Fuoco dentro, il premio per le donne e gli uomini che cambiano il mondo

Novembre 10, 2025 - 01:00
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Fuoco dentro, il premio per le donne e gli uomini che cambiano il mondo
Mons. mario Delpini alla cerimonia di premiazione (Foto Andrea Belloni)

«La grossa storia è un insieme di eventi che fanno clamore, e nel loro complesso talvolta ci fanno disperare dell’umanità. Perché in questa storia grossa, grossolana e volgare si spendono miliardi, si distruggono paesi, si mette un po’ di apprensione. Io voglio fare l’elogio della storia minima, quella che non fa rumore, che non riceve i fondi necessari, che non entra dentro gli organigrammi. È quella che hanno scritto e stanno scrivendo queste realtà e che abbiamo sentito raccontare in diverse parti dell’Italia e del mondo».

Con queste parole l’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha riassunto il significato dell’edizione 2025 del Premio “Fuoco dentro – Donne e uomini che cambiano il mondo”, tenutasi l’8 novembre sera presso il Teatro PIME di Milano.

Nato grazie al contributo dell’Arcidiocesi di Milano ed Elikya, l’associazione di promozione sociale impegnata nella valorizzazione del dialogo tra culture e fedi diverse, il premio giunge quest’anno alla sua quarta edizione mantenendo sempre il suo scopo: riconoscere e valorizzare il contributo che uomini e donne hanno dato per tenere viva la speranza e costruire ponti di fraternità.

Mons. Mario Delpini (Foto Andrea Belloni)

Secondo l’Arcivescovo Delpini, sono tre le caratteristiche che compongono una storia minima. «La prima è la decisione, ovvero persone che a un certo punto prendono una decisione e mettono in piedi qualcosa di piccolo, grande, speciale o ordinaria. Una decisione che si chiama anche vocazione. La seconda caratteristica è la quotidianità: non conta tanto il momento memorabile, ma la quotidianità perché le persone esistono ogni giorno – ha spiegato – E infine la terza caratteristica è la speranza. Essa non è soltanto l’aspettativa che domani vada un po’ meglio, ma è qualcosa di più radicale. È un modo di essere dell’uomo e della donna e la risposta a una promessa di Dio scritta nel cuore che dà alimento all’invincibile speranza».

Traendo quindi ispirazione dall’autenticità che questi esempi trasmettono, l’Arcivescovo ha quindi rivolto un messaggio di incoraggiamento: «la storia minima è quella che tutti noi siamo chiamati a scrivere».

I vincitori del premio

A ricevere il premio quest’anno sono stati padre Angelo Cupini, religioso claretiano, fondatore e anima della “Casa sul Pozzo” di Lecco; Neve Shalom Wahat al-Salam, un villaggio cooperativo, a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv, nel quale da oltre cinquant’anni vivono insieme diverse decine di famiglie ebree e palestinesi; New Humanity International, associazione fondata dal Pime, particolarmente attiva da diversi anni a sostegno della popolazione in Myanmar soprattutto dopo le scoppio della guerra civile e recenti disastri naturali e Casa Zoe, una comunità gestita da Caritas Ambrosiana e Farsi Prossimo coop, che accoglie e accompagna donne vittime di tratta e maltrattamento.

Pur nelle loro diversità, tutte queste storie riflettono lo spirito autentico del premio e la vita che può nascere dal fuoco quando esso non si volge alla distruzione. Ne è convinto mons. Luca Bressan, Vicario Episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale dell’Arcidiocesi di Milano.

Mons. Mario Delpini con i vincitori del premio (foto Andrea Belloni)

«Questo premio fa vedere che quando il fuoco è dentro e nasce dal cuore produce amore nei suoi diversi volti e colori: individuale, consacrato, legato alla famiglia o alla differenza di religione che può diventare occasione di incontro anziché di scontro», ha spiegato sottolineando come queste esperienze ci insegnino a «vedere che le differenze messe vicine possono diventare un arricchimento, mostrandoci una dimensione bella della vita che altrimenti non vedremmo».

Nel ricevere il premio padre Angelo Cupiti ha voluto dedicarlo a tutte le persone che lavorano con lui da circa 50 anni, ma soprattutto sottolineare lo spirito tiene vivo un punto di riferimento come la “Casa sul Pozzo” passata dall’occuparsi di giovani fragili a cause delle dipendenze all’accompagnamento degli adolescenti in arrivo da diversi paesi.

«C’è un verbo che il cardinal Martini ha lasciato a tutta la sua comunità: “come facciamo ad abitare insieme tutti così diversi senza ucciderci?”. Magari tollerandoci. Ma lui dice che l’importante è come ci fermentiamo reciprocamente – ha affermato -. Fermentarsi vuol dire lasciarsi toccare, cambiare e diventare altro. Tutti siamo sottoposti a questo processo di diventare altro e mi pare che sia la scommessa che l’umanità ha oggi di fronte a sé: non selezionare o dividerci, ma fonderci e rigenerarci come nuove creature per un tempo che non è così scontato».

L’appello per il Myanmar

Al centro del messaggio di New Humanity International è stato invece l’impegno in favore della popolazione del Myanmar, un aiuto attivo fin dal 2002 con programmi di sviluppo agricolo in particolare tra le minoranze etniche nelle regioni più remote.

«New Humanity ha iniziato a lavorare in paesi come la Cambogia nel ’92. Poi ha deciso di andare in Myanmar, nei luoghi di presenza storica dei missionari del PIME. Ma siamo andati lì per restare anche durante i periodi più turbolenti quali il colpo di stato, l’alluvione e il terremoto, sempre al fianco della popolazione adattando i nostri progetti e facendone partire altri. E vediamo che questo porta risultati e fa sì che i progetti siano duraturi e sostenibili nel tempo», ha raccontato Francesca Benigno, coordinatrice della sede italiana di New Humanity International.

(Foto Andrea Belloni)

La difficoltà maggiore nel paese del Sud-Est Asiatico è riuscire a trasmettere fiducia in una popolazione che non ha mai conosciuto la pace e che vede i suoi giovani fuggire per non essere arruolati dall’esercito.

Nelle parole di Francesca Benigno: «abbiamo visto una popolazione stanca. Stare al loro fianco è anche importante per far sentire che non sono soli e che portiamo avanti la speranza continuando a lavorare mano nella mano».

La bellezza nel creare ponti si è riflessa anche nel coro di Elikya, cinquanta voci che rappresentano sedici nazionalità diverse, guidati dal direttore Raymond Bahati. La loro esibizione canora e musicale non ha soltanto scandito la serata, ma si è elevata a inno al multiculturalismo e all’amore fraterno tra i popoli ricordando che le differenze non sono ostacoli insormontabili e che ciascuna nella sua autenticità è portatrice di un tesoro inestimabile.

Il coro Elikya (Foto Andrea Belloni)

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia