Carcere, i numeri spingono a cercare strade nuove

Novembre 19, 2025 - 04:50
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Carcere, i numeri spingono a cercare strade nuove
Foto Vatican News

dei CAPPELLANI DELLE CARCERI DI LOMBARDIA

Il carcere, come abbiamo già scritto, dovrebbe tendere alla rieducazione della persona ristretta (articolo 27 della Costituzione italiana). Può avvenire, anche oggi, quando si incontrano la volontà di riscatto del detenuto e l’impegno, la professionalità, la passione di chi, a vario titolo, lavora all’interno delle carceri. Eppure il carcere ha la fama di essere una scuola per diventare criminale per chi ancora non lo è, e per esserlo ancor più per chi lo era già.

La situazione nelle carceri italiane, e non da oggi, per molti aspetti non è accettabile. È un luogo di sofferenza, e non può non esserlo, perché si è privati della libertà e della possibilità di coltivare rapporti affettivi che tengono in vita in modo soddisfacente. Tante altre sofferenze, però, dovrebbero e potrebbero non esserci: condizioni di vita poco dignitose, regole eccessive, “domandine” per chiedere qualsiasi cosa a cui spesso però non c’è risposta, convivenza in cella difficile, se non impossibile (l’elenco in realtà è lunghissimo).

La denuncia a Mattarella

Uno stralcio della lettera scritta nel mese di luglio del 2024 dai detenuti del carcere di Brescia al presidente Mattarella: «Fa caldo, il sudore scivola sulla pelle, e si appiccica con i vestiti, sono madido, e si sono ormai impregnati lenzuola e materassi. Si boccheggia in cella. Devo andare in bagno, ma è occupato, altri quindici sono in fila davanti a me… Violentati, intimamente, mentalmente, moralmente, proprio in linea con l’articolo 27 della Costituzione… È aberrante. Siamo sovraffollati, in condizioni che rasentano la disumanità, definite da tortura dall’Unione Europea. La domanda giusta da farsi è: come può funzionare il reinserimento? La così chiamata rieducazione?».

Le condizioni in cui versano le carceri italiane, per il numero elevato di detenuti e per le precarie condizioni strutturali di tanti istituti, in effetti rendono problematico trasformarli in luoghi di rieducazione. Prevale il pensiero punitivo, quel pensiero purtroppo condiviso da gran parte dell’opinione pubblica, nella convinzione che la dura punizione, oltre che giusta e meritata, sia la strada maestra per recuperare a una vita onesta chi ha sbagliato.

I numeri

Diamo uno sguardo, sia pur sintetico e incompleto, alla realtà carceraria italiana. Alcuni numeri rivelano in modo impietoso una realtà che peggiora di giorno in giorno.

Gli Istituti carcerari italiani sono 189. Ci sono poi 17 Ipm (Istituti Penali per i Minorenni) e un carcere militare riservato al personale delle Forze Armate. I posti che dovrebbero essere disponibili sono 51.251: a causa dell’inagibilità di tante celle si può contare solo su 46.910 posti. Le persone detenute, però, al 30 settembre 2025 erano 63.198.

Gli uomini detenuti 60.439. Le donne invece 2759, solo il 4%. Le persone straniere 20.076, il 31,8%. Dunque si trovano ristrette 16.288 persone in più dei posti disponibili. Il tasso di affollamento è di circa il 135%, ma con punte del 214% a Foggia, del 213% a Milano San Vittore, del 205% a Lodi, poi Brescia, Lucca, Udine, Roma Regina Coeli, tutte oltre il 190%. Soltanto 31 Istituti penitenziari non risultano in sovraffollamento.

Minori in grande aumento

Anche negli Istituti Penali per Minorenni, seppur in misura minore, c’è una situazione di sovraffollamento. Gli ultimi dati ufficiali disponibili – risalenti al 15 giugno scorso – parlano di 586 giovani detenuti, di cui 23 ragazze. Otto Istituti sono in sovraffollamento, con una media nazionale che ormai raggiunge il 111%, ed è in continuo aumento. Dati che stridono al confronto con qualche anno fa, il 2022, quando i detenuti minorenni o che avevano commesso reati da minorenni e avevano ancora meno di venticinque anni, erano 392. Questo significativo aumento sembra il risultato del decreto Caivano (settembre 2023), voluto sulla scia di gravi fatti commessi da minorenni, con l’intento di contrastare la criminalità giovanile. Prevedendo però, come tentativo di soluzione del problema, un maggior ricorso alla carcerazione, gli Istituti minorili si sono riempiti in fretta. E sarebbero ancora più affollati se non avessero iniziato a trasferire nelle carceri per adulti anche alcuni ragazzi al compimento del diciottesimo anno. Verosimilmente i più problematici, quelli che avrebbero ancor più bisogno di un accompagnamento ad personam.

Non si dovrebbe mai dimenticare che dietro a questi numeri ci sono uomini e donne, e anche minori, costretti a vivere con grande disagio, in spazi limitati che spesso non rispettano le misure minime previste dalla legge.

Le conseguenze per reclusi e operatori

Il sovraffollamento rende ancor più difficile la già problematica convivenza e favorisce tensioni, malintesi, accese discussioni, risse, violenze. Sovraffollamento nelle carceri significa che si erodono ancor più i già limitati spazi di libertà e che gli operatori, a vario titolo previsti, si ritrovano a gestire un numero di persone maggiore, con carichi di lavoro evidentemente più pesanti. Un conto è gestire un carcere con quattrocento detenuti, un altro gestirne uno con settecentocinquanta e con lo stesso numero di operatori.

Tendere una mano

Essere rinchiusi in una cella è qualcosa di traumatico, si scontra con la natura dell’uomo, che è fatto per la libertà e la desidera con tutto se stesso. È una punizione molto dura e sarebbe ora di iniziare a riflettere per individuare modalità nuove per scontare la pena. Non si tratta di sottovalutare comportamenti delittuosi o di dimenticarsi di chi i reati li ha subiti, e chiaramente neanche di premiare chi ha sbagliato. Si tratta di compiere la scelta di tendere una mano, di entrare nella logica della rieducazione, come afferma la Costituzione. Chi sbaglia deve essere aiutato a capire che è male ciò che ha fatto e a ritrovare, o a scoprire per la prima volta, che ci sono ottime ragioni per essere uomini buoni e rispettosi della legge. Forse non sempre sarà possibile, ci potranno essere fallimenti, ci sarà sicuramente anche chi, per diversi motivi, non intraprenderà un cammino di riabilitazione. Purtroppo in questi casi rimarrà solo la via del carcere, come ultima e subìta scelta.

Il cardinale Carlo Maria Martini, intervenendo al convegno «Colpa e pena» nel 2000 a Bergamo, disse: «La carcerazione va vista come un intervento di emergenza, un estremo rimedio per arginare una violenza gratuita e ingiusta, impazzita e disumana». Non per questo dovremmo rinunciare a cercare nuove strade. Questo a vantaggio di chi ha sbagliato, ma anche dell’intera società.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia