagna.

“Con fattura o senza?” – L’Italia dove l’evasione è un vanto

La realtà, però, va ben oltre le statistiche. A chi non è mai capitato, nella vita quotidiana, di trovarsi dinanzi a un professionista o un artigiano che propone la solita scelta: “Con fattura o senza?”. Dal medico all’avvocato, passando per il tecnico che ripara l’impianto domestico, il copione è sempre lo stesso: con fattura 150, senza fattura 120. E ancora, basta entrare nel bar sotto casa, pagare un caffè e un cornetto in contanti e non ricevere alcuno scontrino.

Eppure, queste piccole omissioni che di per sé sembrano innocue, sommate tra loro costruiscono la grande montagna dell’evasione fiscale italiana, un fenomeno che non si combatte solo a colpi di leggi, ma con un cambio radicale di mentalità. Il problema, infatti, non è solo chi evade, ma la tolleranza sociale verso l’evasore.

Il prezzo dell’onestà: in Italia chi dichiara tutto paga anche per chi evade

In Italia, chi paga tutto è percepito come uno sprovveduto, chi evade come un furbo che “non si fa fregare dallo Stato”.

Secondo i dati raccolti dall’Istat, negli ultimi dieci anni la fiducia degli italiani nelle istituzioni è rimasta stabilmente bassa. Fanno eccezione solo i Vigili del fuoco, le Forze dell’ordine e, in parte, il Presidente della Repubblica, che continuano a godere di un consenso diffuso. Parlamento, Governo, partiti politici e sistema giudiziario restano sotto la soglia della sufficienza, nonostante lievi miglioramenti rispetto al passato.

Fiducia verso la politica al palo

Nel 2024 la fiducia complessiva è addirittura diminuita rispetto all’anno precedente: solo 4 italiani su 10 esprimono un giudizio positivo verso il Parlamento o il Governo e meno di 1 su 4 ritiene affidabili i partiti politici. Le amministrazioni locali, più vicine al cittadino, ottengono risultati leggermente migliori, specie al Nord, dove la fiducia nei Comuni e nelle Regioni è più alta rispetto al Mezzogiorno.

Questo quadro mostra un Paese dove la diffidenza verso lo Stato e la politica è diventata un tratto culturale, trasversale a età, genere e territorio. Un atteggiamento che alimenta la convinzione che “chi si fida dello Stato si fa fregare”, e che in fondo evadere un po’ o chiudere un occhio non sia poi così grave.

Un approccio che contrasta nettamente con la realtà di Paesi come la Finlandia, dove oltre il 91% dei cittadini dichiara di avere fiducia nelle istituzioni pubbliche e l’86% si fida invece della polizia. E non è un caso che la Finlandia sia, per l’ottavo anno consecutivo, il Paese più felice al mondo.

A peggiorare il quadro poi è la situazione di tutti quei contribuenti che dichiarano redditi bassissimi, ma conducono stili di vita del tutto incompatibili con quanto dichiarato. Auto di lusso, viaggi esotici, case al mare, cene in ristoranti di livello, vacanze raccontate (o spiattellate) quotidianamente sui social network.

Un vero e proprio spettacolo pubblico in netto contrasto con le dichiarazioni fiscali e che sarebbe di per sé sufficiente ad avviare controlli mirati. In un Paese serio, basterebbe incrociare i dati sui consumi con quelli del 730 per smascherare migliaia di evasori.

Un sacrificio inutile?

Invece, anno dopo anno, il sistema si regge sul sacrificio di pochi contribuenti onesti, facilmente individuabili (e quindi tassabili), mentre nessuno si scomoda a far luce su una maggioranza che si muove nell’ombra. Eppure, sarebbe facile…

E allora sorge spontanea una domanda: quante tasse in meno pagheremmo tutti se ciascuno pagasse davvero la propria parte? Di quanti servizi in più potremmo beneficiare se ognuno contribuisse al peso fiscale dello Stato? Continuiamo a chiedere allo Stato di fare di più, ma ogni volta che non chiediamo la fattura, gli togliamo l’ossigeno con cui potrebbe respirare.

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